Personaggi internazionali

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ShearerWHC
00giovedì 8 novembre 2012 13:57
Ieri, dopo la partita con la Juve ho assaporato la sfida tra Celtic e Barcellona senza commento, con il rumore del tifo e del Park a tutto volume rimpiangendo di non aver avuto tempo e modo di essere là anche io a vivere un momento comunque storico. Il Celtic che batte una delle squadre più forti del mondo, in un momento del genere e con un gol di un ragazzo di soli 18 anni come Tony Watt, arrivato alla prima squadra dal piccolo Airdrie su segnalazione di un allenatore, Jimmy Boyle, che lo segnalò a Lennon dopo averlo coccolato e cresciuto per due anni.
La storia di Watt è singolare: l'Airdrie aveva pochi giocatori e pochissimi soldi. Quindi la sua dirigenza mise un annuncio sul giornale locale per reclutare talenti, o atleti che volessero provare con il calcio. Ricevettero circa 30 risposte una delle quali era di Tony, ragazzo che giocava a pallone solo al parco, con gli amici, e la cui esperienza si era limitata a poche e disorganizzatissime leve giovanili locali. Nessuna cultura di squadra, nessuna esperienza tattica: Watt si era presentato al provino in scarpe da calcetto… Boyle lo vede e lo manda in campo due settimane dopo con l'Under17. Watt segna subito due gol e viene promosso prima ancora di compiere i sedici anni nella Under19 continuando a segnare ininterrottamente. Poi fa il suo esordio in prima squadra, una prima squadra di appena tredici giocatori: Tony entra e segna due gol contro il Cove, poi altri due contro il Partick.
"Caro ragazzo — gli dice Boyle dopo un anno e tre mesi — qui non abbiamo nulla da darti, né da insegnarti. Ti faccio andare al Celtic, buona fortuna". L'Airdrie per il disturbo guadagna 100mila sterline e Watt, che ancora non ha la patente, ottiene uno stipendio da 1200 sterline la settimana (circa 1500€) e un'utilitaria per giocare nella squadra per la quale la sua famiglia fa il tifo.
Tony fa il suo esordio con il Celtic e segna contro il Motherwell (due gol in cinque minuti entrando dalla panchina), poi torna tra i giovani e gioca scampoli di gara, segnando ancora, ogni volta che entra dalla panchina. Ieri, al suo esordio in Champions League, firma un gol in contropiede su pallone gentilmente concesso dalla difesa blaugrana.
Un ragazzo di 18 anni che fino a due anni e mezzo fa giocava nel parco cittadino di un sobborgo del North Lancashire, scende in campo di fronte a 55mila persone con la maglia della squadra per la quale tifa da quando è nato, e che festeggia il suo 125esimo anniversario, segnando un gol al Barcellona al proprio esordio in Champions League.
Indipendentemente da chi vince e da chi perde il calcio sa ancora offrire qualche splendida storia…

Twitter @stefano_benzi

[SM=g7348]
lucaDM82
00martedì 20 novembre 2012 21:17
E’ un Andy Van Der Meyde scatenato quello che ha scritto l’autobiografia “Nessuna Pietà” dove critica tutto e tutti.


I TEMPI ALL’AJAX - ”Mio padre era un alcolizzato e un giocatore incallito. Con lui ho rotto ogni rapporto, tanto che quando entrai nelle giovanili dell’Ajax chiesi di giocare con il cognome di mia madre. Mi dissero di no. L’Ajax è stata l’unica squadra in cui mi sono divertito. Legai con Ibrahimovic e Mido: si sfidavano in folli corse notturne sull’anello della A10 attorno ad Amsterdam. Zlatan aveva una Mercedes SL AMG, Mido alternava Ferrari e BMW Z8. Tomas Galasek invece mi iniziò alle sigarette”.
L’ARRIVO ALL’INTER -“Accettai, nonostante l’allenatore, Ronald Koeman, non mi ritenesse ancora pronto per l’estero. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell’Ajax, ndr) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Mi consumava la nostalgia. Passare dal club olandese ai nerazzurri è come “asciare un negozio di paese per una multinazionale. Tutto estremamente professionale, un giro di soldi pazzesco, il presidente che dopo ogni vittoria allungava ai giocatori 50 mila euro a testa”.
LA VITA MILANESE – “Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Dyana, la mia prima moglie era la vera malata. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Una sera scesi in garage, al buio, intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello”.
IL PASSAGGIO ALL’EVERTON – “Mi proposero uno stipendio di 37mila euro a settimana, più del doppio di quello che percepivo all’Inter. Ci andai di corsa. La prima cosa che feci fu comprare una Ferrari e andare a sbronzarmi al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. La mia giornata terminò in uno strip-club. Andavo pazzo per le spogliarelliste. Lì conobbi Lisa e me ne innamorai subito. Nel suo mondo bere e sniffare cocaina era una cosa all’ordine del giorno”.
IL DIVORZIO - ”Mi sarei preso a pugni in faccia quando mi elencò tutte le prove che aveva raccolto. Una volta passai una serata a gozzovigliare a Manchester, mi scolai un’intera bottiglia di rum e andai direttamente agli allenamenti. Ai test registrai il mio miglior tempo di sempre, ma non riuscii a nascondere la sbronza”.
L’INIZIO DELLA FINE - “Il tecnico Moyes pensava fossi un viziato, in realtà stavo accanto a Dolce, la bambina che avevo avuto da Lisa. Soffriva di una rara malattia all’intestino, è stata operata otto volte in due anni. Non volevo lasciarla sola. Ma ero fuori controllo; non riuscivo a dormire se non prendendo pillole. Era roba pesante, di quella da prendere con la prescrizione del medico. Quindi le rubavo dallo studio del medico del club. L’ho fatto per più di due anni. Poi è arrivata la cocaina, insieme a Bacardi, vino e feste in quantità. Capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto”.
L’APPRODO AL PSV – “Ma è stato come tentare di mettere in moto un’auto ferma da troppo tempo: i ritmi del calcio pro non facevano più per me”.
LA SUA VITA ATTUALE - ”Sono in attesa del quinto figlio, il secondo dalla mia attuale compagna, Melissa. Non sono milionario ma vivo meglio di prima. Col libro ho voluto chiudere un capitolo della mia vita. Adesso voglio allenare nelle giovanili. Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?”.


[SM=g8290]


BeautifulLoser
00mercoledì 21 novembre 2012 11:45
Re:
lucaDM82, 11/20/2012 9:17 PM:

E’ un Andy Van Der Meyde scatenato quello che ha scritto l’autobiografia “Nessuna Pietà” dove critica tutto e tutti.


