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le verità nascoste

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2024 12:01
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Che infami tutti quanti.
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26/01/2011 17:09
 
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Re: Re:
ShearerWHC, 15/01/2011 14.56:




Io ce vivo da 20 anni [SM=g27989]




dove abiti ? [SM=g27993]
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04/02/2011 12:04
 
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Lazio batte Germania 23 a 1
I conti del Consiglio regionale: oltre alla sede un'«ambasciata» a Roma.
Un milione 824mila gli stanziamenti per le spese di rappresentanza
Il costo delle consulenze e degli onorari lievitato del 74 per cento




ROMA - «A costo zero!» aveva giurato Bruno Astorre. Ma come, la gente era costretta a tirare la cinghia, i cassintegrati stavano diventando un esercito, la disoccupazione giovanile galoppava e il nuovo Consiglio regionale del Lazio appena insediato si permetteva il lusso di spendere quattrini per fare un'inutile rivista di carta? Al tempo di Internet? Il vicepresidente Astorre si era sentito in dovere di mettere le mani avanti: «A costo zero!». Spese di stampa e distribuzione a parte, s'intende. Poi a qualcuno dev'essere venuto un dubbio.
«A costo zero» significa che il direttore resta senza busta paga? Non sia mai detto... Ecco perciò che il 2 dicembre scorso l'ufficio di presidenza del Consiglio, composto dal presidente Mario Abbruzzese (Pdl) e dai due vice Astorre (Pd) e Raffaele D'Ambrosio (Udc), ha fissato il compenso: 30 mila euro l'anno. Lo ha fatto con il voto contrario del consigliere dipietrista Claudio Bucci. E scatenando le reazioni del Verde Angelo Bonelli, autore di una infuocata interrogazione. Anche perché il direttore altri non è che il capo ufficio stampa del Consiglio Regionale Nicola Gargano, pubblicista, in pensione da qualche mese. Pensionato, e subito nominato direttore. Una pensione dignitosa, a giudicare dalle dimensioni del suo stipendio: 204.470 euro e 77 centesimi. Una retribuzione superiore di quasi il 30% a quella che sarebbe toccata al governatore della California, se Arnold Schwarzenegger non vi avesse rinunciato con una motivazione di decenza: «Sono già abbastanza ricco».

Immaginiamo cosa risponderanno a Bonelli. Magari useranno le stesse parole con cui Astorre aveva replicato a Francesco Di Frischia del Corriere nel bel mezzo delle polemiche: «Non sono certo questi gli sprechi che avvengono in Regione». Come dargli torto? Basta dare un'occhiata ai conti. Le spese per il Consiglio regionale, che già nel 2009 erano salite a 91 milioni, un anno dopo sono schizzate a 102 milioni. Un aumento di 11 milioni: il 12%. Alla faccia della crisi. E le previsioni per il 2011, sempre destinate in corso d'anno a decollare, parlano già di 103 milioni.
Perché allora cercare il pelo nell'uovo? Con 30 mila euro si paga appena un mese d'affitto del megaufficio «di rappresentanza» di 600 metri quadrati in via Poli, a due passi da Palazzo Chigi. A Roma. Per un Consiglio regionale che ha sede a Roma? Proprio. Volete mettere la comodità di dare gli appuntamenti in centro anziché costringere gli ospiti di riguardo a sobbarcarsi il viaggio fino agli uffici di via della Pisana? Questo scherzetto è costato ai contribuenti 320 mila euro l'anno per 9 anni, fino a quando l'attuale amministrazione non ha deciso di disdettare il contratto, in scadenza il prossimo giugno. Totale: 2 milioni 880 mila euro. Il regalino risale al 2002, quando governava la precedente amministrazione di centrodestra, e presidente della Regione era Francesco Storace. Beneficiaria, la società Milano 90 dell'immobiliarista Sergio Scarpellini che affitta alla Camera e al Senato con il sistema del global service, cioè tutto incluso, gli stabili dove sono gli studi dei parlamentari. Con accordi tali che alla fine dei fatidici 18 anni del periodo contrattuale la sola amministrazione di Montecitorio avrà sborsato 652 milioni. Una cifra al cui confronto quella pagata dal Consiglio regionale del Lazio non è che una briciola.

Magrissima consolazione. Prendiamo per esempio il consuntivo 2009, approvato qualche settimana fa. Le spese per le consulenze e gli onorari sono lievitate del 74% rispetto alle previsioni, da 6 a 10,4 milioni. Quelle per gli stipendi e le indennità dei consiglieri del 5,5%, da 19 a oltre 20 milioni. Gli stanziamenti per le spese di rappresentanza del presidente del Consiglio regionale sono passati da una cifra già astronomica di un milione e mezzo di euro a quella, siderale, di un milione 841 mila: 23 volte quello che tre anni prima aveva a disposizione il presidente della Repubblica tedesca Horst Kohler. Per non parlare del costo di «funzionamento» dei gruppi consiliari: più 12%, da 4 a 4,5 milioni. Siccome non è fissato un numero minimo di consiglieri per formare un gruppo, ognuno è libero di fare il proprio, autoproclamandosi capogruppo. Il che dà diritto a 7 assistenti, oltre all'auto di servizio, al telefonino e pure a un consistente aumento di stipendio: 891 euro e 50 centesimi netti al mese.

Come sa bene Francesco Pasquali, che ha appena costituito in solitudine il gruppo di Futuro e libertà staccandosi da quello del Pdl. Di cui fa parte la sua compagna Veronica Cappellaro, giovane ex consorte del nipote del fondatore del Msi, Giorgio Almirante, sponsorizzata direttamente da Silvio Berlusconi. Caso non unico né raro, quello di un gruppo composto da un solo consigliere. Al Consiglio regionale del Lazio ce ne sono addirittura 7, compresi naturalmente quei 4 spuntati dal niente nei soli dieci mesi trascorsi dalle elezioni di fine marzo 2010. Oltre a Pasquali si sono messi in proprio Mario Mei (Api), Rocco Pascucci (Mpa) e Antonio Paris. Solitario appartenente, quest'ultimo, a un gruppo comicamente battezzato «Misto».


[Modificato da Sound72 04/02/2011 12:05]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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07/02/2011 15:49
 
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Morto Paul Getty jr, rapito nel '73 dai calabresi

Il miliardario triste ha vissuto tra alcol e droga finché un ictus
lo ha lasciato per 30 anni paralizzato e quasi cieco. Fu costretto a ripagare al nonno il riscatto con gli interessi al 4% annuo



LONDRA
John Paul Getty III, nipote del magnate americano del petrolio John Paul Getty che mezzo secolo fa era l’uomo più ricco del mondo, è morto a 54 anni nella tenuta di famiglia del Buckinghamshire. Era da tempo malato.

Vittima dei miliardi di famiglia, affamato d’amore fin da bambino, il nipote del miliardario Getty aveva avuto una vita segnata dalla tragedia e dalla droga. Una volta liberato, nel gennaio 1974, Paul Getty III ha vissuto tra alcol e droghe finché un ictus lo ha lasciato paralizzato e quasi cieco. Da anni viveva nella casa di famiglia nel Buckinghamshire insieme alla madre Gail, assistito da infermieri.

Era salito a 16 anni alla ribalta della cronaca dopo essere stato rapito in Italia e aver perso un orecchio, tagliatogli dai banditi calabresi e inviato alla famiglia cercando un riscatto di undici milioni di dollari che a lungo il nonno si era rifiutato di pagare: «Ho 14 nipoti. Se cacciassi fuori un centesimo avrei 14 nipoti rapiti». E quando fu poi costretto a pagare 2,1 milioni di sterline per il suo rilascio, il nonno lo obbligò a restituirgli la somma con il 4% di interessi annui.

Il rapimento avvenne la notte del 10 luglio 1973. Paul è un ragazzo con i capelli lunghi e l’aspetto trasandato, lo si vede spesso a Roma dalle parti di Campo dè Fiori, Santa Maria in Trastevere e Piazza Navona dove vende piccoli oggetti di artigianato che realizza con le sue mani. In un primo momento la notizia passa in sordina, ma poi emerge che si tratta di un vero sequestro di persona compiuto a scopo di estorsione. Paul è infatti il nipote di un ricchissimo petroliere inglese.

