Giornalismo - attualità

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lucaDM82
00domenica 8 marzo 2015 21:52
Avviso ai lettori di Massimo Fini

"Sono diventato cieco. O, per essere più precisi, semicieco o 'ipovedente' per usare il linguaggio da collitorti dei medici. In sostanza non posso più leggere e quindi nemmeno scrivere. Per uno scrittore una fine, se si vuole, oltre che emblematica, a suo modo romantica, ma che mi sarei volentieri risparmiato.
Una Vita è quindi il mio ultimo libro. E la mia storia, di scrittore e giornalista, finisce qui. Del resto nella vita arriva sempre un momento in cui, per una ragione o per l'altra, si deve uscire di scena. Il sito rimane aperto per chi voglia sottoscrivere il Manifesto, per le mail (ho qualcuno che mi dà una mano), per inviti, conferenze, interviste perché se ho perso l'uso della vista non ho perso quello della parola e, spero, nemmeno il ben dell'intelletto. Un grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questi ultimi , e per me molto faticosi, anni".
giove(R)
00mercoledì 11 marzo 2015 15:07
Re:
lucaDM82, 08/03/2015 21:52:

Avviso ai lettori di Massimo Fini

"Sono diventato cieco. O, per essere più precisi, semicieco o 'ipovedente' per usare il linguaggio da collitorti dei medici. In sostanza non posso più leggere e quindi nemmeno scrivere. Per uno scrittore una fine, se si vuole, oltre che emblematica, a suo modo romantica, ma che mi sarei volentieri risparmiato.
Una Vita è quindi il mio ultimo libro. E la mia storia, di scrittore e giornalista, finisce qui. Del resto nella vita arriva sempre un momento in cui, per una ragione o per l'altra, si deve uscire di scena. Il sito rimane aperto per chi voglia sottoscrivere il Manifesto, per le mail (ho qualcuno che mi dà una mano), per inviti, conferenze, interviste perché se ho perso l'uso della vista non ho perso quello della parola e, spero, nemmeno il ben dell'intelletto. Un grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questi ultimi , e per me molto faticosi, anni".




da uno così mi aspetto che non si arrenda. c'è il breil, ci sono i software di lettura e scrittura.
so che Fini è stato alcolista, quindi soggetto a depressione, a buttarsi giù.
ma so che ha saputo riprendersi, reagire.
quindi....
lucaDM82
00giovedì 12 marzo 2015 00:16
Ho letto travaglio che lo vuole collaboratore anche saltuario sempre al Fatto.
In effetti in tv si vedeva che aveva qualcosa che non andava ma non avevo capito fosse un problema di vista.
Sound72
00giovedì 12 marzo 2015 09:35
a proposito di alto giornalismo menzione per le repliche de La notte della Repubblica di Sergio Zavoli in onda su raistoria ogni mercoledi in seconda serata.
Programma di 25 anni fa..da far impallidire sti teatrini e talkshow inconcludenti propinati a destra e a manca.
Ieri puntata sulla strage di Bologna.
A suo tempo nel '90 me l'ero viste tutte..praticamente l'appendice alla storia italiana che al liceo finiva con la seconda guerra mondiale.
Quella sigla ancora oggi è incredibile " notte inquieta"





Giorni fa ho rivisto pure uno speciale su Joe Marrazzo , il padre de Piero (sic)..
Cronista d'assalto inarrivabile.
Memorabili certi servizi sulla mafia..o quelli sulla camorra e terremoto Irpinia.
Mori per cause naturali, ma l'avrebbero fatto fuori da un momento all'altro.