I TEMPI ALL’AJAX - ”Mio padre era un alcolizzato e un giocatore incallito. Con lui ho rotto ogni rapporto, tanto che quando entrai nelle giovanili dell’Ajax chiesi di giocare con il cognome di mia madre. Mi dissero di no. L’Ajax è stata l’unica squadra in cui mi sono divertito. Legai con Ibrahimovic e Mido: si sfidavano in folli corse notturne sull’anello della A10 attorno ad Amsterdam. Zlatan aveva una Mercedes SL AMG, Mido alternava Ferrari e BMW Z8. Tomas Galasek invece mi iniziò alle sigarette”.
L’ARRIVO ALL’INTER -“Accettai, nonostante l’allenatore, Ronald Koeman, non mi ritenesse ancora pronto per l’estero. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell’Ajax, ndr) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Mi consumava la nostalgia. Passare dal club olandese ai nerazzurri è come “asciare un negozio di paese per una multinazionale. Tutto estremamente professionale, un giro di soldi pazzesco, il presidente che dopo ogni vittoria allungava ai giocatori 50 mila euro a testa”.
LA VITA MILANESE – “Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Dyana, la mia prima moglie era la vera malata. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Una sera scesi in garage, al buio, intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello”.
IL PASSAGGIO ALL’EVERTON – “Mi proposero uno stipendio di 37mila euro a settimana, più del doppio di quello che percepivo all’Inter. Ci andai di corsa. La prima cosa che feci fu comprare una Ferrari e andare a sbronzarmi al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. La mia giornata terminò in uno strip-club. Andavo pazzo per le spogliarelliste. Lì conobbi Lisa e me ne innamorai subito. Nel suo mondo bere e sniffare cocaina era una cosa all’ordine del giorno”.
IL DIVORZIO - ”Mi sarei preso a pugni in faccia quando mi elencò tutte le prove che aveva raccolto. Una volta passai una serata a gozzovigliare a Manchester, mi scolai un’intera bottiglia di rum e andai direttamente agli allenamenti. Ai test registrai il mio miglior tempo di sempre, ma non riuscii a nascondere la sbronza”.
L’INIZIO DELLA FINE - “Il tecnico Moyes pensava fossi un viziato, in realtà stavo accanto a Dolce, la bambina che avevo avuto da Lisa. Soffriva di una rara malattia all’intestino, è stata operata otto volte in due anni. Non volevo lasciarla sola. Ma ero fuori controllo; non riuscivo a dormire se non prendendo pillole. Era roba pesante, di quella da prendere con la prescrizione del medico. Quindi le rubavo dallo studio del medico del club. L’ho fatto per più di due anni. Poi è arrivata la cocaina, insieme a Bacardi, vino e feste in quantità. Capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto”.
L’APPRODO AL PSV – “Ma è stato come tentare di mettere in moto un’auto ferma da troppo tempo: i ritmi del calcio pro non facevano più per me”.
LA SUA VITA ATTUALE - ”Sono in attesa del quinto figlio, il secondo dalla mia attuale compagna, Melissa. Non sono milionario ma vivo meglio di prima. Col libro ho voluto chiudere un capitolo della mia vita. Adesso voglio allenare nelle giovanili. Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?”.


[SM=g8290]






e perché mai r.i.p?
mica è morto! (grazie a chi di dovere!)

sembra comunque essere iniziata una nuova stagione di autobiografie di calciatori sregolati.

alcune settimane fa, infatti, è stata pubblicata l'autobiografia dell'indimenticabile uli borowka.
amorevolmente soprannominato "die axt" (l'ascia), borowka è stato un difensore tecnicamente più che limitato ma difficilmente superabile. per quindici anni ha rappresentato l'impersonificazione del male nel calcio tedesco. la sua carriera professionistica inizia con il borussia mönchengladbach e raggiunge il culmine con il werder brema di otto rehhagel, nel quale milita per dieci anni, spargendo terrore sui campi della bundesliga.
borowka era un luminare delle entrate omicide sulle gambe, dispensava morte e dolore tra i centravanti avversari, e si ergeva, satanico e trionfante, in mezzo all'infuriare delle battaglie di quegli anni, quando i mercoldedì di coppa sembravano dirette dal fronte afgano.
numerosi gli anedotti che quasi sempre lo vedono proferire minaccie agli attaccanti dall'altra squadra.
un esempio: dopo essere stato eletto dai suoi colleghi per l'ennesima volta "il giocatore più antipatico della bundesliga", in occasione di un werder brema-stoccarda, nel tunnel prima dell'ingresso in campo si avvicina a jürgen klinsmann per chiedergli se questi per caso lo avesse votato. il pavido klinsmann risponde: "ma stai scherzando, uli? certo che no!" l'ascia replica: "per il culo mi ci posso prendere anche da solo, klinsmann! da dove sarebbero dovuti venire tutti i voti per me? oggi ti massacro il doppio!"

borowka ha sofferto gravemente di alcolismo per tutta la sua lunga carriera che si concluse dopo quasi vent'anni nel 1998.
nel 2000 fu letteralmente raccolto da sotto un ponte da christian hochstätter, bandiera del mönchengladbach, nipote di helmut haller e allora direttore sportivo del club, che lo ricoverò in una clinica salvandolo dalla morte certa. da allora borowka non ha più toccato l'alcol e si è rifatto una vita, a quanto pare modesta, tranquilla e serena, e ha fondato un'associazione che sostiene calciatori con problemi di dipendenza.

il più sregolato di tutti, invece, fu un inglese. come potrebbe essere altrimenti?
e non intendo né george best ("i spent a lot of money on booze, birds and fast cars. the rest i just squandered"), né paul gascoigne.
mi riferisco all'attaccante robin friday, "the greatest footballer you never saw".
questo è il titolo della sua biografia, scritta paul mcguigan, il bassista degli oasis.

la carriera di questo fenomeno durò circa sei anni. tre anni da semiprofessionista tra la quinta e la settima divisione, poi dal 1974 al 1977 tre anni tra la quarta e la seconda divisione dove totalizzò 60 gol in 160 presenze per il reading e per il cardiff.
chi l'ha visto giocare parla di un fuoriclasse assoluto.
ma robin friday è stato anche un fuoriclasse dell'autodistruzione.
già da ragazzino, oltre all'hard rock, era dedito all'alcol e a stupefacenti di ogni genere.
raramente lo si è visto sobrio. per lui le trasferte erano occasioni da non perdere per mettere a soqquadro i pub di città sconosciute.
una delle sue bizzarie ricorrenti era un ballo da lui inventato che soprannominò "l'elefante".
consisteva nel roversciarsi i taschini e nell'aprire la patta dei suoi blue jeans.
si ritirò dal calcio all'età di 25 anni.
morì nel 1990 all'età di 38 anni. per un arresto cardiaco probabilmente causato da una overdose di eroina.
ancora oggi è un mito: in un sondaggio lanciato nel 2004 dalla bbc friday fu l'unico ad aggiudicarsi il titolo di miglior giocatore di sempre in due club, appunto il reading e il cardiff per il quale giocò solamente 25 partite.
lucaDM82
00mercoledì 21 novembre 2012 11:53
è morto come giocatore.
Sound72
00giovedì 22 novembre 2012 12:28
è uscito anche "Tout seul" di Domenech..


Carino il commento su Anelka che gli disse“Razza di stronzo fattela a te la tua squadra di merda” senza mai scusarsi:

“Mi sorprese di più il fatto che Anelka mi diede del tu, rompendo la barriera dell’età, degli schemi, della gerarchia”.
Sound72
00martedì 11 dicembre 2012 16:10
Neffa e la musicalità del bidone


Gustavo Neffa, comprato in fretta e furia, aspettato per tre anni, bocciato senza appello: in eredità ci lascia un nome noto ancora oggi, in altri campi

In Italia nemmeno maggiorenne per una raccomandazione pesante, smarrito nella nebbia di Cremona, lontano dal calcio in giovane età per amore, ricordato soprattutto per il nome: storia di Gustavo Neffa, l’uomo che ha ispirato un nome d’arte

SU LE MANI chi conosce il cantante Neffa. Bene. Ora su le mani chi conosce l’attaccante Gustavo Neffa. Pochini? Eppure le storie dei due sono strettamente collegate, tanto che tra loro c’è un saldo rapporto d’amicizia. Ma come può una storia di calcio (nemmeno troppo memorabile) finire in musica?

PER CAPIRE LE ORIGINI DEL MITO bisogna tornare al 1989, campionato del Paraguay. Nel glorioso Olimpia Asunción, club dominato dall’ombra discreta ma pesante di HH2, Heriberto Herrera, c’è un ragazzino. Diciassette anni, andatura dinoccolata, mancino prezioso tipico di chi ha grandi scenari davanti a sé: si chiama Gustavo Alfredo Neffa, ha segnato qualcosa come venti gol alla sua prima stagione da titolare, e HH2 si sente autorizzato a consigliare l’affare in anteprima ad una sua ex squadra. È la Juventus di Boniperti, che compra a primo incanto e parcheggia il ragazzo alla Cremonese.