I beni del nonno di Paul sono valutati 1000 miliardi di lire e il patrimonio delle sue compagnie è di 3.000 miliardi. La madre del ragazzo, che gestisce una boutique a piazza di Spagna, riceve le prime richieste di denaro. La donna dichiara apertamente che la famiglia è disposta a trattare. Ma quando la mamma di Paul gli gira la richiesta di riscatto, il nonno oppone un netto rifiuto. È la brutalità dei rapitori a imprimere un altro corso alla vicenda.

«Mandiamo al giornale questo orecchio perchè la famiglia da tre mesi ci prende in giro dicendo che non ha soldi per pagare…». Queste parole, accompagante da un pezzo d’orecchio del giovane Getty, arrivano alla redazione de Il Messaggero. La madre riceve anche una lettera del figlio e le foto di Paul: «Se dopo questa lettera non succederà nulla, aspetterò la morte a soli 17 anni», si legge sul biglietto scritto dal ragazzo.

È al giornale Il Tempo che arriva invece direttamente una telefonata dei rapitori. Una voce con accento calabrese chiede se la testata sia interessata a ricevere foto di Getty senza l’orecchio. L’uomo spiega al cronista dove andare e fa trovare le immagini lungo l’autostrada Roma-Napoli. Dopo la brutale mutilazione, la famiglia decide di pagare il riscatto. Paul Getty III viene così liberato il 15 dicembre del 1973, dopo più di cinque mesi di sequestro.

Da 30 anni John Paul Terzo era paralizzato e quasi cieco, a causa di un ictus provocatogli a soli 24 anni da una overdose. Negli ultimi tempi la sua salute era peggiorata e il protagonista di quella lontana vicenda di cronaca è morto nel fine settimana. Getty - che aveva trascorso l’infanzia a Roma dove il padre John Paul Secondo dirigeva le operazioni italiane di Getty Oil - era stato diseredato perchè dopo la liberazione si era sposato ancora minorenne con la regista Gisela Zacher e presto era diventato dipendente da alcol e droghe.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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07/02/2011 22:22
 
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Re:
Sound72, 04/02/2011 12.04:

Lazio batte Germania 23 a 1
I conti del Consiglio regionale: oltre alla sede un'«ambasciata» a Roma.
Un milione 824mila gli stanziamenti per le spese di rappresentanza
Il costo delle consulenze e degli onorari lievitato del 74 per cento




ROMA - «A costo zero!» aveva giurato Bruno Astorre. Ma come, la gente era costretta a tirare la cinghia, i cassintegrati stavano diventando un esercito, la disoccupazione giovanile galoppava e il nuovo Consiglio regionale del Lazio appena insediato si permetteva il lusso di spendere quattrini per fare un'inutile rivista di carta? Al tempo di Internet? Il vicepresidente Astorre si era sentito in dovere di mettere le mani avanti: «A costo zero!». Spese di stampa e distribuzione a parte, s'intende. Poi a qualcuno dev'essere venuto un dubbio.
«A costo zero» significa che il direttore resta senza busta paga? Non sia mai detto... Ecco perciò che il 2 dicembre scorso l'ufficio di presidenza del Consiglio, composto dal presidente Mario Abbruzzese (Pdl) e dai due vice Astorre (Pd) e Raffaele D'Ambrosio (Udc), ha fissato il compenso: 30 mila euro l'anno. Lo ha fatto con il voto contrario del consigliere dipietrista Claudio Bucci. E scatenando le reazioni del Verde Angelo Bonelli, autore di una infuocata interrogazione. Anche perché il direttore altri non è che il capo ufficio stampa del Consiglio Regionale Nicola Gargano, pubblicista, in pensione da qualche mese. Pensionato, e subito nominato direttore. Una pensione dignitosa, a giudicare dalle dimensioni del suo stipendio: 204.470 euro e 77 centesimi. Una retribuzione superiore di quasi il 30% a quella che sarebbe toccata al governatore della California, se Arnold Schwarzenegger non vi avesse rinunciato con una motivazione di decenza: «Sono già abbastanza ricco».

Immaginiamo cosa risponderanno a Bonelli. Magari useranno le stesse parole con cui Astorre aveva replicato a Francesco Di Frischia del Corriere nel bel mezzo delle polemiche: «Non sono certo questi gli sprechi che avvengono in Regione». Come dargli torto? Basta dare un'occhiata ai conti. Le spese per il Consiglio regionale, che già nel 2009 erano salite a 91 milioni, un anno dopo sono schizzate a 102 milioni. Un aumento di 11 milioni: il 12%. Alla faccia della crisi. E le previsioni per il 2011, sempre destinate in corso d'anno a decollare, parlano già di 103 milioni.
Perché allora cercare il pelo nell'uovo? Con 30 mila euro si paga appena un mese d'affitto del megaufficio «di rappresentanza» di 600 metri quadrati in via Poli, a due passi da Palazzo Chigi. A Roma. Per un Consiglio regionale che ha sede a Roma? Proprio. Volete mettere la comodità di dare gli appuntamenti in centro anziché costringere gli ospiti di riguardo a sobbarcarsi il viaggio fino agli uffici di via della Pisana? Questo scherzetto è costato ai contribuenti 320 mila euro l'anno per 9 anni, fino a quando l'attuale amministrazione non ha deciso di disdettare il contratto, in scadenza il prossimo giugno. Totale: 2 milioni 880 mila euro. Il regalino risale al 2002, quando governava la precedente amministrazione di centrodestra, e presidente della Regione era Francesco Storace. Beneficiaria, la società Milano 90 dell'immobiliarista Sergio Scarpellini che affitta alla Camera e al Senato con il sistema del global service, cioè tutto incluso, gli stabili dove sono gli studi dei parlamentari. Con accordi tali che alla fine dei fatidici 18 anni del periodo contrattuale la sola amministrazione di Montecitorio avrà sborsato 652 milioni. Una cifra al cui confronto quella pagata dal Consiglio regionale del Lazio non è che una briciola.

Magrissima consolazione. Prendiamo per esempio il consuntivo 2009, approvato qualche settimana fa. Le spese per le consulenze e gli onorari sono lievitate del 74% rispetto alle previsioni, da 6 a 10,4 milioni. Quelle per gli stipendi e le indennità dei consiglieri del 5,5%, da 19 a oltre 20 milioni. Gli stanziamenti per le spese di rappresentanza del presidente del Consiglio regionale sono passati da una cifra già astronomica di un milione e mezzo di euro a quella, siderale, di un milione 841 mila: 23 volte quello che tre anni prima aveva a disposizione il presidente della Repubblica tedesca Horst Kohler. Per non parlare del costo di «funzionamento» dei gruppi consiliari: più 12%, da 4 a 4,5 milioni. Siccome non è fissato un numero minimo di consiglieri per formare un gruppo, ognuno è libero di fare il proprio, autoproclamandosi capogruppo. Il che dà diritto a 7 assistenti, oltre all'auto di servizio, al telefonino e pure a un consistente aumento di stipendio: 891 euro e 50 centesimi netti al mese.

Come sa bene Francesco Pasquali, che ha appena costituito in solitudine il gruppo di Futuro e libertà staccandosi da quello del Pdl. Di cui fa parte la sua compagna Veronica Cappellaro, giovane ex consorte del nipote del fondatore del Msi, Giorgio Almirante, sponsorizzata direttamente da Silvio Berlusconi. Caso non unico né raro, quello di un gruppo composto da un solo consigliere. Al Consiglio regionale del Lazio ce ne sono addirittura 7, compresi naturalmente quei 4 spuntati dal niente nei soli dieci mesi trascorsi dalle elezioni di fine marzo 2010. Oltre a Pasquali si sono messi in proprio Mario Mei (Api), Rocco Pascucci (Mpa) e Antonio Paris. Solitario appartenente, quest'ultimo, a un gruppo comicamente battezzato «Misto».






lasciamo perdere. questo articolo nemmeno lo commento.
facessero anche un confronto del rapporto retribuzione/rendimento dei manager in europa.
non potreste mangiare abbastanza per quanto vorreste vomitare, ve lo assicuro.

