Guerre

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Sound72
00giovedì 4 agosto 2011 14:02
sempre a proposito di La Russa...

ieri..

Missile libico sfiora nave italiana

La Russa: non eravamo noi l'obiettivo

Ma l'obiettivo era la nave italiana? «È totalmente da escludere», ha risposto il ministro della Difesa La Russa, che ha parlato di «un fatto episodico»: valutazioni - secondo quanto si apprende - condivise «in pieno» alla Farnesina, dove si considera l'episodio come gesto di frustrazione di un regime in chiara difficoltà. Il ministro (secondo cui «anche un bambino non commetterebbe con nessun tipo di arma un errore di due chilometri») ha quindi invitato a «non creare allarmismi» perché quello che a suo dire era un razzo «è caduto lontanissimo dalle coste italiane, ma vicino alla costa di Misurata» e quindi è «fuorviante» fare paragoni con i missili lanciati contro Lampedusa da Gheddafi nel 1986.

oggi...


Libia: il missile era contro la nave italiana


Il portavoce del governo libico, Mussa Ibrahim, ha rivendicato il lancio di ieri del missile contro la nave italiana Bersagliere, al largo delle coste libiche. Il portavoce del governo ha riferito ai cronisti presenti a Tripoli che il missile è stato lanciato da truppe fedeli a Muammar Gheddafi ed era diretto a colpire la Bersagliere.

«Abbiamo sorprendenti capacità che non abbiamo ritenuto necessario usare - ha detto Mussa - Il nostro esercito è ancora molto forte. Non abbiamo ancora usato la nostra vera potenza militare». Il portavoce ha poi negato che le capacità militari delle forze pro-Gheddafi siano ridotte al 20%, liquidando le stime della Nato con una battuta: «Se fosse veramente al 20% cosa sarei a fare qui?».

«Prendo atto di quello che dice il governo libico ma in ogni caso le loro parole appaiono, in tutta evidenza, mera propaganda». Lo dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, replicando alle affermazioni del portavoce del governo libico, Moussa Ibrahim.

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adesso fagliene tirà un altro de missile.. [SM=g10633]
Sound72
00giovedì 1 settembre 2011 12:07
Caccia a Gheddafi (che per ora beffa tutti)

Muammar Gheddafi si nasconde ancora a Tripoli, forse a Sirte oppure nella base sotterranea nel deserto di Sebha. O forse è fuggito in Sudan, in Zimbabwe, probabilmente in Ciad, Algeria, Tunisia Niger, Burkina Faso, in Sudafrica o in Venezuela, addirittura in Aspromonte.
Dalla caduta di Tripoli (che però è ancora in parte sotto il controllo dei lealisti) sulla sorte del raìs sono circolate voci di ogni tipo, indiscrezioni provenienti dagli ambienti dell'intelligence, rivelazioni degli insorti, ammissioni di ex uomini chiave del regime. Rivelatesi finora tutte infondate se non veri e propri depistaggi utili a coprire la fuga dell'irriducibile Colonnello che secondo quanto riferito odal suo portavoce, Ibrahim Moussa, sarebbe pronto a trattare la resa e la transizione e avrebbe incaricato il figlio Saadi dei negoziati. Ma dove può essersi nascosto Gheddafi? I ribelli libici non hanno informazioni su dove si trovino il colonnello Muammar Gheddafi e i suoi figli come ha ammesso Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), durante una conferenza stampa a Bengasi.

sta in Aspromonte...

Sound72
00giovedì 20 ottobre 2011 14:37
lucolas999
00giovedì 20 ottobre 2011 18:09
dalle foto sembra abbastanza morto...
Sound72
00lunedì 2 aprile 2012 17:25
Falklands, 30 anni fa la guerra che continua a dividere