[SM=g10633]

Sound72
00mercoledì 22 aprile 2015 11:55
Hasta siempre Eduardo Galeano, quello che i gol li segnava con la penna

Scomparso a 75 anni il famoso scrittore uruguayano, uno delle eminenze della letteratura latinoamericana: immortalato da Le vene aperte dell’America Latina è stato l’autore letterario che più di ogni altro ha criticato il calcio moderno . “Io volevo diventare un grande calciatore ed in effetti ero proprio una meraviglia quando giocavo: il mio problema era che facevo il fenomeno solo di notte, mentre dormivo. Di giorno ero il peggior scarpone mai visto sui campi del mio paese.”
Il suo paese, quel piccolo angolo di mondo immortalato dalla sfericità di un pallone da calcio, era l’Uruguay, terra che anche grazie al suo nome ha avuto un posto nel planisfero che domina la mente dell’altra metà del pianeta.

Eduardo Galeano era nato a Montevideo nel 1940, dieci anni dopo il primo mondiale vinto sui prati di casa dalla Celeste , dieci anni prima di quell’altro mondiale con cui gli uruguagi fecero piangere il Brasile intero al Maracanà. Stava forse anche in quel suo essere nato a metà strada tra quei due apogei, la passione travolgente per il pallone che ha attraversato la vita di uno degli intellettuali più brillanti e influenti partoriti dal ventre dell’America Latina. Lui che ne aveva esplorato le vene aperte, la brillante metafora che ha dato il nome alla sua opera più nota, Le vene aperte dell’America Latina, quel saggio di disarmante semplicità ma al tempo stesso di eccellente e complessa indagine storica con cui Galeano, uomo dichiaratamente di sinistra, mise in luce l’originalità, l’autenticità e la forza dell’identità latinoamericana, sia in chiave precolombiana, sia da un punto di vista contemporaneo: non solo demistificò come pochi la concezione di scoperta del continente da parte di Colombo e la modernità portata dal colonialismo europeo, senonché mise in risalto come la ricchezza culturale ed economica dell’America Latina nel corso del XX secolo sia stata soffocata dal neocolonialismo degli Usa e del libero mercato , che hanno generato la strumentale visione di un a parte del mondo povera, un continente desaparecido, prendendo in prestito il titolo di un altro saggio, del nostro Gianni Minà, in cui tra l’altro Galeano appare come uno degli intervistati di maggior rilievo.
Ma al suo fervore politico, intellettuale e letterario, faceva da contraltare in Eduardo Galeano quella diabolica passione per il calcio che fa prigionieri milioni di esseri umani in tutto il mondo. Tifosissimo del Nacional di Montevideo, acceso spettatore ogni quattro anni dei Mondiali, lo scrittore uruguayano ha fatto coincidere questo amore viscerale per il pallone con la sua penna d’autore, ne El fútbol a sol y sombra, tradotto in italiano Miserie e splendori del gioco del calcio , un libro dove Galeano ha lottato in un certo senso contro sé stesso. Da un lato infatti emergono i sogni di quel bambino diventato uomo nei potreros (i campi in terra) del suo paese, affascinato dalla democraticità del calcio di strada, dove un pallone rompe confini, barriere, differenze sociali e permette con il tempo anche all’uomo della porta accanto di diventare l’eroe di un paese intero, come fu per Obdulio Varela, capitano dell’Uruguay del ’50, portentoso con gli scarpini e la celeste indosso sul maestoso prato verde del Maracanà, dall’aspetto banale e quasi goffo in giacca e pantaloni mentre consolava i brasiliani ai tavoli di un bar di Rio con qualche cachaça, ore dopo il Maracanazo.

Dall’altro lato c’è in quell’itinerario di calcio e letteratura la critica di Galeano al futbol moderno, dove orari improbabili, le aspre dispute sui diritti tv, sponsor onnipresenti e il numero eccessivo di partite affiorano come storpiature e riflesso degli eccessi del villaggio globale sul bel gioco. Un giocattolo , secondo le sue parole, dominato dalla “tecnocrazia dello sport professionale che ha imposto un calcio di pura velocità e molto forza, che rinuncia all’allegria, atrofizza la fantasia e proibisce l’audacia”. Ma poi se all’orizzonte appariva qualche angelo calcistico capace di accarezzare e coccolare il cuoio come nessun’altro, eccolo tornare ad indossare i suoi occhi di bambino di Montevideo e trovare di fronte alle brutture del pallone del 2000 una scusa per restare fedele a questa religione: “Per fortuna che di tanto in tanto qualche sfrontato moccioso esce dalle righe e osa dribblare tutta la squadra rivale, l’arbitro, il pubblico delle tribune, per il puro godimento del corpo che si lancia verso la proibita avventura della libertà”.