Dal paese senza mare al mare di nebbia padana però il passo sembra essere troppo lungo: sbarcato nella patria del torrone Neffa non riesce più a trovare il bandolo della matassa. Non lo aiuta di certo il sarcasmo con cui lo accoglie il sempre roccioso Tarcisio Burgnich («Io avevo chiesto un mediano esperto!»), meno ancora la palese mediocrità di una squadra retrocessa senza appello con Ascoli, Verona e Udinese. I gol non ci sono, le buone prestazioni si fanno desiderare, ma arrivano al momento giusto: come a San Siro contro il Milan, sotto gli occhi dei grandi capi bianconeri.

QUANTO BASTA PER LA RICONFERMA, arrivata senza batter ciglio così come il rinnovo del prestito: il ragazzo ha qualità, ne son sicuro – dichiarò Boniperti – ha un po’ faticato il primo anno ma vedrete che in B esploderà. Qualche difetto alla miccia, forse? In quasi trenta presenze la miseria di due gol: a vent’anni però si può ancora incassare la fiducia della dirigenza e guadagnarsi un altro tentativo. Di nuovo in Serie A, dato che nel frattempo è arrivata la promozione: però è cambiato l’allenatore, e il nuovo corso coincide con il taglio del paraguayano di troppo.

PASSO INDIETRO: a Torino, sempre in quegli anni, è attiva una band punk. Si chiamano i Negazione, cambiano batterista ogni tre per due, finché non ne arriva uno con il volto vagamente simile a quello di un calciatore. Si chiama Giovanni Pellino, alias “Jeff”, e somiglia proprio a quel Gustavo Neffa che nessuno ormai si aspetta più tornare a Torino da vincitore. Simile il volto, simile il nome, da Jeff a Neffa il passo è fin troppo breve: ormai il nome d’arte di Giovanni è definitivamente diventato Neffa.

IL NOSTRO NEFFA, nel frattempo, è tornato a casa: vinto dai paragoni troppo pesanti (da Sivori fino a nientemeno che Maradona), vinto dall’ostinata nebbia cremonese, vinto dall’ostilità di un tecnico poco avvezzo alla fantasia sudamericana, Gustavo accetta l’offerta dell’Unión Santa Fe, in Argentina. Nel frattempo ha partecipato alle Olimpiadi di Barcelona, dove ha conosciuto la bella tennista Rossana de los Rios, con cui inizia una relazione: l’amore sembra giovargli, tanto che riesce a strappare un contratto con il Boca Juniors per l’anno successivo.

IN ITALIA INTANTO il Neffa cantante ha iniziato una carriera da solista, riscuotendo subito grande successo con Aspettando il Sole. Del giocatore da cui ha preso in prestito il nome non ha più notizia, però gli piacerebbe conoscerlo, confida ad un amico. Viene esaudito: dall’altra parte del mondo il Neffa calciatore scopre grazie ad un amico di aver lasciato almeno un ricordo di sé in Europa, si mette in contatto via mail, incontra l’omonimo, diventano amici. Ha ormai smesso di giocare, Gustavo: l’amore per quella che ora è sua moglie lo spinge a mollare tutto e seguirla in giro per il mondo come suo preparatore atletico, e tanti saluti a quelli del paragone facile e della critica ancor più facile. Una storia d’amore del tipo “sto con lei, e non m’importa niente”. Neffa insegna.

( calciosudamericano.it )

[SM=x2478856] ma che storia..
chiefjoseph
00martedì 11 dicembre 2012 16:28
hanno una figlia che sta iniziando ora a giocare a tennis, pare sia molto forte tra l'altro...
conoscevo la storia comunque...
lucaDM82
00martedì 11 dicembre 2012 16:46
me la ricordo quella cremonese ma lui no.Cmq ho letto che ha fatto tipo 6 gol in carriera a parte l'esordio... [SM=x2478856]
lucolas999
00martedì 18 dicembre 2012 16:30
ShearerWHC
00martedì 18 dicembre 2012 17:48
Davero, braccino corto...

Ma poi non stava male, tipo che non riusciva quasi più a camminare?
lucaDM82
00martedì 18 dicembre 2012 18:14
Re:
ShearerWHC, 08/11/2012 13:57:

Twitter @stefano_benzi[SM=g7348]



Bravo giornalista,me lo ricordo a sportitalia.

lucaDM82
00venerdì 8 marzo 2013 14:52
Confessa l’uccisione di Eliza Samudio, Bruno condannato a 22 anni

La confessione è arrivata ieri, dopo quasi tre anni di indagini serrate della polizia brasiliana. “Eliza è stata uccisa, il suo cadavere dato in pasto ai cani”. Termina qui la macabra storia del portiere Bruno Fernandes de Souza, per tutti semplicemente Bruno, ex portiere e capitano del Flamengo, condannato a 22 anni e tre mesi di carcere per aver ucciso Eliza Samudio, 25enne modella e pornoattrice con cui aveva avuto un bambino non desiderato.

La sentenza è giunta nella prima mattinata italiana, poco dopo le 2 brasiliane. Nel tribunale di Contagem, nello stato del Minas Gerais, Bruno è stato condannato dal giudice Marixa Rodrigues per triplice crimine: omicidio (17 anni e sei mesi), sequestro di persona (3 anni e tre mesi) e occultamento di cadavere (un anno e sei mesi). La ex moglie, Dayanne Rodrigues, è stata invece assolta. A novembre l’amico di Bruno, Luiz Henrique Romão detto “Macarrão”, e l’ex fidanzata Fernanda Gomes de Castro, erano stati condannati rispettivamente a 15 e 5 anni.

L’ex portiere aveva finalmente confessato la morte della ragazza e svelato ogni macabro dettaglio, negando però di esserne il mandante. Il movente dell’assassinio è una relazione divenuta ormai insostenibile. Bruno aveva avuto un figlio da Eliza, e questo avrebbe potuto nuocere gravemente alla reputazione di un portiere che, in passato, era stato avvicinato pure al Milan. E che anzi, senza lo scoppio del bubbone si sarebbe trasferito in Italia, secondo quanto svelato qualche mese fa dal suo agente. Invece, ora, Eliza Samudio non c’è più e la carriera dell’ex numero 1 è già conclusa.

Bruno aveva confessato tutto nella giornata di ieri, affermando che la ragazza fu strangolata, squartata e poi gettata in pasto ai rottweiler. “Macarrão e mio cugino Jorge la dovevano accompagnare a prendere il taxi, perché doveva volare a San Paolo. Al ritorno, però, tornarono solo loro due. E io chiesi loro: ‘Che avete fatto a Eliza?’ Mi dissero che l’avevano fatta a pezzi e data in pasto ai cani. Mi sento colpevole, ma non sono il mandante“ ha detto. Ma non è stato creduto. E nemmeno le sue lacrime copiose sono servite a intenerire la posizione del giudice, che gli ha inflitto 22 anni di carcere.
[SM=g27993]
Sound72
00giovedì 11 aprile 2013 19:54
Casagrande, autobiografia-shock: "Ero tossicodipendente, in Italia tanto doping"

L'ex attaccante di Ascoli e Torino racconta la sua dipendenza da stupefacenti e alcool: "Prendevo di tutto; in Italia iniezioni dall'effetto sbalorditivo"

Ricordate Walter Casagrande? Giocò in Italia tra il 1987 e il 1993, prima nell'Ascoli e poi nel Torino; fu uno degli eroi granata nella formidabile cavalcata in Coppa Uefa nel 1992, fino alla finale persa contro l'Ajax. Un fuoriclasse senza ruolo, capace di disimpegnarsi egregiamente in qualunque zona del campo, con la sola pecca di una certa discontinuità. A vederlo giocare faceva impressione: un mix eccezionale di tecnica e vigore atletico, un calciatore meraviglioso, universale, in grado di fare reparto, anzi, squadra da solo.