BUENOES AIRES – Era una mattina fresca di autunno, Buenos Aires si svegliava, come sempre, con i bollettini radio della dittatura militare, che questa volta avevano una notizia davvero importante.
Trent’anni fa l’Argentina aveva occupato le isole Malvinas, l’arcipelago al largo delle coste della Terra del Fuoco, da più di un secolo dominate dal Regno Unito. Non era stata affatto un’impresa: a Port Stanley, ribattezzato subito Puerto Argentino, c’era solo un piccolo gruppo di poliziotti che si arresero immediatamente e furono arrestati, il governatore ci mise mezza giornata a comunicare quanto successo a Londra.
Il mondo veniva così a conoscenza di quel sperduto drappello di isole, le Falklands. Per i britannici e per due mesi una nuova guerra avrebbe occupato tutti i notiziari. Il regime argentino aveva architettato il piano come una forma per riconquistare la fiducia della popolazione, in un paese stremato dalla crisi economica dopo sei anni di feroce dittatura.
La Piazza di Maggio era piena di gente entusiasta alle parole del generale Leopoldo Galtieri, comandante della Junta Militar. “Lo deve sapere tutto il mondo. Oggi un popolo orgoglioso come il nostro ha alzato la testa e si è ripreso ciò che gli appartiene. Se vogliono venire a combattere che lo facciano pure, li affronteremo in battaglia”.
Galtieri, in realtà, era terrorizzato all’idea della guerra, cosciente dell’enorme differenza fra il potenziale argentino e quello di Londra. Per questo tutti gli sforzi furono diretti all’azione diplomatica, soprattutto per cercare di convincere gli Stati Uniti, che avevano appoggiato il golpe, a schierarsi a favore di Buenos Aires.

La guerra del 1982 - Nulla di più sbagliato. Washington non poteva dimenticare la storica alleanza con la Gran Bretagna. A Londra Margaret Tatcher capì subito che una guerra sarebbe stata la soluzione ideale per ritrovare il feeling perduto con l’opinione pubblica e mettere in secondo piano le proteste dei minatori e dei sindacati per i tagli sociali pesanti del governo conservatore.
Fu la guerra, con il lungo viaggio delle navi inglesi verso le isole, le battaglia cielo-aria con i coraggiosi piloti argentini che cercavano di tener lontani gli incrociatori nemici. Ci fu anche il bombardamento della nave argentina Generale Belgrano mentre si trovava fuori dall’area del conflitto, un crimine di guerra che causò la morte di trecento soldati.
Cinquantadue giorni di conflitto, mille morti fra le due parti e alla fine la resa incondizionata firmata il 14 giugno, proprio nel mezzo del mondiale di calcio in Spagna.

Nuova tensione tra Londra e Buenos Aires - La nazionale guidata da Diego Armando Maradona era campione del mondo in carica, ma fu bloccata dall’Italia di Bearzot. Quattro anni più tardi Diego si vendicherà a modo suo, sotto il sole dello Stadio Azteca, con “la mano de Dios” e poi con il gol più bello del mondo.
Le relazioni fra Londra e Buenos Aires, oggi, sono tornate ad essere difficili. Il governo della presidente argentina Cristina Kirchner ha lanciato una grande offensiva diplomatica guadagnandosi l’appoggio di tutti i paesi sudamericani; il Brasile e l’Uruguay si rifiutano di far entrare nei loro porti le navi britanniche dirette verso le isole. Il premier inglese David Cameron ha dovuto spiegare in parlamento che da parte britannica non c’è nessuna intenzione di negoziare. “La gente che vive sulle isole vuole continuare a far parte del nostro paese, sono gli argentini ad essere, oggi, dei colonialisti”. Orgoglio nazionale, sentimento popolare, ma anche considerazioni economiche.

Alla ricerca del petrolio - Al largo della Falklands-Malvinas si pesca molto, sulle isole c’è una discreta attività turistica, ma soprattutto si cerca da tempo il petrolio, con due piattaforme off-shore pronte a scavare nella profondità dell’Oceano Atlantico. In Argentina il sentimento malvinero è ancora fortissimo. Anche se nessuno si sognerebbe nemmeno lontanamente una nuova guerra, la popolazione appoggia gli sforzi diplomatici del governo. Sforzi che sono avallati anche da artisti britannici come il cantante Morrisey (ex Smiths) e Roger Waters (ex Pink Floyd) che sono passati recentemente in tour a Buenos Aires.
Il futbol, manco a dirlo, accompagna da sempre questo reclamo; non c’è curva argentina dove non si canti almeno una volta per partita il celebre “chi non salta è un inglese”. Dieguito, oggi a Dubai e con voglia di tornare a risolvere i suoi problemi con il fisco italiano, appoggia. Sua figlia Dalma lo sa bene, al mettere sul suo profilo Facebook una foto dove indossa una maglietta inglese ha subito scritto; “me la devo togliere subito, altrimenti papà si arrabbia come una bestia”. Due settimane fa si è corsa la tradizionale maratona delle isole Falklands.
A vincerla è stata Pedro Caceres, reduce di guerra argentino, sorretto da una squadra composta da ex commilitoni. Non ha potuto sventolare la bandiera argentina, proibita tassativamente sulle isole, ma la soddisfazione di essersi lasciato alle spalle atleti di vent’anni più giovani non gliele toglie nessuno. “L’anno prossimo gli inglesi chiameranno a correre per loro dei maratoneti keniani pur di vincerla!"