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(Samuel Beckett, Worstward Ho)
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La lezione del caso Riccò
Una follia senza argini


L'emotrasfusione che ha portato il corridore di Formigine quasi alla morte riporta alla ribalta una storia senza fine: calendari insostenibili, l'atleta come macchina da prestazione, soldi e sponsor, quasi un obbligo al 'trattamento'. E la 'cultura' del doping parte sempre più dai giovani



Repubblica.it - ROMA - Quello di Riccardo Riccò è il dramma di un ciclismo che non sa o non può uscire dalla spirale della farmacia proibita. E siamo all'assurdo: l'autoemotrasfusione fai-da-te. Provate un po' ad immaginare il percorso: ti infili un ago in vena (da solo), lo colleghi ad una sacca per il sangue, stai lì una buona mezz'oretta per riempire il recipiente. Poi metti la sacca in frigo. La conservi. Quindi all'occorrenza nell'immineza degli impegni sportivi fai l'operazione inversa. Con tutti i rischi annessi e connessi: primo fra tutti lo choc anafilattico e i danni renali, come sembra sia stato nel caso dello scalatore di Formigine. "Una follia, uno schifo, una cosa da vomito", raccontava poco tempo fa un tecnico che ha seguito come esperto numerose indagini di Nas e Finanza. Una follia cui si è arrivati perché ormai il meccanismo è inarrestabile, checché ne dicano i dirigenti del ciclismo mondiali e nazionali che oggi sbandierano una lotta forse per la prima volta determinata, ma certamente tardiva. Perché la spinta al doping viene dal basso e per un corridore che viene pizzicato altri 100 la fanno franca. Non si può dire, come ha fatto tempo fa il capo della Procura antidoping del Coni Ettore Torri, che siano "tutti" dopati" ma se si mette un "quasi" davanti non si va lontano dalla realtà. E non è che in altri sport di vertice la situazione sia molto diversa nella sostanza. Sono i ritmi asfissianti di calendari insostenibili che obbligano al "trattamento". Nel calcio, ad esempio, si gioca quasi ogni due giorni quando la fisiologia consiglierebbe di riposare almeno per tre. L'atleta è una macchina da prestazione. Prestazione, risultati, cioè soldi, cioè fama. E così si rischia. La salute in primis, la radiazione in caso di recidiva poi. Come per Riccò, già squalificato per epo (20 mesi), che ha vissuto da sempre con una nuvola grigia sul capo. Dubbi e ombre gravano da sempre sul capo dello scalatore di Formigine. Da quando ancora juniores (2001) fu fermato per ben due volte per i valori ematici fuori norma. Problema risolto nel momento in cui passato alla corte dello svizzero Gianetti approdò ad una provvidenziale certificazione da parte della federazione internazionale che ha garantito la credibilità dei suoi parametri elevati oltre la media.

Ma l'anno o poco meno dal rientro dalla squalifica (marzo 2010) è stato un crescendo di sospetti e indizi negativi, anche se recentemente un insospettabile schierato sul fronte della lotta al doping come il professor Aldo Sassi, scomparso per un terribile male, lo aveva preso sotto la sua ala protettrice. "Ha messo la testa a posto - ci aveva raccontato - ha bisogno di aiuto". E il cronista era partito armi e bagagli per un'intervista cui il "cobra" non si è mai presentato. Un evidente rigurgito di coscienza. La costante in questo periodo era la presenza di figure equivoche. "Dismesso" l'ex massaggiatore di Pantani si era appoggiato ad un altro "accompagnatore ufficiale", sedicente massaggiatore, finito subito subito nell'indagine che portò al blitz al Giro del Trentino dello scorso anno. Poi un'altra bomba gli era scoppiata quasi sui piedi: l'inchiesta dei Nas "Cobra Red" in cui il fratello della compagna Vania Rossi (anche lei sopravvissuta ad una positività all'epo perché il campione della controanalisi si è degradato nel tempo), corridore professionista, figura come trafficante di sostanze dopanti. E si parla, nel caso, di anabolizzanti, epo (onnipresente), stimolanti, mascheranti, ormoni, ecc. tenuti in "custodia" da un cicloamatore amico. Ovvero: doping pesantissimo. La sua casa era stata perquisita, ma senza esito. Ma tutto questo non lo ha distolto dal continuare. Fino a rischiare la pelle. Come un tossico che non può fare a meno della dose. Uno squallore totale.

Restano molte domande da chiarire: per quanto crudo e duro uno possa essere è una follia pensare che un individuo possa farse un prelievo di sangue da sè, metterlo in frigo, conservarlo e poi reinfoderselo. Ha fatto tutto da solo Riccò? E nessuno in famiglia si è accorto della sacca? E medici e tecnici che avario titolo ronzano attorno ad un atlteta professionista della fatica non si accorgono di nulla? Il presidente federale Di Rocco è durissimo: "Deve uscire dal ciclismo per sempre, è un ragazzo malato dentro". Già, ma chi gli ha attaccato la malattia, in un sistema dove l'unico obbiettivo, l'unica molla è la corsa al successo e al risultato a tutti i costi?

E il ciclismo dei giovani che a 17 anni si fanno di tutto pur di vincere, perfino gli ormoni femminili, magari con la "spinta" dei dirigenti societari, copiando (in peggio) il modello balordo dei prof? Quel ciclismo non è malato alla base? E cosa si fa per affrontare questo problema sotto gli occhi di tutti?

Si scontano e si pagano oggi anni di trascuratezza e di sottovalutazione, per non dire peggio. Il nostro paese ha avuto tra la fine degli anni '80 e il principio del '90 una vero e proprio doping di stato in cui alcune federazioni sportive finanziavano medici discussi, laboratori e strutture in giro per il Bel Paese per inseguire medaglie e vittorie che giustificassero il carrozzone da olitre 450 milioni di euro l'anno, oggi tutti a carico del contribuente, perché gli emolumenti dello sport sono nella legge finanziaria. Si sconta e si paga il disinterese per le categorie giovanili dove i controlli sono inesistenti e dove i giovani arrivano a 17 con una "cultura" del doping acquisita, consolidata e irreversibile. Vedi il caso Bani, positivo alla gonadotropina corionica, un ormone femminile, addirittura. Un ragazzo che ha accusato la società sportiva di doparlo a sua insaputa. E i dirigenti di questa società sono ancora in attesa di giudizio, liberi di continuare a far gareggiare altri giovani, magari con la stessa filosofia. Si sconta la trasformazione dello sport da palestra di valori a valore economico puro e semplice: business, sponsor e spettacolo. Se poi qualcuno rischia di morire non importa. Si può morire di sport. Perché la follia - Riccò docet - è ormai pressoché senza argini. E oggi, probabilmente, neppure il morto di turno cambierebbe la situazione. E' già successo.

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nel ciclismo ormai si è arrivati a qualcosa di molto simile alla tossicodipendenza..
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Mike, ancora nessuna richiesta di riscatto
Chiamate solo da mitomani e veggenti



MILANO - Mitomani e presunti veggenti sono gli unici finora a essersi fatti sentire, più con amici di famiglia che con gli investigatori, dicendo di avere informazioni sul furto della bara di Mike Bongiorno. Ma le loro affermazioni sono state ritenute del tutto inattendibili.
Ancora silenzio assoluto, invece, da parte della banda che ha trafugato la cassa, nella notte tra il 24 e il 25 gennaio scorsi, al cimitero della frazione Dagnente di Arona. La Procura di Verbania, che coordina le indagini, attende di avere l'esito delle analisi di laboratorio condotte dai Ris di Parma che per due giorni avevano prelevato campioni nel camposanto e nell'area esterna, dove la banda - forse di 4-5 uomini, è fuggita dopo avere trasportato la bara su un terreno in pendenza, tra orti abusivi e cespugli.
Ma la vera novità attesa di giorno in giorno è quella di una chiamata per la richiesta di riscatto, che finora non è stata ancora fatta.