E adesso anche lui chissà verso quale libertà si sarà lanciato, assieme a Gianni Brera, a Osvaldo Soriano e agli altri poeti di questo romanzo infinito… Hasta siempre Eduardo Galeano, mendicante del buon calcio, che con i piedi giocava bene solo nei sogni, ma che di giorno con la penna ha segnato gol mai visti prima.


www.tuttocalcioestero.it/
giove(R)
00martedì 18 giugno 2019 09:29


"Camilleri sta male e se c'è qualcuno che sta male dispiace sempre (a meno che non sia qualcuno che dico io, ma.. non è lui ;) ), speriamo possa superarla, ma un tempo arriva per tutti.
Detto ciò TUTTI PRONTI che è in partenza il (ciclico) SuperTreno della CELEBRAZIONE & SUPERVALUTAZIONE tipica nostra e dei nostri tempi. Sono in arrivo fiumi di articoli, video, approfondimenti, speciali, commemorazioni che sembrerà che sia venuto a mancare Dante Alighieri, Alessandro Manzoni, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi messi insieme. Sentirete e leggerete certi slanci, certi tratti, certi peana che lèvati. E non ce l'ho mica con Camilleri, ci mancherebbe, un brav'uomo sul punto di morire.
Sto parlando d'altro.
Roger Nelson, detto Prince, avrebbe detto "Sign o' the times".
Quando il meglio non c'è, quando è andato, finito, quando ne restano solo le vestiigia, allora anche la penuria viene presa per abbondanza.
Ecco quindi che un normalissimo, onestissimo, scrittore ti diventa (vedrete...), nel vuoto intorno un nuovo Sommo Vate, Bardo Immortale e Padre della Lingua.
Ma è così in tutto eh? E' che funziona così, dalle bocche di chi racconta, alle orecchie di chi 'sente' (il verbo 'ascoltare' non lo uso, che è morto da tempo come Alighieri, Manzoni e Sheakespeare...)."


Questo un mio pensiero su queste dinamiche SOLITE che io da osservatore ... me se illuminano proprio come le piste d'atterraggio di notte.

I percorsi del provinicialismo italiano. Ma direi umano. Dove quello che hai oggi tendi a vederlo una specie di top, tendi a sopravvalutare, perché un po' come il pensiero della morte, non tutti l'accettano, tantomeno quello di vivere "tempi che non contano", "tempi che non saranno ricordati", "tempi MENO di quei tempi, famosi o immaginifici" di cui abbiamo letto o sentito.

E così come dico, in tempi di magra, la penuria la trasformi in abbondanza. Ed ecco a voi la prossima dipartita di un Padre della Lingua Italiana...... ma allora, chiedo, Flaiano chi cazzo era, DIO?

PS. comunque se vi leggete al volo queste 2 pagine, quasi tutte sulla cannabis, la coltivazione, i semi.... scoprirete un Patric detto Beautiful Loser in versione "felpata". Alla Salvini. Squadra Antidroga.
Manco coltivarla. Lo dicono TUTTI. Ma TUTTI. Però lui leggeva, se informava, ne sapeva. E diceva "no".
Che poi magari ste cose le sapevi pure te, l'oppio, l'Afghanistan, i semi, la Monsanto, il consumismo come puntello al capitalismo, ecc....