tg24.sky.it
Sound72
00venerdì 6 aprile 2012 09:42
Bosnia, a Sarajevo 11mila sedie vuote per ricordare le vittime dell'assedio

Venti anni fa l'inizio della guerra civile


A venti anni dalla guerra in Bosnia, Sarajevo ricorda le vittime del sanguinoso assedio alla città. Per commemorare i morti, le autorità cittadine hanno organizzato un concerto davanti a 11.541 sedie rosse vuote, l'esatto numero delle vittime dell'attacco alla capitale bosniaca da parte delle forze serbobosniache e dell'esercito jugoslavo.
Le sedie rosse sono state raccolte in 825 file lungo la principale arteria della città il Viale Maresciallo Tito. Tra il 1992 e il 1995 la popolazione di Sarajevo visse costantemente esposta al fuoco dei cecchini, ai bombardamenti, agli attentati, tagliata fuori dai rifornimenti di generi alimentari, medicinali, acqua ed elettricità, completamente dipendente dagli aiuti umanitari internazionali. Oltre ai circa 11mila morti, l'assedio provocò decine di migliaia di feriti, e distruzioni.
La guerra civile a Sarajevo scoppiò dopo la proclamazione di indipendenza, il 3 marzo 1992. Il 5 aprile i cecchini aprirono il fuoco contro una folla di circa 50mila persone che si era riunita davanti al parlamento per manifestare a favore della pace. La città fu circondata dalle forze serbe che si posizionarono sulle colline circostanti. A partire dal mese di maggio di quell'anno iniziò il blocco di sarajevo che fu tagliata fuori dal mondo esterno.
tgcom.it

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11mila solo a Sarajevo..in tutta la Bosnia arrivarono a 100mila..
Sound72
00martedì 12 marzo 2013 16:49
La "guerra mondiale" di Siria


Si può parlare di "guerra mondiale di Siria" per l'elevato numero delle nazioni impegnate nel conflitto.

Oggi la Siria non è più da considerare un unico stato.
Una parte è controllata dal regime di Bashar Assad, l'altra parte è controllata direttamente o indirettamente dal movimento rivoluzionario siriano.
Il territorio controllato dal movimento rivoluzionario è a sua volta diviso, questo perché i rivoltosi non fanno parte di un unico gruppo, ma sono più organizzazioni, ognuna con i propri progetti, con le proprie ideologie, e soprattutto ognuno con i propri finanziatori.

La guerra in Siria può essere vista come una guerra mondiale in quanto, anche se si combatte in uno spazio ristretto, le forze impegnate sono molte, e provengono da quasi tutti i continenti. Dall'Europa vengono Francia ed Inghilterra.
Dall'America gli Stati Uniti, che malgrado non sono intervenuti in modo massiccio, guardano interessati al conflitto, soprattutto guardano i movimenti della grande nemica silenziosa degli Usa, la Cina, e sono pronti ad agire.
Dall'Asia troviamo gran parte dei paesi arabi, Israele, Iran e Russia.

Ognuna di queste nazioni gioca in Siria una guerra con interessi che vanno al di là delle rivendicazioni di libertà della popolazione siriana.
Schierati con Assad troviamo l'Iran e la Russia.
L'Iran sente l'intervento europeo e statunitense in Siria come un attacco diretto contro di se, e cerca di difendere le posizioni che vigevano prima dello scoppio del conflitto.
La Russia ha conservato, dopo la caduta dell'Urss, solo una base militare, e questa si trova in Siria, quindi deve difendere la sua posizione nella regione.
L'Arabia Saudita, nemica principale dell'Iran, appoggia alcuni dei gruppi rivoltosi contro il regime, lo stesso fanno Libano, Qatar, Turchia e Giordania.
Israele è già intervenuta, ma potrebbe farlo in modo molto più massiccio, perché teme le forze islamiche e popolari attive nel conflitto, forze da sempre ostili ad Israele.
Analizzare ciò che sta succedendo in Siria significa analizzare la situazione politica mondiale, il conflitto infatti mostra un riassunto di rapporti e tensioni fra le grandi potenze internazionali.

