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le verità nascoste

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2024 12:01
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07/07/2010 12:11
 
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Cinquant'anni fa i morti di Reggio Emilia

Oggi i familiari chiedono la revisione del processo


Stampa.it -Quella del 1960 fu un’estate di fuoco e di piombo. Era in carica il governo Tambroni sostenuto dal Movimento sociale e nelle piazze italiane scoppiava la protesta: il 30 giugno c’era stata la rivolta di Genova contro l’annunciato congresso del Msi, il 5 luglio a Licata la polizia aveva sparato uccidendo una persona e ferendone altre ventiquattro, il 6 luglio a Roma le forze dell’ordine avevano caricato un corteo antifascista con la cavalleria. Il 7 luglio a Reggio Emilia l’episodio più tragico: la manifestazione indetta dal sindacato viene repressa nel sangue dal reparto celere, sul selciato della piazza principale restano i cadaveri di cinque operai. Lauro Farioli aveva 22 anni, Ovidio Franchi 19, Marino Serri 41, Afro Tondelli 36 ed Emilio Reverberi 39. Oggi i familiari chiedono la revisione del processo che si era chiuso nel 1964 davanti alla corte d’assise d’appello di Milano con l’assoluzione con formula piena del vicequestore Giulio Cafari Panico e dell’agente Orlando Celani (per insufficienza di prove), accusato di aver sparato ad Afro Tondelli. Ad appoggiarli ci sono la Cgil di Reggio, l’Anpi e, per l’assistenza legale, l’avvocato Ernesto D’Andrea. La sera del 6 luglio 1960, la Cgil reggiana proclama uno sciopero cittadino per protestare contro le violenze del governo Tambroni. La prefettura della città emiliana però nega l’autorizzazione alla manifestazione pubblica, vietando gli assembramenti in piazza e concedendo solo lo spazio chiuso della Sala Verdi, capienza solo 600 posti.

L’indomani invece sono migliaia le persone che vogliono assistere al comizio del segretario della Camera del lavoro Franco Iotti, così un gruppo di circa 300 operai delle Officine meccaniche reggiane decide di riunirsi davanti al monumento ai caduti. Alle 16,45 cominciano le cariche del reparto celere, con le camionette lanciate contro i manifestanti, i lacrimogeni e i getti degli idranti. Di fronte alla resistenza degli operai, alle sassate e ai tavolini dei bar scagliati contro di loro, i poliziotti imbracciano le armi da fuoco e sparano. Il primo a cadere è Lauro Farioli, colpito al petto da una raffica di mitra. Poi è la volta di Marino Serri, ex partigiano, raggiunto dalle pallottole mentre cerca di aiutare il ragazzo. Ovidio Franchi, la vittima più giovane, si prende un proiettile all’addome mentre cerca di spostare una staccionata per far passare un’ambulanza. Emilio Reverberi, ex partigiano, viene falciato da una raffica di mitra quando si affaccia su piazza Cavour (oggi piazza Martiri del 7 luglio) da una strada laterale, Afro Tondelli, anche lui un passato nelle formazioni partigiane, viene ucciso da un poliziotto che viene visto da testimoni mentre estrae la pistola, si inginocchia, prende la mira e fa fuoco.
Nel cinquantennale della giornata più drammatica dell’estate 1960, Istoreco (Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea di Reggio Emilia), Cgil e Comune hanno organizzato una serie di commemorazioni, convegni di approfondimento e mostre dedicati all’episodio che ispirò anche una famosa canzone di lotta, “Per i morti di Reggio Emilia”, scritta da Fausto Omodei.

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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