Dopo l'addio all'attività agonistica (nel 1996), però, non se ne era sentito più parlare: le voci di una sua tossidopendenza circolavano, insistenti. Oggi Casagrande esce allo scoperto, e lo fa con "Casagrande e seus demonios" ("Casagrande e i suoi demoni"), un'autobiografia scritta a quattro mani con Gilvan Ribeiro in cui l'ex campione si racconta e si confessa.

Oggi cinquantenne, Casagrande racconta la sua dipendenza da alcolici e stupefacenti, cominciata all'inizio degli anni ottanta. "Iniziai in Brasile, quando giocavo nel Corinthians", scrive, "e ci andavo ancora piano: solo qualche canna e un po' di cocaina". Arrivato in Europa nel 1986 (con il Porto) smise con le droghe ma cominciò con il doping. Tanto doping, anche qui da noi: "In Italia ci obbligavano a fare delle iniezioni intramuscolari: l'effetto era sbalorditivo, ma dopo un po' decisi di smettere".

Poi il ritorno in Brasile, il ritiro e il baratro: "Sentivo una sensazione di vuoto, mi mancava l'adrenalina delle gare e degli allenamenti, e questo mi spinse all'uso compulsivo di droghe e alcool. Imitavo i comportamenti autodistruttivi dei miei miti del rock, come Jimi Hendrix e Janis Joplin: in una sera ero capace di prendere insieme cocaina ed eroina e scolarmi una bottiglia di tequila". Dopo quattro ricoveri per overdose tra il 2005 e il 2007 e una lungo periodo di disintossicazione, oggi Casagrande si sente rinato: fa il commentatore televisivo per Rede Globo e ha lasciato perdere per sempre quei demoni che lo hanno perseguitato a lungo.

www.sportlive.it/calcio/walter-casagrande-auto-biografia-doping-droga-italia-seri...

con questo libro salderà un pò di debiti..
lucaDM82
00giovedì 25 aprile 2013 21:26
ma frei l'attaccante del basilea si è ritirato?
ShearerWHC
00venerdì 26 aprile 2013 10:10
Re:
lucaDM82, 25/04/2013 21:26:

ma frei l'attaccante del basilea si è ritirato?




No, è ancora lì (non più titolare, chiaramente). Gioca anche un altro Frei, più giovane
lucaDM82
00mercoledì 8 maggio 2013 19:48
ferguson si ritira.
Sound72
00giovedì 16 maggio 2013 16:58
A fine stagione si ritira Bechkam ( 38 ).

Fine della carriera anche per Metzelder ( 32 ).
lucaDM82
00venerdì 17 maggio 2013 00:42
Re:
Sound72, 16/05/2013 16:58:

A fine stagione si ritira Bechkam ( 38 )



poraccio,chissà se je bastano i soldi.


giove(R)
00venerdì 17 maggio 2013 10:38
:D
Sound72
00martedì 15 ottobre 2013 15:10
lucaDM82
00martedì 15 ottobre 2013 18:48
mi dispiace per questo epilogo,non sapevo della sua malattia.
Veramente me lo ricordo solo per quel senegal sorprendente di diversi anni fa,con fadiga,diouf e diop.
rip.
Sound72
00mercoledì 8 gennaio 2014 18:28