Però Grillo è Hitler e... no, se ognuno se la coltivasse da solo, non sarebbe uno smacco alle mafie.
No........
jandileida23
00martedì 18 giugno 2019 13:36
Purtroppo temo che Flaiano oggi non se lo inculerebbe proprio nessuno.
jandileida23
00martedì 18 giugno 2019 13:36
Purtroppo temo che Flaiano oggi non se lo inculerebbe proprio nessuno.
giove(R)
00martedì 18 giugno 2019 14:19
ma infatti già non se lo inculano.
Però i preparativi per le celebrazioni a Camilleri mi hanno fatto pensare alla biografia di Dickens, alla cui morte si mosse tutta Londra...
Uguale uguale, ma ripeto non è colpa di Camilleri (anzi, la cui storia, di scrittore che inizia a 53 anni... che sta poi sta fermo e riprende a 60.. è una bella storia, "per tutti").

E alla fine chissà che fra un secolo non sentiremo, al posto di "Questo matrimonio non s'ha da fare", "il sozzo bubbone", o "l'addio ai monti"..... citazioni tipo "buono come la pasta 'ncasciata" oppure "Montalbano soooono!"

lucaDM82
00sabato 20 luglio 2019 12:06
Scomparso De Crescenzo, mi e' dispiaciuto, fin da piccolo mi aveva colpito quando parlava della societa' e di filosofia. Lo avrei ascoltato per ore, colto ma semplice nel comunicare e anche come persona. Rip
jandileida23
00sabato 20 luglio 2019 14:52
Verso i 12/13 anni lessi molti dei suoi libri sulla mitologia greca, erano bellissimi e divertentissimi. E si è pure trombato Moana.
jandileida23
00sabato 20 luglio 2019 14:52
x
giove(R)
00lunedì 22 luglio 2019 16:55
E' stata una 4 giorni da niente....
Camilleri, Crescenzo, Mattia Torre (autore GENIALE da Boris, a Dov'è Mario? a Ogni maledetto Natale) e Francesco Saverio Borrelli.

Ovviamente..... il più celebrato è esattamente è quello che dei 4 ritengo il minore, cioè Camilleri.
Scrittore normalissimo, assurto (in questi tempi di pochezza e impoverimento e ricordatevi sempre: "Osvaldo è un Batistuta più tecnico" perché quando il livello generale scade la mente si adatta...
o "Salvini è molto scaltro, il più furbo dei politici italiani, uno stratega che qui, che lì, che su...." e poi chissà chi cazzo erano allora Andreotti, Pannella, Berlinguer, Moro.....
E così basta che sei "discreto" e diventi "Maestro".
E non ho nulla contro di lui, anzi la sua storia è di insegnamento e sprone per chiunque. Scrivere a oltre 50 anni, iniziare a farlo così tardi. Mai troppo tardi. Ottima lezione, anche per i pessimisti, fatalisti come me.
Uno stile comunque "normale", polizieschi...

L'eccellenza l'ho vista invece in De Crescenzo che ammiravo e ovviamente per Borrelli per tutto quello che ha fatto per il nostro paese (buttato al cesso poi da coloro cui il pool di Mani Pulite lasciò il testimone).

Torre era un genio. Esattamente come faceva dire agli "autori" di soap in Boris:
"......Genio.....".

Alla fine il più celebrato con speciali e cose varie è stato Camilleri.
Non so se pure qui ci è entrata un po' di "aria politica", di "pensiero Unico Omologato", di "correnti ...colorate"...
Credo un po' si.

Comunque, quanto a mente, e libertà di pensiero, mi pare che De Crescenzo fosse più intelligente e libero, meno incastrato.