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ma come se fa?? rubarsi una bara..a che scopo??
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21/02/2011 22:57
 
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l'africa del nord brucia
http://networkedblogs.com/ezOxv





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Nel 2006 Vittorio Emanuele parlava di manipolazione .
Eccolo confessare in cella a Potenza l'omicidio del ragazzo tedesco in Corsica: "Ho sparato così"


Dopo 33 anni Vittorio Emanuele di Savoia ammette di aver ucciso Dirk Hamer, sparandogli col suo fucile nella notte sull’isola di Cavallo, in Corsica. nel processo-farsa in Francia.


Carcere di Potenza, 2006: Vittorio Emanuele è nella cella dov’è detenuto per l’inchiesta su Vallettopoli. Indossa una maglietta bianca con la scritta Nissan sulla schiena. Passeggia tra i letti a castello del penitenziario. E commenta le notizie del telegiornale – che parlano di lui – con i suoi compagni di prigione. È divertito, allegro. I coindagati Rocco Migliardi, Gian Nicolino Narducci e Ugo Bonazza, reclusi con lui, lo incitano: “Lei è già fuori!”. L’”erede al trono” cede alla tentazione dell’autocompiacimento, non è la prima volta che se la cava con poco: “Nel mio processo a Parigi…”.

Inizia così la confessione che ilfattoquotidiano.it è in grado di mostrarvi: a immortalarla non c’erano soltanto le cimici, come si pensava, ma anche una microcamera nascosta. È un filmato inequivocabile, che rievoca la notte tra il 17 e il 18 agosto 1978: un ragazzo tedesco di 19 anni, Dirk Hamer, viene raggiunto da due colpi di fucile alla gamba destra. Muore dopo 111 giorni, 19 operazioni e l’amputazione dell’arto. Un solo imputato: Vittorio Emanuele, che nega qualsiasi responsabilità. Alla fine la giuria francese lo dichiara innocente, dopo un processo durato appena tre giorni.

Quando nel 2006 i giornali pubblicano stralci dell’intercettazione ambientale in cui si vanta di aver “fregato” i giudici francesi e ricostruisce la traiettoria delle sue fucilate, Vittorio Emanuele convoca una conferenza stampa, nell’evocativa saletta dell’hotel Principe di Savoia a Milano. Accompagnato dai legali e dal figlio Emanuele Filiberto, sminuisce le sue esternazioni su Dirk Hamer e dice che sono state falsificate: “Queste notizie sono talvolta manipolate o non sono vere. Ma ora è il momento di parlare, di far emergere la verità”. E la sua verità è questa: “Due tribunali francesi si sono pronunciati prosciogliendomi da ogni responsabilità. Lo hanno fatto perché ci sono prove chiare. La pallottola che ha colpito il ragazzo non poteva essere del mio fucile. Qualcuno ha sparato con una pistola a quel povero ragazzo, ecco la verità”.

Dichiarazioni che ora vengono clamorosamente neutralizzate dalle testuali parole che lui stesso ha pronunciato in carcere, ignaro della microcamera che registrava: “Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era (parola incomprensibile, ndr) steso, passando attraverso la carlinga”. Spiega il tipo di proiettile: “Pallottola trenta zero tre”.

Il principe ammette quindi di aver colpito Dirk e si vanta di aver gabbato il Tribunale parigino che l’ha assolto, grazie alla sua “batteria di avvocati”. Rievoca “il processo, anche se io avevo torto … torto…”. E aggiunge: “Devo dire che li ho fregati… Il Procuratore aveva chiesto 5 anni e 6 mesi. Ero sicuro di vincere. Ero più che sicuro”. Infatti “mi hanno dato sei mesi con la condizionale: sei mesi, c’era un’amnistia, non l’hanno neanche scritto! Sono uscito!”. Scoppia a ridere, senza trattenere la soddisfazione.

La ricerca del filmato
Per Birgit Hamer, la sorella di Dirk, che nel 2006 legge queste intercettazioni ambientali sui giornali, diventa fondamentale capire se davvero, come sostiene Savoia nella conferenza stampa, le trascrizioni sono state manipolate o meno. Perché se fossero autentiche e testuali metterebbero – spiega lei – “la parola fine su questa storia: sarebbe impossibile negare che, a prescindere dalle sentenze, Savoia sia il vero e unico responsabile della morte di mio fratello”.

Ma la signora Hamer, che a 20 anni rinunciò a una carriera di top model e attrice per dedicare la sua vita a dare giustizia al fratello in tribunale e poi a confutare la sentenza, vive da dieci anni in Spagna con le figlie, Sigrid e Delia. Non ha più contatti diretti con i giornalisti, non sa a chi rivolgersi. Comincia a scrivere e a telefonare a tutte le persone coinvolte nel processo Vallettopoli che ha portato Savoia in carcere (verrà poi prosciolto). Scopre così che agli atti dell’inchiesta è depositata non solo la trascrizione delle frasi, ma anche la videoregistrazione del colloquio fra il principe e i compagni di cella. “Cosa c’è di più inequivocabile di un filmato, per capire come stanno le cose?”, domanda la Hamer parlando con il Fatto. Il tempo passa. Vittorio Emanuele viene prosciolto dal gip di Potenza (come spiega qui sotto Gianni Barbacetto). Solo a questo punto Birgit può fare istanza al Tribunale per ottenere copia della registrazione. Trova un avvocato nel capoluogo lucano che la rappresenti. Ma aspetta quasi un anno senza avere risposte.

Poi scopre che parte del processo è stata trasferita alla Procura di Roma. Qui si rivolge a un altro legale che inoltra una seconda istanza ben motivata: “La signora Hamer ha il diritto costituzionalmente garantito alla verità sulla morte del fratello”. Trascorre qualche altro mese (pare che la registrazione sia andata perduta), poi finalmente l’avvocato chiama: il filmato è stato recuperato, può passare a ritirarlo.
Quando Birgit vede il video, è la prima volta che ascolta la voce di Vittorio Emanuele dai tempi del processo a Parigi. Le bastano pochi minuti per rendersi conto che non ci sono manipolazioni. Sono molte le parole incomprensibili e il principe, mentre racconta la notte in cui Dirk viene ferito a morte, è di spalle. Ma, ciò nonostante, risultano evidenti sia il contesto sia l’ammissione di colpa, che nelle intenzioni di Savoia è un vanto. Le frasi più gravi si sentono nitidamente, e con queste anche le risate e le battute, tutte pronunciate col timbro di voce inconfondibile dell’erede di Casa Savoia. La Hamer piange, ma è felice come non lo era mai stata negli ultimi trent’anni: “Guardare quel video è orrendo, ma dà anche un grandissimo sollievo. Ora quel signore non potrà mai più sostenere che non ha sparato a mio fratello: ho vinto la mia battaglia, anzi quella di Dirk”.

8 Il Fatto Quotidiano)
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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10/03/2011 12:18
 
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11 maggio 2011. Previsto terremoto a Roma

Secondo Raffaele Bendandi l’11 maggio 2011 Roma sarà attraversata da un terremoto devastante. Alcuni dei documenti con le sue previsioni per il 2011 erano stati prima gettati nel fuoco e poi salvati. la notizia sta rimbalzando su internet in maniera mostruosa. In quelle carte sono contenuti numeri e considerazioni che fanno gridare alla catastrofe. Avverrà a maggio del 2011, a Roma, un terremoto devastante.

Raffaele Bendandi non è un uomo qualsiasi. Era il 13 gennaio 1915 alle ore 7.48 ad Avezzano la terra si apre, un terremoto sconvolgente: undicesimo grado della scala Mercalli 30.000 vittime. Solo ad Avezzano 8.000 vittime abitanti su 11.000 abitanti. Poi il terremoto della Marsica. E ancora, il 6 maggio 1976 alle ore 21.06 un terremoto di magnitudo 6,5 scuote il Friuli. 1000 morti e 45.000 senza tetto. Qualcuno li aveva previsti, Raffaele bendandi aveva dato riferimenti sulla zona e sul periodo interessato.
Astronomo, sismologo, scienziato fai da te. Niente laurea. Nessuna esposizione scientifica è morto nel 1979.