Quella "Pantera Nera" sospesa tra Mozambico e Portogallo:storia di Eusebio


Ci sono posti in cui il gioco del calcio è vissuto e praticato come un'arte: non solo un fatto agonistico e non solo fine a se stesso, i novanta minuti di una partita di calcio. Ci sono posti in cui il calcio è pura poesia popolare, sublime azione artistica che misteriosamente, si materializza senza alcun preavviso. Di questo calcio, uno degli alfieri, uno dei grandi interpreti - dello scroso secolo - è sicuramente stato Eusebio.
Questa è la sua storia.
E' stato molto più di un semplice giocatore Eusenio che, con il suo sorriso abbinato alla velocità d'esecuzione ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio, "do futebol" - come lo chiamano in Sudamerica - e, con quel sorriso, Eusebio Da Silva Ferreira ha saputo tracciare una linea strettissima che ha unito per sempre l'Africa, e il Mozambico - antica colonia portoghese - al Portogallo.
Eusebio se ne è andato domenica scorsa all'età di 71 anni e lascia in eredità 300 gol con la mitica maglia rossa del Benfica; e 41 gol - in appena 64 partite - con la maglia (rossa anch'essa) del Portogallo. Aveva un repertorio calcistico vario e irresistibile: il "suo" calcio era animato dalla giocata d'astuzia abbinata anche all'esecuzione acrobatica che spesso e volentieri, sapeva lasciare di stucco difensori e portieri avversari. Lo chiamavano "Pantera Nera" per la rapidità e la velocità del suo modo di giocare e per il colore della sua pelle.
-LE ORIGINI
Eusebio Da Silva Ferreira era nato in un giorno imprecisato del 1942 - solo molto più tardi gli venne comunicato che un giorno buono poteva essere il 25 gennaio - a Lourenco Marques, l'attuale Maputo, in Mozambico. Era poverissimo, ultimo di otto figli, orfano di padre. Le sue origini sono talmente umili che, quando si mette a giocare con palloni di fortuna - e di stracci - lo chiamano "Ninguém" ovvero "niente, nessuno". Ma non sarà così. perché Eusebio, sarà destinato a divenire uno dei più grandi calciatori del Novecento.
Il suo volto è perennemente malinconico e, questo deve averlo aiuto non poco quando arrivò a Lisbona poco più che dicottenne. un filo sottile lega le origini africane della "Pantera Nera" al destino del Portogallo, di quel Portogallo che sotto la spinta colonialista e fascista di Salazar sbarcherà in Africa per conquistare il Mozambico e le altre colonie cosiddette dell'"Africa portoghese". Una malinconia che si armonizza con Lisbona schiacciata, umiliata dalla lunga dittatura fascista che finirà per essere asfissiata dal regime feroce e razzista proprio come in Africa e, in Mozambico in particolare.
Tuttavia il suo calcio è pura poesia e allegria e le "sue" giocate riescono a dare un pò di sollievo al popolo portoghese e, ai tifosi del Benfica in particolare.
-LA CARRIERA
La leggenda vuoloe che Eusebio sia stato scoperto da un ex calciatore italiano, un ex portiere della Juventus, Ugo Amoretti, allenatore della formidabile futura "Pantera Nera" nel piccolo e modesto club di Lourenco. L'allenatore italiano lo segnala prontamente ai dirigenti delle squadre italiane ma, non lo ascoltano e non gli danno credito. Invece, la segnalazione dell'ex centrocampista della nazionale brasiliana Bauer va a buon fine: l'ex giocatore lo segnala all'ebreo ungherese Béla Guttman - a quel tempo tecnico del club lusitano non ancora diventato grande - che lo porta immediatamente alla squadra di Lisbona molto meno prestigiosa dello Sporting.
Fu così che Eusebio arrivò in al Benfica e conquistò tutti diventando l'ambasciatore nel mondo del Portogallo intero; divenne un simbolo transanazionale finendo per conquistare anche la Rivoluzione dei Garofani che dopo tempo immemore riuscì a far cadere la dittatura di Salazar.
Il giovane Eusebio esordì nel Benfica quando la squadra si era appena laureata - ancora una volta - campione d'Europa. Al Benfica gioca interrottamente dal 1960 al 1975; il suo palmarès comprende: 11 campionati portoghesi , cinque Coppe del Portogallo e una Coppa Campioni del 1962. Una partita memorabile quella. Eusebio aveva da poco compuito 20 anni e, il 2 maggio 1962 si trova ad Amsterdam pronto a giocarsi la partita della vita. Non è una partita come le altre: vale la vittoria della Coppa Campioni - la coppa dalle "grandi orecchie", come la chiamano cronisti e tifosi di tutta Europa - l'avversario che la "Pantera Nera" si trova davanti è quello da far tremare i polsi. E' il Real Madrid, il club "merengues", pluridecorato, infarcito di grandi campioni del calibro di Puskas - il fenomenale giocatore magiaro e, il grandissimo Alfredo Di Stefano elegantissimo centrocampista dal gioco universale, che sapeva far tutto con i piedi fatati di cui disponeva; giocatore di origene argentina, naturalizzato spagnolo - quel Real Madrid ambasciatore dei vessilli fascisti del Generalissimo Franco.
La finale prende subito una piega drammatica per la squadra di Lisbona: in men che non si dica, il Real Madrid è gia avanti di due gol, reti segnate entrambe da Puskas. Il Benfica però non si da per vinto riuscendo a risalire la corrente e a pareggiare. Tuttavia il real Madrid - con la forza dei vincenti e del grande club - riesce nuovamente a passare in vantaggio. Sembra la fine per il Benfica. Nella squadra portoghese milita un grandissimo giocatore, un giocatore dalla classe scristallina: Coluna che, nella gara più importante riesce a cancellare dal cuore della sfida per il "tetto d'Europa" nientemeno che Di Stefano e, riesce a portare sul pareggio il Benfica. A questo punto irrompe nella storia della finalissima Eusebio. Quando mancano 30 minuti alla fine dei tempi regolamentari, la "Pantera Nera" imperversa e spacca la partita riuscendo a segnare una storica doppietta portando il risultato finale sul 5 a 3. E' l'apoteosi di Eusebio e del Benfica.
-EUSEBIO E LA NAZIONALE PORTOGHESE
La carriera di Eusebio con la nazionale del Portogallo si snoda in appena 64 partite e con lo score invidiabile di 41 gol. Questa media eccezionale si deve al fatto che Eusebio con la maglia rosso-verde del Portogallo giocava in modo differente rispetto al Benfica: qui, la "Pantera Nera" si muoveva da "finto centravanti" - un ruolo toccato ad altri mostri sacri del calcio, giocatori del calibro di Pelé, Sivori e, in epoche a noi più prossime ad assi del calibro di Maradona e Messi - aveva compiti particolari Eusebio: svariare su tutto il "fronte d'attacco" in modo che poi, la sua presenza finiva col favorire un cursore infaticabile come José Augusto, un'ala velocissima Simoes e, sopratutto, un regista dalla classe immensa, un giocatore fantastico, colored (proprio come Eusebio), con la fascia da capitano al braccio, il già citato (e indimenticabile) Mario Coluna.
A Eusebio sono state dedicate pagine bellissime da parte di scrittori e narratori, uno di questi è il grandissimo scrittore uruguayano, Eduardo Galeano. In "Splendore e miserie del gioco del calcio" gli dedica un breve ma intenso ritratto: "Fece il suo ingresso sui campi correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni....E allora lo chiamarorno la Pantera. Nel Mondiale del '66, le sue zampate lasciarono un mucchio di avversari a terra e i suoi gol da angolazioni impossibili suscitarono ovazioni che sembravano non finire mai. Fu un africano del Mozambico il miglior giocatore di tutta la storia del Portogallo: Eusebio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste".
-EUSEBIO E IL PORTOGALLO DEMOCRATICO
Al termine della lunga dittatura di Salazar, Eusebio riesce inoltrarsi con naturalezza nel Portogallo democratico forse, in qualche modo - attraverso le sue proverbiali giocate - preannunciato quando ancora ci credevano in pochi. E' stato un personaggio atipico: rimanendo un individuo laconico, non ha mai avuto nè gli atteggiamenti nè l'appeal della star forse perché non ha potuto dimenticare mai da dove provenisse, da quale parte del mondo era nato e, che quella storia ( e quella geografia) porta indelebilmente i segni dell'asfissiante, opprimente colonialismo dal tratto decisamente razzista e altrettanto indelebile "faccia" militarista, sanfedista, del fascismo. Sarà per questi tratti che il suo volto ha sempre avuto quella sottile, intensa piga di tristezza e di malinconia che tanto lo rendeva simile a Lisbona, quella Lisbona cantata, descritta da Fernando Pessoa.
-L'ULTIMO SALUTIO.
Appena la notizia della morte dell'ex "Pantera Nera" è diventata di dominio pubblico, le autorità portoghesi hanno istituito 3 giorni di lutto nazionale. Il Portogallo intero si è fermato per ricordare Eusebio.Migliaia di tifosi del Benfica, commossi, sono accorsi - nella mattinata dell'Epifania, allo stadio "Da Luz", il tempio della squadra lusitana - e Lisbona ha così tributato il suo ultimo saluto al suo "figlio prediletto" quell'africano del Mozambico che con il suo ncalcio poetico li ha saputi ben rappresentare in tutto il mondo. Alle 11 i cancelli sono stati aperrti e, come espressamente richiesto dal grande giocatore, in mezzo al campo è stata allestita la camera ardente. A fare da cornice la feretro di Eusebio c'erano distese di fiori, candele, sciarpe e maglie del Benfica che, a turno sono state depositate ai piedi della statua dedicata al Pallone d'Oro 1965. A questo punto, per l'ultima volta, Eusebio e il suo feretro nella bara ha fatto l'ultimo giro d'onore nel "Da Luz". Negli stessi iostanti partiva l'inno del club cantato all'unisono da tutti i presenti. Il cerimoniale poi ha visto la processione del feretro per le strade di Lisbona.
Intanto il Benfica ha deciso che le maglie del club lusitano d'ora in avanti avranno l'immagine di Eusebio su sfondo nero.
Un ultimo sentito omaggio alla "Pantera Nera".

bob-fabiani.blogspot.it/

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Sound72
00sabato 1 febbraio 2014 12:49
è morto Luis Aragones, bandiera dell'Atletico Madrid da calciatore e allenatore e tecnico della Spagna campione d'Europa del 2008..il ciclo vincente di Iniesta and co. praticamente l'ha avviato lui.

giove(R)
00sabato 1 febbraio 2014 13:21
Re:
Sound72, 08/01/2014 18:28:


