I 60 anni di Maradona: il più grande genio del calcio
Ha vissuto molte vite, ha seminato eterna bellezza, ha regalato gioia a chi ama il calcio. Unico, divino, fragile. Tra la gloria e la polvere, le virtù e i vizi: ritratto del mito più controverso della storia del calcio
Maradona compie sessant’anni e se si volta indietro può dire di aver vissuto almeno tre-quattro vite. Il più iconico calciatore di tutti i tempi, il ragazzino arruffato nato povero tra le baracche di Villa Fiorita, El Pibe de Oro, lo «Scugnizzo ad honorem» che sempre verrà adorato a Napoli, l’uomo che disse «Yo juego para darle alegria a la gente» – gioco per divertire la gente – è stato senza ombra di dubbio il più straordinario campione affermatosi nell’era della globalizzazione mediatica, quando la vita di ognuno di noi ha cominciato ad assomigliare ad un reality show.
E la vita – anzi le vite – di Maradona altro non sono state che un lungo e bellissimo, ma anche doloroso, reality show. C’è un calcio prima di Diego e c’è un calcio dopo di Diego. È stato tutto, Maradona. Bambino prodigio capace di incantare palleggiando con un’arancia e fuoriclasse planetario amato trasversalmente da chiunque ami il gioco del calcio e la sua intima bellezza. E’ stato virtù e vizio, gloria e perdizione, talento purissimo e dipendenza. È morto – o almeno: per due volte il suo cuore si è fermato – ed è risorto, riuscendo sempre a rimettersi sulla testa la corona che il mondo gli ha consegnato.
L’uomo che oggi allena il Gimnasia La Plata ed è in isolamento perché un suo collaboratore è risultato positivo al Covid 19; ha sempre avuto il bisogno quasi fisico di avere nemici, facendo dei propri limiti – la bassa statura, la tendenza alla pinguedine – il piedistallo per una fama che ancora oggi – a quasi trent’anni dal suo ritiro – non conosce cedimenti. Non gli è mai mancato il coraggio di mettersi a nudo nella sua fragilità, nella sua incapacità di gestire affetti, amori, soldi, mogli, amanti, amici, figli e vizi, i tanti vizi – la droga prima di tutto – che oggi ci fanno pensare a cosa sarebbe stato – Maradona – senza i suoi abissi. Semplicemente: non sarebbe stato lui.
È stato – invece – epica e poesia in ogni suo gesto. Nessuno ha mai avuto con il pallone un rapporto così erotico, così sensuale, così primitivo e selvaggio. Ha segnato – all’Inghilterra – un gol con la mano chiamando in causa e a propria difesa «La mano de Dios», è stato l’eroe tragico di un’Argentina che in lui ha riconosciuto la sua anima, ha saputo essere suo malgrado fonte di ispirazione per tutti quelli che ieri e oggi cominciano a dare calci ad un pallone e per chi – nella sua vita – ha trovato la scintilla dell’eternità, come il regista Paolo Sorrentino che l’ha ringraziato quando ha vinto l’Oscar con La grande bellezza.
Il Maradona che oggi compie sessant’anni – seppure goffo, impacciato, zavorrato da un peso extralarge, confuso dall’abuso di farmaci e perduto in avventure professionali che non hanno rispetto della sua storia – conserva immutato il suo fascino. È ancora e sarà sempre un uomo del popolo, Maradona, il cavaliere con molte macchie e molta paura che però si schiera sempre contro il Potere costituito.
Non è un caso che in tutto il mondo oggi lo si celebri con l’affetto che si deve ai pochissimi capaci di emozionare e far fare al nostro cuore un giro più veloce, lo si omaggi con la riconoscenza che si deve a chi – baciato dalle stelle – è riuscito a rimanere un vecchio bambino, lo stesso che per anni – giocando a calcio – ha seminato una scia di bellezza infinita che ancora fa palpitare, come se il tempo passato fosse un dettaglio.
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