Secondo il Corriere della Sera è “l’uomo che prevede i terremoti” così lo chiamò il giorno dopo il terremoto di Senigallia del 2 gennaio 1924.

La sua teoria si basa sul moimento degli astri. L’origine dei terremoti secondo la sua teoria è prettamente cosmica. Secondo dati da lui raccolti e controllati, il sisma avviene quando nel giro mensile di una rivoluzione lunare l’azione del nostro satellite va a sommarsi a quella degli altri pianeti. Studiando questi movimenti, Bendandi scrisse nel 1923, davanti ad un notaio di Faenza, che il 2 gennaio 1924 si sarebbe verificato un terremoto nelle Marche, che davvero accadde, anche se due giorni più tardi. Ora l’11 maggio 2011 sarebbe il turno di Roma.

Secondo Paola Lagorio, però, presidente dell’Associazione “La Bendandiana” che custodisce tutti i manoscritti di Bendandi nei documenti relativi al 2011 non si trova nessun riferimento a luoghi o date precise, come quelle riportate su Internet. Le notizie su un presunto terremoto previsto per l’11 maggio 2011 a Roma sono destituite di ogni fondamento e poi Bendandi non poteva fare previsioni a così lungo termine

[Modificato da Sound72 10/03/2011 12:18]
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15/03/2011 12:12
 
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Aiazzone a fondo con tredicimila truffe
I clienti pagano le rate ma non ricevono i mobili. Senza stipendio gli 800 dipendenti di Aiazzone ed Emmelunga


TORINO - «Provare per credere» è lo slogan che ha reso famoso il marchio Aiazzone. Negli anni Ottanta non c'era tv locale che non proponesse a tambur battente gli spot del mobilificio biellese, affidati al «sorriso durban's» del televenditore Guido Angeli. Vent'anni dopo, Renato Semeraro, un finanziere torinese, ci ha riprovato. Con Gian Mauro Borsano, l'ex presidente del Torino calcio ed ex deputato psi, coinvolto in Tangentopoli, che ha rilevato il marchio dalla vedova Aiazzone (il fondatore del mobilificio, Giorgio Aiazzone, è morto in un incidente aereo nel 1986) e si è presentato in tv per ripetere, ancora una volta, l'invito a comprare.
Le cose, però, sono andate male. Ora c'è un esercito di 13 mila persone che lamenta d'essere stato truffato. «Abbiamo comprato i mobili, abbiamo chiesto un prestito, ma non ci sono mai stati consegnati e noi le rate siamo obbligati a pagarle ugualmente». Non solo, tutti i punti vendita sono stati chiusi e ci sono 800 persone a spasso, dipendenti e venditori di Aiazzone ed Emmelunga (una seconda catena di mobilifici acquisiti due anni fa da Borsano e Semeraro con la loro spa B&S) rimasti senza stipendio per quasi dieci mesi.



Sui cancelli dei magazzini c'è un cartello che parla chiaro e invita «chiunque ne avesse bisogno, a rivolgersi ai nuovi proprietari», cioè alla società Panmedia di Torino, una concessionaria di pubblicità specializzata in tv locali, che fa capo a Giuseppe Gallo. Già, perché il marchio Aiazzone e la stessa società B&S sono state oggetto di una sospetta e quanto mai rapida cessione a costo zero, perfezionata prima dell'estate ma che non ha portato a nulla: Gallo ha solo chiuso definitivamente i battenti.
Intanto le denunce non si contano più, la Procura di Torino ha aperto un'inchiesta e le indagini sono affidate ai carabinieri della compagnia Mirafiori ma i fascicoli sono pronti a partire per Roma dove già a settembre, dopo un'indagine della Guardia di finanza, i sostituti procuratori Francesca Ciardi e Maria Francesca Loi avevano iscritto nel registro degli indagati Borsano, i suoi due figli Giovanni e Margherita, Semeraro e il loro socio Giuseppe Palenzona, fratello del più noto Fabrizio, banchiere, presidente di Gemina e di Aeroporti di Roma.

Le accuse sono gravi: bancarotta fraudolenta, evasione fiscale, riciclaggio, truffa. Sotto la lente d'ingrandimento degli inquirenti le società B&S, Aiazzone Network, Emmelunga, Emmedue, Emmecinque, per un totale di 200 punti vendita in tutto il Paese.
Intanto le proteste dei 13 mila beffati si manifestano non solo con la carta bollata ma anche con continui appelli sui social network: «chiediamo, almeno, che non ci facciano pagare le rate dei finanziamenti per mobili che non abbiamo mai visto». E mentre i due protagonisti principali della vicenda tacciono, uno spiraglio si apre. Dario De Cartis, responsabile servizio clienti di Fiditalia, finanziaria di proprietà della francese Société Générale, con la quale Aiazzone era convenzionata per la cessione dei crediti, dice: «Inizialmente pensavamo si trattasse solo di qualche caso isolato di inadempienza, purtroppo non è così. Ora siamo disponibili a trattare con le associazioni consumatori, le istituzioni e con tutti i clienti di Aiazzone che si sentono truffati. Con loro cercheremo di trovare una soluzione soddisfacente».

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La pubblicità di Aiazzone sulle tv private era un tormentone..se la giocava coi Mobili Petretti...
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19/03/2011 12:53
 
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Autovelox taroccati in mezza Italia
Migliaia di multe sono contestabili


Maxi-operazione della Finanza:
146 amministrazioni coinvolte


BRESCIA
Un giro d’affari milionario sfruttando autovelox non a norma, una truffa colossale che ha interessato mezza Italia, sfociata nella denuncia di 558 persone, di cui 367 dipendenti comunali o funzionari pubblici compiacenti, ora nei guai per truffa aggravata, turbativa d’asta e corruzione. È quanto ha scoperto la Guardia di Finanza di Brescia (tenenza di Desenzano) in cinque anni di indagini.

A tirare le fila di un sistema capillare e articolato che ha coinvolto mille comuni italiani - 146 quelli in cui sono state riscontrate anomalie - è un sessantenne di Desenzano del Garda, Diego Barosi. L’uomo, titolare della ’Garda segnalè e di numerose altre società aperte e chiuse secondo gli inquirenti per poter catalizzare gli appalti delle amministrazioni per la gestione degli autovelox, era già noto alle forze dell’ordine e alle cronache per vicende simili. Il bresciano è finito nel mirino di numerose Procure italiane, tra cui quella di Sala Consilina (Salerno) dove un automobilista fece ricorso per disconoscere una multa per eccesso di velocità.

In parallelo i riscontri degli inquirenti di Brescia hanno permesso di appurare che Barosi attraverso una cinquantina di autovelox di cui soltanto due omologati è riuscito in molti casi a ottenere gli appalti attraverso finte gare cui partecipavano solo ditte a lui riconducibili, in molti casi con la compiacenza della Polizia locale o di funzionari comunali ripagati con una congrua percentuale. Il sistema avrebbe fruttato 11 milioni e mezzo di sanzioni irregolari - gli autovelox erano tarati al rialzo per truccare la velocità rilevata del 15-17% in più rispetto al reale - delle quali l’interessato intascava fino al 40%. Un imponente flusso in denaro confluito in un impero immobiliare. Sono 245 secondo le Fiamme gialle gli immobili riconducibili a Barosi, di cui 51 sono già stati confiscati.