Quella "Pantera Nera" sospesa tra Mozambico e Portogallo:storia di Eusebio


Ci sono posti in cui il gioco del calcio è vissuto e praticato come un'arte: non solo un fatto agonistico e non solo fine a se stesso, i novanta minuti di una partita di calcio. Ci sono posti in cui il calcio è pura poesia popolare, sublime azione artistica che misteriosamente, si materializza senza alcun preavviso. Di questo calcio, uno degli alfieri, uno dei grandi interpreti - dello scroso secolo - è sicuramente stato Eusebio.
Questa è la sua storia.
E' stato molto più di un semplice giocatore Eusenio che, con il suo sorriso abbinato alla velocità d'esecuzione ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio, "do futebol" - come lo chiamano in Sudamerica - e, con quel sorriso, Eusebio Da Silva Ferreira ha saputo tracciare una linea strettissima che ha unito per sempre l'Africa, e il Mozambico - antica colonia portoghese - al Portogallo.
Eusebio se ne è andato domenica scorsa all'età di 71 anni e lascia in eredità 300 gol con la mitica maglia rossa del Benfica; e 41 gol - in appena 64 partite - con la maglia (rossa anch'essa) del Portogallo. Aveva un repertorio calcistico vario e irresistibile: il "suo" calcio era animato dalla giocata d'astuzia abbinata anche all'esecuzione acrobatica che spesso e volentieri, sapeva lasciare di stucco difensori e portieri avversari. Lo chiamavano "Pantera Nera" per la rapidità e la velocità del suo modo di giocare e per il colore della sua pelle.
-LE ORIGINI
Eusebio Da Silva Ferreira era nato in un giorno imprecisato del 1942 - solo molto più tardi gli venne comunicato che un giorno buono poteva essere il 25 gennaio - a Lourenco Marques, l'attuale Maputo, in Mozambico. Era poverissimo, ultimo di otto figli, orfano di padre. Le sue origini sono talmente umili che, quando si mette a giocare con palloni di fortuna - e di stracci - lo chiamano "Ninguém" ovvero "niente, nessuno". Ma non sarà così. perché Eusebio, sarà destinato a divenire uno dei più grandi calciatori del Novecento.
Il suo volto è perennemente malinconico e, questo deve averlo aiuto non poco quando arrivò a Lisbona poco più che dicottenne. un filo sottile lega le origini africane della "Pantera Nera" al destino del Portogallo, di quel Portogallo che sotto la spinta colonialista e fascista di Salazar sbarcherà in Africa per conquistare il Mozambico e le altre colonie cosiddette dell'"Africa portoghese". Una malinconia che si armonizza con Lisbona schiacciata, umiliata dalla lunga dittatura fascista che finirà per essere asfissiata dal regime feroce e razzista proprio come in Africa e, in Mozambico in particolare.
Tuttavia il suo calcio è pura poesia e allegria e le "sue" giocate riescono a dare un pò di sollievo al popolo portoghese e, ai tifosi del Benfica in particolare.
-LA CARRIERA
La leggenda vuoloe che Eusebio sia stato scoperto da un ex calciatore italiano, un ex portiere della Juventus, Ugo Amoretti, allenatore della formidabile futura "Pantera Nera" nel piccolo e modesto club di Lourenco. L'allenatore italiano lo segnala prontamente ai dirigenti delle squadre italiane ma, non lo ascoltano e non gli danno credito. Invece, la segnalazione dell'ex centrocampista della nazionale brasiliana Bauer va a buon fine: l'ex giocatore lo segnala all'ebreo ungherese Béla Guttman - a quel tempo tecnico del club lusitano non ancora diventato grande - che lo porta immediatamente alla squadra di Lisbona molto meno prestigiosa dello Sporting.
Fu così che Eusebio arrivò in al Benfica e conquistò tutti diventando l'ambasciatore nel mondo del Portogallo intero; divenne un simbolo transanazionale finendo per conquistare anche la Rivoluzione dei Garofani che dopo tempo immemore riuscì a far cadere la dittatura di Salazar.
Il giovane Eusebio esordì nel Benfica quando la squadra si era appena laureata - ancora una volta - campione d'Europa. Al Benfica gioca interrottamente dal 1960 al 1975; il suo palmarès comprende: 11 campionati portoghesi , cinque Coppe del Portogallo e una Coppa Campioni del 1962. Una partita memorabile quella. Eusebio aveva da poco compuito 20 anni e, il 2 maggio 1962 si trova ad Amsterdam pronto a giocarsi la partita della vita. Non è una partita come le altre: vale la vittoria della Coppa Campioni - la coppa dalle "grandi orecchie", come la chiamano cronisti e tifosi di tutta Europa - l'avversario che la "Pantera Nera" si trova davanti è quello da far tremare i polsi. E' il Real Madrid, il club "merengues", pluridecorato, infarcito di grandi campioni del calibro di Puskas - il fenomenale giocatore magiaro e, il grandissimo Alfredo Di Stefano elegantissimo centrocampista dal gioco universale, che sapeva far tutto con i piedi fatati di cui disponeva; giocatore di origene argentina, naturalizzato spagnolo - quel Real Madrid ambasciatore dei vessilli fascisti del Generalissimo Franco.
La finale prende subito una piega drammatica per la squadra di Lisbona: in men che non si dica, il Real Madrid è gia avanti di due gol, reti segnate entrambe da Puskas. Il Benfica però non si da per vinto riuscendo a risalire la corrente e a pareggiare. Tuttavia il real Madrid - con la forza dei vincenti e del grande club - riesce nuovamente a passare in vantaggio. Sembra la fine per il Benfica. Nella squadra portoghese milita un grandissimo giocatore, un giocatore dalla classe scristallina: Coluna che, nella gara più importante riesce a cancellare dal cuore della sfida per il "tetto d'Europa" nientemeno che Di Stefano e, riesce a portare sul pareggio il Benfica. A questo punto irrompe nella storia della finalissima Eusebio. Quando mancano 30 minuti alla fine dei tempi regolamentari, la "Pantera Nera" imperversa e spacca la partita riuscendo a segnare una storica doppietta portando il risultato finale sul 5 a 3. E' l'apoteosi di Eusebio e del Benfica.
-EUSEBIO E LA NAZIONALE PORTOGHESE
La carriera di Eusebio con la nazionale del Portogallo si snoda in appena 64 partite e con lo score invidiabile di 41 gol. Questa media eccezionale si deve al fatto che Eusebio con la maglia rosso-verde del Portogallo giocava in modo differente rispetto al Benfica: qui, la "Pantera Nera" si muoveva da "finto centravanti" - un ruolo toccato ad altri mostri sacri del calcio, giocatori del calibro di Pelé, Sivori e, in epoche a noi più prossime ad assi del calibro di Maradona e Messi - aveva compiti particolari Eusebio: svariare su tutto il "fronte d'attacco" in modo che poi, la sua presenza finiva col favorire un cursore infaticabile come José Augusto, un'ala velocissima Simoes e, sopratutto, un regista dalla classe immensa, un giocatore fantastico, colored (proprio come Eusebio), con la fascia da capitano al braccio, il già citato (e indimenticabile) Mario Coluna.
A Eusebio sono state dedicate pagine bellissime da parte di scrittori e narratori, uno di questi è il grandissimo scrittore uruguayano, Eduardo Galeano. In "Splendore e miserie del gioco del calcio" gli dedica un breve ma intenso ritratto: "Fece il suo ingresso sui campi correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni....E allora lo chiamarorno la Pantera. Nel Mondiale del '66, le sue zampate lasciarono un mucchio di avversari a terra e i suoi gol da angolazioni impossibili suscitarono ovazioni che sembravano non finire mai. Fu un africano del Mozambico il miglior giocatore di tutta la storia del Portogallo: Eusebio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste".
-EUSEBIO E IL PORTOGALLO DEMOCRATICO
Al termine della lunga dittatura di Salazar, Eusebio riesce inoltrarsi con naturalezza nel Portogallo democratico forse, in qualche modo - attraverso le sue proverbiali giocate - preannunciato quando ancora ci credevano in pochi. E' stato un personaggio atipico: rimanendo un individuo laconico, non ha mai avuto nè gli atteggiamenti nè l'appeal della star forse perché non ha potuto dimenticare mai da dove provenisse, da quale parte del mondo era nato e, che quella storia ( e quella geografia) porta indelebilmente i segni dell'asfissiante, opprimente colonialismo dal tratto decisamente razzista e altrettanto indelebile "faccia" militarista, sanfedista, del fascismo. Sarà per questi tratti che il suo volto ha sempre avuto quella sottile, intensa piga di tristezza e di malinconia che tanto lo rendeva simile a Lisbona, quella Lisbona cantata, descritta da Fernando Pessoa.
-L'ULTIMO SALUTIO.
Appena la notizia della morte dell'ex "Pantera Nera" è diventata di dominio pubblico, le autorità portoghesi hanno istituito 3 giorni di lutto nazionale. Il Portogallo intero si è fermato per ricordare Eusebio.Migliaia di tifosi del Benfica, commossi, sono accorsi - nella mattinata dell'Epifania, allo stadio "Da Luz", il tempio della squadra lusitana - e Lisbona ha così tributato il suo ultimo saluto al suo "figlio prediletto" quell'africano del Mozambico che con il suo ncalcio poetico li ha saputi ben rappresentare in tutto il mondo. Alle 11 i cancelli sono stati aperrti e, come espressamente richiesto dal grande giocatore, in mezzo al campo è stata allestita la camera ardente. A fare da cornice la feretro di Eusebio c'erano distese di fiori, candele, sciarpe e maglie del Benfica che, a turno sono state depositate ai piedi della statua dedicata al Pallone d'Oro 1965. A questo punto, per l'ultima volta, Eusebio e il suo feretro nella bara ha fatto l'ultimo giro d'onore nel "Da Luz". Negli stessi iostanti partiva l'inno del club cantato all'unisono da tutti i presenti. Il cerimoniale poi ha visto la processione del feretro per le strade di Lisbona.
Intanto il Benfica ha deciso che le maglie del club lusitano d'ora in avanti avranno l'immagine di Eusebio su sfondo nero.
Un ultimo sentito omaggio alla "Pantera Nera".