Un conflitto analogo avvenne tra il 1936 e il 1939 in Spagna con la rivoluzione spagnola.
In quel caso in uno scontro tra nazionalisti contro repubblicani, intervennero quelle forze internazionali che sarebbero state le protagoniste della seconda guerra mondiale.
L'Italia fascista, la Germania nazista, l'Unione sovietica, Francia e Gran Bretagna.

news.supermoney.eu


Quello che sta succedendo da mesi ad Aleppo nell'indifferenza generale è incredibile.
Sound72
00venerdì 4 ottobre 2013 16:26
E' morto il generale Giap,
eroe dell'indipendenza vietnamita



Aveva 102 anni. La notizia riferita da una fonte dell'esercito. Liberò il Vietnam dal dominio coloniale francese e guidò l'esercito contro gli Stati Uniti e Sud-Vietnam


E' morto il generale Giap, eroe dell'indipendenza vietnamita
Il generale vietnamita Vo Nguyen Giap, morto a 102 anni (ansa)
ROMA - E' morto all'età di 102 anni il generale Vo Nguyen Giap, l'eroe dell'indipendenza vietnamita che sconfisse gli eserciti francesi e statunitensi grazie alla tattica della guerriglia. Lo ha riferito all'agenzia di stampa France Presse una fonte dell'esercito. L

Vo Nguyen Giap, noto come "generale Giap", eroe militare e stratega, comandò le forze Viet Minh di Ho Chi Minh per liberare il suo paese dal dominio coloniale francese e l'esercito popolare vietnamita (Pavn) del Vietnam del nord contro le forze statunitensi e sudvietnamite nella guerra che durò dal 1960 al 1975.

"Posso confermare che il generale Giap è morto alle 18.08", ha indicato un responsabile del governo sotto condizione di anonimato. In Italia erano le 13.08. Giap è stato artefice delle vittorie contro la Francia e gli Stati Uniti. Era nato il 25 agosto 1911 a An Ka e dopo la riunificazione prestò servizio come ministro della Difesa e come vice-primo ministro vietnamita.

La vita. Giap era nato in una famiglia di contadini in una regione povera del Vietnam centrale. Suo padre riuscì a guadagnare abbastanza per mandare i figli a scuola, dove Giap lesse per la prima volta gli opuscoli di Ho Chi Minh. Negli anni '30 si iscrisse al Partito comunista indocinese, e nel 1940 Minh gli affido' l'organizzazione dei Viet Minh, un esercito di guerriglieri che liberarono il paese dall'occupazione francese. Successivamente divenne generale del Pavn del Vietnam del nord e combattè contro gli Stati Uniti e il Vietnam del sud. Alla riunificazione del Vietnam, fu nominato ministro della Difesa e poi vice Primo ministro. Giap era favorevole a un comunismo non dittatoriale ed ebbe un ruolo nella deposizione di Pol Pot, leader della Cambogia. Fu anche uno scrittore autobiografico: la sua ultima opera uscita in Italia è stata 'Masse armate ed esercito regolare'

E' morto il generale Vaught, anche lui in Vietnam. Ieri è morto a 86 anni un altro protagonista della guerra in Vietnam. il generale Usa James B.Vaught. Nel 1968 ebbe un ruolo centrale nella liberazione della città di Hué in Vietnam. Vaught è conosciuto anche per essere stato al comando, nel 1980, del fallito tentativo di liberare i 53 ostaggi americani in Iran.
Sound72
00mercoledì 22 novembre 2017 09:13
Re:
Sound72, 06/04/2012 09.42:

Bosnia, a Sarajevo 11mila sedie vuote per ricordare le vittime dell'assedio

Venti anni fa l'inizio della guerra civile


A venti anni dalla guerra in Bosnia, Sarajevo ricorda le vittime del sanguinoso assedio alla città. Per commemorare i morti, le autorità cittadine hanno organizzato un concerto davanti a 11.541 sedie rosse vuote, l'esatto numero delle vittime dell'attacco alla capitale bosniaca da parte delle forze serbobosniache e dell'esercito jugoslavo.
Le sedie rosse sono state raccolte in 825 file lungo la principale arteria della città il Viale Maresciallo Tito. Tra il 1992 e il 1995 la popolazione di Sarajevo visse costantemente esposta al fuoco dei cecchini, ai bombardamenti, agli attentati, tagliata fuori dai rifornimenti di generi alimentari, medicinali, acqua ed elettricità, completamente dipendente dagli aiuti umanitari internazionali. Oltre ai circa 11mila morti, l'assedio provocò decine di migliaia di feriti, e distruzioni.
La guerra civile a Sarajevo scoppiò dopo la proclamazione di indipendenza, il 3 marzo 1992. Il 5 aprile i cecchini aprirono il fuoco contro una folla di circa 50mila persone che si era riunita davanti al parlamento per manifestare a favore della pace. La città fu circondata dalle forze serbe che si posizionarono sulle colline circostanti. A partire dal mese di maggio di quell'anno iniziò il blocco di sarajevo che fu tagliata fuori dal mondo esterno.
tgcom.it

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11mila solo a Sarajevo..in tutta la Bosnia arrivarono a 100mila..