L’uomo con 4 complici delle province di Roma, Vicenza a Verona - ai cinque è contestata anche l’associazione a delinquere, la frode fiscale, la bancarotta fraudolenta - avrebbe costituito una fitta rete di società che hanno sottratto a tassazione 18 milioni e evaso imposte per 13. Il gruppo acquistava ingenti proprietà immobiliari - cinema, alberghi, villaggi turistici individuati tra Vicenza, Verona, Foggia - senza pagarle, anzi, provvedendo a rivenderle. Le violazioni del codice illecitamente contestate sarebbero 82mila con indebite richieste di sanzioni per circa 11,5 milioni di euro. Il Codacons chiede un intervento del governo «tramite i ministeri competenti». «Molti consumatori, infatti, non sapendo che le multe erano illegali e le apparecchiature truccate hanno pagato le multe e ora non possono più presentare ricorso né al Prefetto né al Giudice di pace, sia perché sono passati i 60 giorni dalla notifica sia perché gli articoli 203 e 204 bis del Codice della Strada stabiliscono che si possa impugnare la multa "qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta"». Per questo il governo, nel caso siano già trascorsi i 60 giorni per presentare ricorso, «deve intervenire affinché siano restituiti sia i punti della patente ingiustamente decurtati sia i proventi delle sanzioni indebitamente incassati dagli enti coinvolti nell'inchiesta», chiede il Codacons.

Questo l’elenco dei Comuni coinvolti nell’inchiesta della Gdf di Brescia sugli autovelox taroccati: Abbadia S. Salvatore (Si), Acquasanta Terme (Ap), Airole (Im), Aisone (Cn), Albuzzano (Pv), Alleghe (Bl), Altavilla Milicia (Pa), Altofonte (Pa), Altomonte (Cz), Anversa Degli Abruzzi (Aq), Aragona (Ag), Ardore (Rc), Arquata Del Tronto (Ap), Arsoli (Rm), Artena (Rm), Badolato (Cz), Balsorano (Aq), Basciano (Te), Binetto (Ba), Bitritto (Ba), Bonate Sotto (Bg), Brezzo Di Bedero (Va), Brienza (Pz), Brolo (Me), Brugnato (To), Brusasco (Sp), Brusnengo (Bi), Buccinasco (Mi), Budoni (Nu), Bugnara (Aq), Cadeo (Pc, Canepina (Vt), Canosa Sannita (Ch), Casei Gerola (Pv), Castellabate (Sa), Castiglione D’orcia (Si), Chiaramonte Gulfi (Rg) Chiusa Di Pesio (Cn), Cicciano (Na), Civitella D’agliano (Vt), Cogorno (Ge), Collarmele (Aq), Colledara (Te) Corbara (Sa), Cupello (Cn), Fabrica Di Roma (Rm), Ficarazzi (Pa), Filandari (Vv), Fluminimaggiore (Ca), Forza D’agro (Me), Francofonte (Sr), Fratta Todina (Pg), Gagliole (Mc), Gallicchio (Pz), Gargnano (Bs), Gizzeria (Cz), Greggio (Vc), Grottolella (Av), Isola Delle Femmine (Pa), Issiglio (To), Itala (Me), Leggiuno (Va), Leporano (Ta), Letojanni (Me), Licenza (Rm), Licodia Eubea (Ct), Loiri Porto San Paolo (Ss), Maiori (Sa), Maissana (Sp), Malvito (Cs), Mandatoriccio (Cs), Manta (Cn), Maruggio (Ta), Melicucco (Rc), Montefalco (Pg), Montefortino (Ap), Montelanico (Rm), Montemurro (Pz), Monteroni Di Lecce (Le), Monterosi (Le), Monterubbiano (Ap), Morciano Di Romagna (Fo), Moresco (Ap), Morlupo (Le), Morolo (Fr), Mottalciata (Bi), Nazzano (Rm), Noepoli (Pz), Oria (Br), Ospedaletto Lodigiano (Lo), Palermiti (Cz), Palestro (Pv), Palmi (Rc), Palosco (Bg), Paterno (Pz), Patrica (Fr), Pedrengo (Bg), Piancastagnaio (Si), Pietravairano (Ce), Pieve Albignola (Pv), Pincara (Ro), Podenzana (Ms), Poggiorsini (Ba), Pollina (Pa), Portopalo Di Capo Passero (Sr), Pray Biellese (Vc), Pratella (Ce), Radicofani (Si), Ripe (An), Rivodutri (Ri), Rocca D’evandro (Ce), Roccafluvione (Ap), Roccagorga (Lt), Roggiano Gravina (Cs), San Giovanni Lipioni (Ch), San Gregorio Magno (Sa), San Michele Di Ganzaria (Ct), San Salvatore Telesino (Bn), San Sostene (Cz), Sant’angelo D’alife (Ce), Santa Maria Imbaro (Ch), Santa Maria Nuova (An), Santo Stefano Di Camastra (Me), Saviano (Na), Sermoneta (Lt), Serralunga Di Crea (Al), Serre (Sa), Sizzano (No), Stigliano (Mt), Stimigliano (Ri), Torrenova (Me), Torrice (Fr), Torricella (Ta), Tossiccia (Te), Tramonti (Sa), Tramutola (Pz), Trappeto (Pa), Trecchina (Pz), Treglio (Ch), Unione Dei Comuni Santi Sanniti (Bn), Urago D’oglio (Bs), Vejano (Vt), Vico Nel Lazio (Vt), Villa Del Bosco (Bi), Villar Perosa (To),iverone (Bi).

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MALEDETTI [SM=g27996] queste sono truffe che fanno veramente incazzare
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20/03/2011 19:57
 
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Perchè,quando li piazzano su una strada in discesa? [SM=g27996] O invisibili,dietro una macchina?
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30/03/2011 17:14
 
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Morte Raciti, 77 anni a 15 ultras
per gli scontri durante Catania-Palermo
Condanne da 5 anni e due mesi a 3 anni e 6 mesi. Due assoluzioni. La sentenza a quattro giorni dal nuovo derby




CATANIA - Settantasette anni di reclusione complessivi per 15 ultras catanesi e due assoluzioni: è la sentenza della terza sezione del Tribunale di Catania nel processo per gli scontri alla stadio Massimino del 2 febbraio del 2007 durante il derby con il Palermo. Quel giorno morì l'ispettore di polizia Filippo Raciti per le ferite riportate. Violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale le accuse agli ultras.

Le condanne sono comprese fra 3 anni e sei mesi e 5 anni e due mesi di reclusione e prevedono anche l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e un risarcimento di 55mila euro per ciascuna parte civile. Diversi imputati farebbero parte del gruppo Anr (Associazione non riconosciuta), ai cui vertici ci sarebbe Giovanni Calvagna, noto come Koala, condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione. Tutti gli imputati sono in stato di libertà.

La sentenza arriva quattro giorni prima che si giochi a Catania il derby siciliano, con il ritorno, per la prima volta dal 2007, dei tifosi del Palermo allo stadio Massimino.

I giudici hanno sostanzialmente recepito le richieste dei pubblici ministeri Alessandro Sorrentino e Andrea Bonomo, e hanno assolto, per non avere commesso il fatto, Alain Richard Di Stefano e Vincenzo Travaglia.

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31/03/2011 11:13
 
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L'ho ucciso per 17 mila euro"
Il raptus di un giornalista


Il volto di "Diario di famiglia": Alessandro Cozzi, 53 anni, giornalista ed ex conduttore del programma "Diario di famiglia" di Rai International insieme a Maria Rita Parsi. Ultimamente gestiva l'agenzia "Milano per la donna"

MILANO
«L'ho implorato di concedermi una dilazione... mi chiamava ladro, approfittatore. Ho cercato di rintuzzare gli insulti. A un certo punto Ettore si è arrabbiato, è diventato rosso in viso. Se non paghi ti ammazzo ha detto e ha preso un coltello da cucina con il manico di legno e con una lama di venti centimetri. Quelli come te li tratto così o mi paghi o ti ammazzo». Poi la lotta: «Ho il ricordo di averlo colpito al petto. Eravamo vicini. È stata una cosa velocissima». E ancora il buio. «Non ricordo di averlo colpito alla schiena, di aver infierito. Ricordo la mia mano sporca di sangue, l’ho messa in tasca». Infine la fuga, gli abiti e la lama gettati nel fiume Lambro, la resa e la confessione, l’arresto: «L’ho colpito una, due volte al torace... Poi non ricordo...Sono andato in via Conte Rosso, mi sono pulito con un fazzoletto».