bob-fabiani.blogspot.it/

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non lo sapevo.. mi dispiace
lucaDM82
00sabato 26 aprile 2014 12:22
22:50 - Tito Vilanova non ce l'ha fatta. L'ex allenatore del Barcellona, ricoverato in gravi condizioni in un ospedale della città catalana, è morto a 45 anni a causa dell'aggravarsi del tumore alla ghiandola parotidea. Inutile è stato l'ennesimo intervento di urgenza per le complicazioni a livello gastrico, Vilanova si è arreso alla grave malattia che lo perseguitava dal 2011. A darne l'annuncio alla stampa spagnola è stata la famiglia del tecnico.
-------------------------------------

che calvario che ha passato,mi dispiace molto.
RIP [SM=g27992]
Sound72
00domenica 27 aprile 2014 23:10
Addio pure a Vujadin Boskov...

a momenti ci porta in B l'anno con Ciarrapico arrestato e Caniggia dopato..
ma impossibile non volergli bene...
lucaDM82
00domenica 27 aprile 2014 23:26
mi dispiace,erano anni che non si avevano notizie di boskov.Un protagonista del calcio vero e un personaggio genuino.Grande quella samp.Da noi è capitato nel momento sbagliato.rip
Sound72
00lunedì 2 giugno 2014 20:50
Brasile, morto Francisco Marinho fu una delle stelle di Monaco '74

L'ex terzino della nazionale verdeoro, celebre per la sua capigliatura, lo stile di gioco arrembante e una vita sregolata, è deceduto per una emorragia interna durante un evento a Joao Pessoa. Aveva 62 anni ed aveva problemi di alcol. Negli anni Settanta era un idolo: fece anche un tunnel a Pelè.

E' morto all'alba di oggi, all'età di 62 anni, Francisco das Chagas Marinho, da tutti conosciuto come Francisco Marinho. Ex terzino della nazionale brasiliana degli anni Settanta, Marinho è rimasto vittima di una emorragia interna ieri durante un evento dedicato ai collezionisti di figurine Panini (popolarissime anche in Brasile) a cui stava partecipando, nella città di Joao Pessoa. Immediatamente soccorso, era stato poi ricoverato in un ospedale cittadino, dove è morto all'alba di oggi, alle 3 ora brasiliana, secondo quanto ha confermato la famiglia dell'ex calciatore, che aveva 62 anni. Era stato uno dei giocatori simbolo dei mondiali tedeschi del 1974. "Uno degli ultimi romantici del calcio ha perso la lotta contro l'alcol" ha titolato Tv Globo (ripreso poi anche dal sito 'Globoesporte') annunciando la scomparsa dell'ex calciatore.

Francisco Marinho, nato nel 1952 a Natal, si era calcisticamente 'consacratò nel Botafogo, poi aveva giocato nel Fluminense e nel San Paolo, prima di diventare una delle stelle dei New York Cosmos, dove era andato per far parte di un team di stelle come Pelè (al quale una volta fece un tunnel in un Botafogo-Santos al Maracanà), Beckenbauer, Chinaglia, Carlos Alberto e Neeskens. Tornato in patria giocò nel Fortaleza, per poi vivere un'esperienza in Germania, all'Augsburg.

Famoso per i lunghi capelli biondi che lo rendevano popolarissimo presso il pubblico femminile (era considerato, anche per il suo stile di vita, una sorta di 'George Best brasiliano'), è stato uno dei primi terzini 'all'olandese' con le sue sgroppate sulla fascia sinistra, nonostante il suo piede preferito fosse il destro. Da tempo colui che al Botafogo venne considerato l'unico erede dell''Enciclopedia del calciò Nilton Santos, aveva problemi di dipendenza dall'alcol e già l'anno scorso aveva rischiato di morire per un'altra emorragia interna. In quella circostanza, dopo un ricovero in terapia intensiva di dieci giorni in un ospedale di Natal, aveva giurato "di non bere più nemmeno una goccia d'alcol: l'anno prossimo ci sono i Mondiali in casa nostra, e non posso proprio perdermeli". Purtroppo 'o Bruxa' (la Strega), com'era soprannominato, non potrà realizzare questo desiderio.

repubblica.it

www.youtube.com/watch?v=lxXaXfwhfJk

gran fisico, triste fine
Sound72
00venerdì 13 giugno 2014 16:58
Carlos Caszely: l'attaccante che non salutava Pinochet

Santiago del Cile, 21 novembre 1973. A due mesi dal golpe militare che ha portato al potere il generale Augusto Pinochet, la nazionale di calcio si gioca la qualificazione ai Mondiali dell'anno successivo, in programma in Germania Ovest: sulla strada dei sudamericani c'è lo spareggio contro la temibile Unione Sovietica. Il 26 settembre a Mosca va in scena il match di andata: le due squadre chiudono a reti inviolate grazie all'eccellente prestazione dei centrali difensivi cileni Quintano e Figueroa. Il ritorno è in programma nella capitale cilena: lo stadio nazionale, da luogo dedicato allo sport più popolare del mondo, è diventato in men che non si dica un grande campo di concentramento a cielo aperto. Gli spalti si trasformano in prigioni, gli spogliatoi nel luogo delle fucilazioni, i sotterranei nelle camere di tortura.
L'eco della triste trasformazione dell'Estádio Nacional solca gli oceani e giunge in tutto il mondo: i sovietici si rifiutano di giocare in uno stadio pieno di prigionieri politici, chiedono di far disputare il match di ritorno in campo neutro ed invitano la Fifa ad effettuare delle verifiche all'interno dell'impianto. Gli ispettori del massimo organo calcistico mondiale, però, non ravvisano alcuna irregolarità e concedono l'agibilità all'Estádio Nacional. Ma l'Urss, frattanto, non si schioda dalla sua posizione: in segno di protesta, non scenderà in campo. La Roja allenata da Luis Álamos viene invitata dalla Federcalcio nazionale a presentarsi comunque allo stadio, con la consapevolezza che i sovietici sono rimasti a Mosca: la vittoria a tavolino per 2-0 qualifica di diritto il Cile ai prossimi Mondiali.
I militari approfittano dell'occasione per radunare sugli spalti migliaia di tifosi che assistono ad una delle più grandi pantomime nella storia dello sport: la nazionale cilena scende in campo contro un avversario fantasma, con un arbitro austriaco che si presta alla messinscena, pronto a dare il fischio d'inizio di un'assurda contesa.

Dopo essere passato tra i piedi di nove diversi giocatori, il pallone finisce a Carlos Caszely, popolare attaccante del Colo Colo e fervido sostenitore di Allende: deciso a calciarlo in fallo laterale per non prestarsi alla farsa sceneggiata dal regime, all'ultimo istante lo passa al capitano Francisco Valdés, figlio di operai e militante di sinistra, l'incaricato di depositare la sfera nella porta sguarnita. Valdés, al rientro negli spogliatoi, si rinchiude in bagno ed inizia a vomitare. Anche Caszely si sente un vigliacco e con lui tutti gli altri giocatori: la paura che serpeggiava prima dell'incontro adesso cede spazio alla vergogna.

Berlino Ovest, 14 giugno 1974. Il Cile esordisce ai Mondiali contro i padroni di casa della Germania Ovest: i tedeschi rompono gli indugi con una staffilata di Breitner, il terzino sinistro maoista, e mantengono l'esiguo ma prezioso vantaggio sino alla fine. Non è una giornata memorabile per Caszely: El Gerente - questo il suo soprannome - tenta di scalciare il difensore avversario Vogts e si fa espellere, divenendo così il primo calciatore nella storia dei Mondiali a vedersi sventolare il cartellino rosso, introdotto nell'edizione precedente.