Sto leggendo delle dispense sul crollo della Jugoslavia e le guerre degli anni'90.
Storia allucinante con la corresponsabilità dell'ONU e l'intervento tardivo della NATO.
La Bosnia è stata veramente qualcosa di disumano. Amici e fratelli che si ripudiano, si ammazzano, si odiano, si coalizzano contro il terzo amico e poi si ammazzano di nuovo. Bombe ai mercati, genocidi, pulizie etniche, esecuzioni, torture.
lucolas999
00mercoledì 22 novembre 2017 11:54
io proprio ieri sera invece stavo vedendo quei documentari sulla II guerra e dicevano che i Giapponesi in manciuria facevano cose che i nazisti in confronto erano le suore carmelitane scalze

per mettere a punto le armi batteriologiche sperimentavano sui contadini cinesi e per vedere gli effetti e gli sviluppi delle malattie li sezionavano... Vivi senza anestesia [SM=g27993]

per assurdo baffetto che pur se da lontano aveva partecipato alla prima guerra e aveva visto in azione i gas ,aveva remore ad usrae le armi non convenzionali
Sound72
00giovedì 30 novembre 2017 13:32
Il croato che s'avvelena a L'Aja proclamandosi innocente..

Ma a Mostar anche loro hanno fatto un macello.

Soprattutto di slavi musulmani, per i quali però nn me pare che i fratelli del Medioriente se siano mai sbattuti.
Sound72
00mercoledì 7 ottobre 2020 09:08
Twitter, lettera aperta di Mkhitaryan a Putin, Trump e Macron: "Il mio Paese è in pericolo"


Non è la prima volta che Henrikh Mkhitaryan manifesta il suo impegno nel sociale. Stavolta il trequartista armeno ha voluto indirizzare una lettera aperta direttamente a Vladimir Putin, Donald Trump e Emmanuel Macron, come grido d'allarme per il conflitto che sta coinvolgendo Armenia - suo Paese d'origine - e Azerbaijan. Queste le parole del calciatore della Roma:

"Sono un atleta professionista che rappresenta orgogliosamente in tutto il mondo l'Armenia, e oggi scrivo questa lettera con grandissime preoccupazioni. Mentre il mondo è testimone di una tragica guerra senza precedenti in Nagorno Karabakh, permettetemi di dar voce alla profonda preoccupazione che il mio Paese si trovi in grande pericolo".

"Mentre la guerra entra nella seconda settimana di scontri - prosegue - l'Armenia e l'Artaskh continuano a difendere il proprio diritto di essere una Nazione indipendente, di continuare ad esistere sui territori storicamente occupati e di preservare il proprio patrimonio di valori Cristiani conosciuto in tutto il mondo".

"Con l'intensificarsi degli scontri militari negli ultimi giorni, è estremamente triste vedere come l'esercito dell'Azerbaijan stia deliberatamente puntando obiettivi come scuole e asili, residenze civili, ospedali ed altre infrastrutture, nella capitale ed in altri centri densamente abitati".

"Tutto ciò non può che definirsi un crimine di guerra, e l'attuale situazione è al limite della catastrofe umanitaria".

"In più tutto questo avviene con l'intervento di combattenti stranieri ed in prossimità dei confini della Confederazione Russa e dell'Unione Europea, fatto che costituisce una minaccia diretta anche per i vostri Paesi. Siamo lasciati soli nella nostra battaglia contro il terrorismo internazionale".

"Come storici alleati dell'Armenia il vostro intervento per fermare questa guerra devastante è di vitale importanza"

"I nostri giovani muoiono al fronte o rimangono irrimediabilmente menomati, invece di avere la possibilità di partecipare alla costruzione del futuro del Paese. Dal profondo del mio cuore vi chiedo di fare tutto quanto è in vostro potere per interrompere questa tragedia e riportare le parti a negoziazioni pacifiche", conclude Mkhitaryan.

Sound72
00mercoledì 28 giugno 2023 21:50
Prigožin mezzo Braveheart e mezzo Attila flagello de Dio


Finisce che lo sapevano tutti, pure Biden che è convinto che Putin sta a fa la guerra in Iraq
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