Il racconto al pm di Milano Maurizio Ascione di Alessandro Cozzi, 53 anni, una laurea in lettere, una vocazione nel settore dell’orientamento famigliare che lo aveva portato alla conduzione del programma Rai «Diario di Famiglia», è il film di una rabbia che esplode e un’altra più grande che uccide. Ettore è Ettore Vitiello, 58 anni, napoletano, titolare dell’agenzia di formazione lavoro di via Antonelli nel quartiere Corvetto di Milano, che martedì sera voleva a ogni costo i 17 mila euro che Cozzi, che aveva una sua società, gli doveva per un progetto di formazione finanziato dalla Regione e su cui avevano lavorato insieme. Vitiello gli aveva scritto sms, mail, gli aveva telefonato. Durava da un mese. Cozzi è andato lì per ottenere tempo, chiedere di rateizzare il debito; era in una posizione di debolezza, supplicava. Ma l’ira del creditore ha scatenato la furia dell’altro: «Ero arrabbiato, non terrorizzato».

La sua coscienza si è oscurata come avrebbe sostenuto Luigi Pirandello: «Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così - scriveva lo scrittore siciliano - che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell’io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell’io». Il formatore, il padre di famiglia, il marito che porta la fede al dito, il giornalista sociale, il pacificatore che si scinde e diventa killer. Un assassino che ha colpito venti, forse trenta volte: «C’era più sangue che carne» dice chi è stato su quel pianerottolo dove Vitiello è caduto massacrato.

Gli investigatori della sezione Omicidi della Squadra Mobile di Milano a cinque ore dall'omicidio lo hanno identificato: hanno trovato i messaggi tra vittima e carnefice. In Questura Cozzi ha cercato di dire che era rimasto nel suo ufficio fino alle 19, ha tentato di spiegare che i tagli che aveva sulle mani e il buco nello stomaco, ricucito con due punti di sutura prima di essere portato a San Vittore, se li era fatti da solo. Ma no, non era così.

All'alba era stanco, la maschera di normalità ha cominciato a frantumarsi, alle 10 per un’ora e mezza ha scansionato gli eventi con precisione, proprietà di linguaggio, quasi dettando il verbale del suo fermo. I poliziotti e il pm hanno avuto di fronte il volto dell’assassino e la storia di due destini e due famiglie che si incrociano e deflagrano. Per Cozzi ora la contestazione è di omicidio volontario; dopo l'autopsia, dopo gli esami del Dna, l’analisi delle immagini di un sistema di videosorveglianza, la ricostruzione dell’intera vicenda, l’audizione di tutti i testimoni, la Procura avrà tempo di contestare aggravanti o anche riconoscere attenuanti.

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mi sa che l'ho pure visto qualche volta in televisione
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11/04/2011 12:46
 
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Nelle carte Fbi nuova luce sugli Ufo

Corpi umanoidi in New Mexico nel 1950 e un avvistamento nello Utah nel 1949


MILANO - Chi crede all'esistenza degli Ufo ha ora qualche ragione in più: negli anni Quaranta ci credeva anche l'Fbi, come risulta senza ombra di dubbio dalle carte riservate , in pieno stile X-Files, appena pubblicate sul sito del Bureau, (The Vault). I documenti, scovati dal giornale Salt Lake Tribune ma accessibili a tutti, danno conto di almeno due avvistamenti, uno nello Utah e uno nel New Mexico (il famoso incidente di Roswell). Cominciamo dal secondo, di cui si parla da tempo ma adesso reso un po' più credibile appunto dai nuovi documenti. Il rapporto dell'Fbi, firmato dall' agente Guy Hottel e datato 22 marzo 1950, cita una fonte dell'aviazione militare americana e afferma che tre dischi volanti, ciascuno del diametro di circa 16 metri e con una parte sopraelevata al centro, sono stati ritrovati in New Mexico. «Ogni disco - si legge ancora nel rapporto - era occupato da tre corpi di forma umanoide alti meno di un metro, vestiti con un tessuto metallico a trama molto fitta. Ogni corpo era avvolto in una specie di bendaggio simile alle tute anti gravità usate dai piloti collaudatori». Il rapporto conclude sostenendo che i dischi potrebbero essere precipitati a causa delle interferenze elettroniche provocate dai radar militari di grande potenza presenti nella zona del ritrovamento»

IL CABLOGRAMMA - Quanto al secondo avvistamento, i documenti sostengono che il 4 aprile del 1949, agenti dell'Fbi nello Utah inviarono un cablogramma con la dicitura «urgente» al mitico direttore del Bureau, J. Edgar Hoover, nel quale si diceva che una guardia armata di un negozio, un poliziotto della cittadina di Logan e un agente della polizia stradale dello Utah avevano avvistato un Ufo che poi era esploso. Con il titolo «Dischi volanti», nel cablogramma si legge che i tre videro «un oggetto di colore argenteo che si stava avvicinando alle montagne del Sardine Canyon» che «è sembrato esplodere in un'eruzione di fuoco. Diversi cittadini di Trenton dissero di aver visto quello che sembrò essere una doppia esplosione aerea seguita da oggetti cadenti». Il cablogramma, insieme ad altri documenti, rivelano che l'Fbi stava cercando di capire se gli Ufo fossero reali.
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11/04/2011 13:58
 
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Io ho "gli ufo e la cia" di lissoni sull'argomento.E' interessante,specialmente il pezzo dove c'è l'intervista a bob lazar,che diceva di aver lavorato nell'area 51.
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28/04/2011 22:07
 
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Oggi Giornata Mondiale delle vittime amianto

Sono passati 18 anni da quando nel 1992, con la legge 257, l’amianto è stato bandito dal nostro Paese. Eppure a distanza di anni l’asbesto è ancora presente in Italia e molti siti attendono di essere bonificati. Ogni anno l’amianto miete oltre 4.000 vittime che oggi sono ricordate nella Giornata Mondiale delle vittime dell’amianto.

In occasione della Giornata Mondiale delle vittime dell’amianto, Legambiente ha pubblicato un dossier sulla situazione dell’amianto in Italia e sugli effetti sulla salute, ricordiamo che l’asbesto è stato dichiarato “certamente cancerogeno” dall’Agenzia dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e, assieme alla società Azzero C02, ha lanciato la campagna Eternir free.

L’amianto per la sua resistenza al calore e per la struttura fibrosa, facilmente lavorabile, è stato impiegato per anni nelle nostre abitazioni per realizzare tetti, condutture e canne fumarie, ma anche cassoni per la raccolta dell’acqua potabile. Quando è stata accertata la sua nocività per l’uomo, ricordiamo che le polveri di amianto se respirate causano malattie polmonari, tumoti e carcinomi; è stato bandito dall’Italia. Eppure oggi l’amianto continua ad essere responsabile di oltre 4.000 decessi ogni anno. Il motivo? La legge 257 del 1992 non è stata mai attuata. Essa obbligava le Regioni ad adottare il Piano Regionale Amianto entro 180 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, il piano prevedeva un censimento dettagliato dei siti contaminati da amianto, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contenenti asbesto. Secondo il rapporto Legambiente solo 13 Regioni hanno approvato il Piano ma di queste solo due, la Lombardia e la Sardegna, hanno stabilito di completare la sua attuazione nel 2016, la Lombardia, e nel 2023 la Sardegna.