La Roja, orfana del suo principale terminale offensivo, pareggia il successivo incontro con la Germania Est (1-1) per poi chiudere mestamente con uno scialbo 0-0 contro la modesta Australia. L'uscita di scena è tanto immediata quanto ingloriosa, il rosso della maglia sembra coincidere con il sangue di cui il regime si è macchiato, così come sporca era la qualificazione del Cile ai Mondiale.

Per anni quella stessa maglia sarà interdetta a Caszely, a causa della sua avversione a Pinochet: viene richiamato per la Copa America del 1979, nel corso della quale trascina i compagni in finale, e poi contribuisce alla qualificazione per i Mondiali di Spagna del 1982. Qui Carlitos fallisce un rigore nell'incontro con l'Austria: la stampa cilena lo accuserà di averlo fatto intenzionalmente per le sue simpatie socialiste. Chiude la sua esperienza in nazionale con 49 presenze e 29 reti: attualmente è il terzo miglior marcatore di sempre nella storia della Roja, dopo l'ex laziale Marcelo Salas e l'ex interista Ivan Zamorano. Nel 1985 si ritira dall'attività agonistica: la sua ultima partita si chiude come una tumultuosa manifestazione politica, contrassegnata da numerosi incidenti.

Dopo aver vissuto per anni con un profondo senso di vergogna per non aver fatto niente per il suo paese, per gli amici seviziati e fucilati allo stadio, Caszely decide di uscire allo scoperto. Corre l'anno 1988: le norme transitorie della Costituzione, scritta e voluta dallo stesso Pinochet, prevedono l'indizione di un referendum per votare un nuovo mandato presidenziale della durata di 8 anni. Nella propaganda elettorale televisiva Caszely diventa protagonista di un duro spot contro il dittatore: l'ex attaccante racconta la cruda storia di sua madre, sequestrata e torturata dai golpisti.

La sua popolarità, specie tra i cileni che avevano subito gli orrori del regime, contribuisce alla sorprendente vittoria del fronte del No con il 58% dei consensi: la Costituzione stessa prevede adesso libere elezioni per l'anno successivo. Alle urne i cileni decidono di voltare pagina, scegliendo il candidato avversario Patricio Aylwin, esponente di centrosinistra.

Tuttavia, Pinochet rimane a capo dell'esercito fino al 1998, divenendo in seguito senatore a vita con il beneficio dell'immunità parlamentare e ricevendo nel frattempo (1993) una speciale benedizione da parte del papa Giovanni Paolo II. Muore il 10 dicembre 2006, dopo diciassette anni di dittatura e 30mila vittime sulla coscienza e senza un solo giorno trascorso in un carcere.

Intervistato da una radio spagnola, Caszely, divenuto nel frattempo giornalista sportivo e commentatore in patria per l'emittente tv Canal 13, ha raccontato all'indomani della scomparsa del dittatore: "Nella nazionale cilena non ci fu mai un sì o un no: non si parlava di politica". E poi: "Tutte le volte in cui ho incontrato Augusto Pinochet in occasioni ufficiali non l'ho salutato né gli ho dato la mano, non mi sono mai piaciuti i dittatori. Credo nella democrazia e credo anche di essere stato l'unico calciatore democratico degli anni Settanta".

simonepierotti.blogspot.it/2009/ ... ochet.html

La farsa di Cile-Urss

www.youtube.com/watch?v=KvMi0cXaZDI

Si disse anche che Caszely si fece espellere contro i tedeschi dell'ovest per non giocare contro la DDR del regime comunista e della Stasi.
Che storia cmq
Sound72
00lunedì 7 luglio 2014 19:49
Addio ad Alfredo Di Stefano, leggenda e signore del calcio

Aveva 88 anni. Per molti era più forte di Pelé e Maradona.
Due volte Pallone d’Oro, vinse tutto con la maglia del Real


La «saeta rubia» ha smesso di correre, Alfredo Di Stefano è morto oggi due giorni dopo essere stato colto da infarto. Al di là dei numeri (1 Coppa America appena ventenne, 8 volte campione di Spagna col Real, 5 Coppe dei Campioni consecutive sempre con le «merengues» e segnando in tutte le finali, 2 Palloni d’oro), la Storia lo ricorderà come una leggenda e comunque tra i più grandi di sempre.

“Meglio di Pelé e Maradona” Molti di quelli che lo hanno visto giocare, infatti, sono pronti a giurare che la sua grandezza fosse addirittura superiore a quella di Pelé e Maradona. La classifica rimane arbitraria e comunque impossibile da stilare, certo è che la “saeta rubia” è stato il primo giocatore universale.

Voluto da Franco
Di Stefano, scomparso all’età di 88 anni, era nato a Buenos Aires: ma fu in Spagna, nel Real Madrid, che scrisse pagine indelebili del calcio mondiale. Per uno scherzo del destino, Di Stefano era destinato a vestire la maglia del Barcellona, ma fu dirottato nella capitale spagnola da un intervento diretto del Caudillo Franco. Fu soprannominato la «saetta bionda» perché spaziando in ogni parte del campo era capace di salvare la sua porta dal gol per infilare poi subito la palla nella porta avversaria, raggiunta con una delle sue discese travolgenti che gli portarono appunto il soprannome di «saeta rubia». In più, aveva una caratteristica unica per quei tempi: un attaccante di pura classe che aiutava la difesa, impostava l’azione e andava in gol. Il tutto ad una velocità sconosciuta per quei tempi, quando il calcio si muoveva ancora al rallentatore. Insomma, un leader per classe, carisma e per quell’innato senso di superiorità, proprio di un altro argentino che trent’anni dopo gli avrebbe rubato la scena.
Gli esordi e i trionfi
Dopo un inizio di carriera nell’argentino River Plate e nei Millionarios di Bogotà, contribuì poi in maniera determinante ai successi del Real Madrid dal 1953 al 1964. Eletto Pallone d’oro due volte (1957 e 1959), Di Stefano aveva realizzato 49 gol in 58 partite di Coppa Campioni (l’attuale Champions League) che aveva vinto cinque volte consecutive con il Real (1956-60), mentre era stato otto volte campione di Spagna. Nel 1989, una giuria formata dai lettori di France Football lo pose al vertice della speciale classifica “Super Pallone d’Oro”, davanti ai nomi pur prestigiosi di giocatori come Cruijff, Platini e Beckenbauer.
Il flop da allenatore
La sua carriera di allenatore non fu altrettanto fulgida come quella di giocatore. Anzi, fu costellata da molti esoneri, prima fra tutti da quello del Real Madrid, di cui prese la guida nel 1982, succedendo al dimissionario Vujadin Boskov ma che fu costretto a lasciare dopo meno di due anni. Poca fortuna anche con il Boca Juniors nel 1985 ed altro esonero dalla panchina del Valencia preso nel 1987 e costretto a lasciare l’anno dopo. Né ebbe molta fortuna il successivo ritorno alla guida del Real nel novembre del 1990 durato appena pochi mesi. Decisiva per il secondo esonero fu l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni, nel marzo dell’anno successivo, sconfitto in casa 3-1 dallo Spartak Mosca.


Campione anche fuori dal campo
Dopo questo esonero, la vecchia gloria madridista tornò a fare il consigliere del presidente, fino a essere nominato successivamente presidente onorario del club. Al leggendario ex-giocatore argentino è intitolato anche lo stadio del Real Madrid Castilla, la squadra riserve delle merengues. Situato nel centro sportivo di Valdebebas, fu inaugurato nel maggio 2006. Campione a tutto tondo, in campo e fuori, campo, Di Stefano ha vinto tutto e incantato tutti. Con l’unica «sfortuna» di essere grandissimo quando la televisione era ancora troppo piccola per poterlo celebrarne come avrebbe meritato il suo innato talento.


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