Nel nostro Paese, come ha stimato il Cnr di Ispesl, ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto sparse sul territorio, e circa 1 miliardo di metri quadrati di coperture in eternit sui tetti. Un sostegno per le Regioni per mettere in atto il Piano di smantellamento e bonifica dei terreni contaminati da amianto era previsto dal Conto Energia che il decreto Romani ha bloccato. Il nuovo Conto Energia prevedeva difatti agevolazioni maggiorate del 10% per chi avesse sostituito i tetti in eternit e amianto con pannelli fotovoltaici, come spiega il vicedirettore nazionale di Legambiente, Andrea Poggio: Pochi sanno che gli incentivi al solare sono forse la prima speranza per liberarci delle coperture in eternit in pochi anni. E’ ora che il Governo metta fine alla farsa sugli incentivi bloccati dal decreto Romani e aggiunge:Non si facciano speculazioni sulla salute delle persone e si consenta davvero ai cittadini -cotinua Poggio- di accedere alle agevolazioni per eliminare la fibra killer da tetti e capannoni e scegliere i pannelli solari.
[Modificato da Sound72 28/04/2011 22:08]
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17/05/2011 17:25
 
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Don Seppia: gli sms e le telefonate?
“Solo un gioco erotico”


Il sacerdote arrestato venerdì scorso fa intendere la sua linea difensiva: nessun fatto, solo un modo per eccitarsi con l'amico. Ma le intercettazioni svelano realtà ben diverse: "Portami un bel moretto, e mi raccomando l'età, lo voglio col collo bello tenero"
La chiesa di Santo Spirito a Sestri Ponente
“Giù le mani dai bambini. Don Riccardo infame pedofilo” e “Don Seppia vile, la tua chiesa il tuo porcile”. Queste le scritte comparse questa mattina sul muro accanto alla chiesa Santo Spirito di Sestri Ponente, in via Calda. Le frasi sono state vergate con una bomboletta spray di colore nero, e sono apparse sul muro accanto al portone principale della parrocchia del sacerdote arrestato venerdì scorso con l’accusa di tentato abuso sessuale su minore e cessione di stupefacente (Leggi la cronaca).
Agghiacciante il quadro che emerge dalle intercettazioni telefoniche riportate nelle 40 pagine dell’ordinanza emessa dal gip di Milano (prima che gli atti d’inchiesta fossero trasmessi per competenza alla procura genovese). Don Seppia si muoveva in un sottobosco. Un sottobosco dove cercava vittime da adescare. Li voleva giovani i ragazzini ai quali rivolgere le avances sessuali: quattordici, al massimo 15 anni. Perché “sedicenni sono già troppo vecchi”, diceva al telefono. Meglio se avevano problemi di famiglia, qualche disagio. E ancor meglio se erano assuntori di droga. “Ehi, procurami un bambino…dal collo tenero” – chiedeva ancora Seppia al suo amico-ex amante ed ex seminarista E.A – E mi raccomando l’età, mi serve un bambino dal collo tenero”. “Vabbè – rispondeva l’altro – vado alla Fiumara e vedo cosa ti posso trovare”. Conversazioni terribili condite di bestemmie e frasi vagamente sataniste: “E che Satana sia con te”.

Ed ecco che l’adescatore partiva alla volta della Fiumara, cioè il grande centro commerciale di Sampierdarena, o verso il centro storico. Una volta contattato un ragazzino disponibile, l’uomo ne dava il numero di telefono al prete. E don Riccardo cominciava con le avances. Per incontrarli, prometteva loro cocaina; se non disponibile, era sempre pronta una banconota da 50 euro. I messaggi e le telefonate erano insistenti, quasi assillanti: varie decine al giorno. Proprio questo comportamento “morboso” ha spinto il gip Annalisa Giacalone a decidere di lasciare il prete in carcere: don Riccardo Seppia potrebbe cercare di molestare ancora e inquinare le prove, mentre non ci sarebbe un pericolo di fuga, per questo deve rimanere in carcere.

Il sistema era molto più consolidato di quanto si possa pensare. “Mi serve un negretto, un bel moretto, quelli che mi fanno eccitare da pazzi e mi raccomando non superi i 14 anni…e meglio se si tratta di uno con problemi, di droga o senza famiglia sai…”.Ragazzi facili da ricattare. La merce di scambio è sempre la cocaina. “Mandami Rashid (nome di fantasia, ndr) nell’abitazione che ho tanta roba e ci possiamo divertire”.

Seppia dice di essere “pronto ad assumersi le sue responsabilità e a collaborare con i magistrati”, ha detto il suo legale, l’avvocato Paolo Bonanni all’uscita dal carcere. Collaborare dopo avere letto tutte le carte dell’inchiesta, dopo il ricorso al Tribunale del riesame. “Chiederemo un nuovo interrogatorio nei prossimi giorni – ha aggiunto il difensore – ma solo dopo aver letto le carte del fascicolo”.

Intanto le indagini proseguono. Nei giorni scorsi sarebbe già stato sentito dai magistrati il quindicenne che avrebbe confermato di essere stato baciato da don Riccardo. Nei prossimi giorni sarà ascoltato un altro minorenne che avrebbe subito approcci dal prete, potrebbe confermare quanto emerso dagli sms intercettati. Ma nell’inchiesta potrebbero esserci altri minorenni coinvolti, sempre con soli tentativi compiuti tramite cellulare, residenti a Milano, dove il prete andava a rifornirsi di droga ed a frequentare discoteche e saune. Don Riccardo avrebbe parlato del bacio al ragazzino con un amico: “Ormai è fatta. L’ho baciato in bocca”. Al vaglio dei carabinieri, inoltre, i tre computer sequestrati nella sua casa, in via Calda. Sarebbe già accertato che don Riccardo facesse avances ai ragazzini anche nelle chat, dove si presentava con la sua vera identità. Non è escluso che il numero dei coinvolti possa crescere.

Eppure la linea difensiva di Seppia consisterà probabilmente nel negare tutto. Le telefonate e gli sms sconci? Dalle indiscrezioni il parroco potrebbe rispondere così: “Soprattutto un gioco erotico con un amico, per eccitarci a vicenda”, avrebbe detto Seppia in carcere. Il rapporto malato tra il prete e l’ex seminarista E.A. è senza dubbio uno degli elementi sui quali nei prossimi giorni Arma e procura lavoreranno di più.

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Prete pedofilo,bestemmiatore e cocainomane..Don Seppia.. [SM=g27993]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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24/05/2011 11:41
 
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Ecco il disco di Bossi: ascoltatelo
Il capo della Lega, con lo pseudonimo di Donato, nel 1964 incise due canzoni: «Ebbro» e «Sconforto»


Un collezionista ha ritrovato il 45 giri

BRESCIA - Dove eravamo rimasti? Al fatto che Mirko Dettori musicista con la passione per le canzonette d’epoca, aveva scovato in un vecchio cassetto di casa sua un cimelio assoluto per i «feticisti» non solo dei vecchi 45 giri, ma anche della politica. Si tratta del disco – di cui si era sempre favoleggiato ma che nessuno aveva mai rintracciato né tantomeno ascoltato – inciso nel 1964 dall’allora ventunenne Umberto Bossi. Dettori aveva messo in vendita su un sito specializzato quella «chicca» per una cifra iperbolica, 250 mila euro, che lui per primo aveva definito una provocazione. Come è andata a finire? «In questi mesi», racconta il musicista che vive a Brescia, «di offerte ne sono arrivate: siamo naturalmente lontani dalla “sparata” iniziale, ma anche da quotazioni che più realisticamente si possono portare a casa. Si sono fatti avanti tanto appassionati di musica quanto militanti leghisti».

RARITÀ - Sul vinile, edito per la scomparsa casa discografica Caruso, Bossi – che nella sua breve carriera musicale usava lo pseudonimo di Donato – sono incisi due brani, scritti dal senatur in coppia con il musicista Umberto Mazzucchelli: Ebbro, che è un boogie woogie, e Sconforto, definito secondo i canoni dell’epoca «rock lento». Adesso vengono svelate piccole porzioni di quei brani, non certo destinate a cambiare la storia della musica ma di sicuro ad attirare la curiosità sulla biografia di un personaggio che, molti anni più tardi, ha intrapreso una strada del tutto diversa. Bossi per primo, rievocando i suoi trascorsi canterini, bocciò quell’esperienza: «Erano proprio brutte canzoni». Mirko Dettori non si sbilancia in giudizi, ma stuzzica lo stesso le corde emotive del senatur: «Se riascoltando la sua voce di ventenne proverà almeno un po’ di emozione, sarò contento».

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per chi vuole ascoltare il senatur.. [SM=g27995]


www.corriere.it/politica/11_maggio_24/disco-bossi-ritrovato_3f1eea7c-85d8-11e0-99e7-3448c5a7b9...
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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