Peccato per tutti e 4.
Diciamo che Mattia Torre è stato quello cui ha detto peggio. 47 anni troppo giovane.
E come ha detto Guzzanti "almeno cento sceneggiature da scrivere, almeno 20 libri, non era importante, era Indispensabile".
Le cose comiche migliori negli ultimi 10 anni sono quasi tutte sue.
Sound72
00lunedì 4 novembre 2019 08:40
Istrione, cronista, bolognese. Se n’è andato il grande Civ

Gianfranco Civolani si è spento ieri sera dopo una lunga malattia
«State benone!». Il Civ, andandosene ci ha salutato così. A modo suo, come sempre. Con tutto il piacere del caso e fregandosene un po’. Per questo era il Civ: libero, di dire e di fare, senza condizionamenti. Affrancatosi subito dal comune pensare, ha attraversato in lungo e largo la vita e in particolare la sua città e i suoi concittadini. Ma anche il mondo intero. Raccontando, scrivendo, urlando, recitando, improvvisando, ridendo e talvolta pure cantando, perché era capace di tutto.
La carriera
Dalla radio alla tv, sugli amatissimi giornali e nei libri, l’ultimo dei quali uscirà postumo fra poche settimane, scritto negli ultimi mesi da un letto all’altro, sotto lo sguardo stupito dei dottori ai quali questa estate, algido e vigile, chiese: «Ce la faccio a finire il mio libro, quanto tempo ho?». Anche chi non seguiva il calcio, il basket, lo sport in generale, lo conosceva. Gianfranco Civolani è diventato un vero personaggio pubblico, soprattutto negli ultimi anni, quando riempì con maestria e inventiva lo schermo televisivo e le frequenze in fm, come decano e maestro dei giornalisti bolognesi. Ieri, 3 novembre 2019, ci ha salutato per sempre. Lo scriviamo dopo una dozzina di righe perché tutti sanno della sua scomparsa, «da tempo». Non c’era appassionato, sportivo che non chiedesse del Civ: “come sta?”. Comprensibile: “era uno di noi”. Con pregi e difetti. Tutti sapevano della sua malattia, comparsa quasi due anni fa. E in tutto questo tempo, è stata lei a vedersela brutta perché il Civ era un osso davvero duro. Ieri, in prossimità del suo 84esimo anno, è stato lui a dire «bóna lé». Non dopo aver chiesto di fare “il punto”, la sua firma d’autore nel Pallone del Sette, trasmissione regina del lunedì calcistico, lui in coppia con Sabrina Orlandi, sua speciale compagna di viaggio.

La sua vita per lo sport e per la professione

Serve la biografia per il più istrionico giornalista sportivo di Bologna? Basti sapere che Civolani ha vissuto fino all’ultimo secondo, poco prima della sirena o del triplice fischio o del gong, come un classico giorno di lavoro: scrivendo, raccontando, dicendo la sua. La sua vita. Ora nello studio di casa sua, dietro piazza Azzarita, spazio folle dell’immaginazione e della creatività, senza scrivania, con un divano, la tv e mille libri sovrapposti a foto, medaglie, biscotti e nessun computer (eccezionale la sua memoria: neuroni e non bit). Ora in giro per il mondo, attraversato felicemente come inviato a spese dell’editore. Lui che i soldi li ha sempre spesi piaceri personali non superflui ma per inseguire dei sogni con la sua squadra femminile di basket (sono state due), con cui ha convissuto per più di 50 anni come presidente, fino al recente triste epilogo (“ha lasciato” tutto questa estate dopo una dolorosa frattura con le sue atlete) in cui non ci addentriamo.

L’esperienza artistica

La biografia l’ha raccontata lui mille volte. Laureato in giurisprudenza, specializzato in psicologia del lavoro, giornalista professionista dal ’57, un’esperienza alla Ribalta come direttore artistico nei primi sessanta quando chiamò artisti come Jannacci, Proietti, Poli, Vanoni e via dicendo. Davvero serve la biografia? Inviato per quasi 30 anni per Tuttosport, al seguito di Campionati del Mondo e Olimpiadi oltre ad altri innumerevoli eventi con tanto di personaggi incontrati, da vero e qualche volta burlescamente per finta. Poi a Stadio Corriere dello Sport e nelle radio e tv della città. Super tifoso del Bologna, al Comunale fin dal 1945, e poi della Virtus, ma anche esperto di pugilato. Eclettico e pronto a parlare, discutere di cinema, teatro, cultura e politica (irremovibile antifascista infastidito dai ‘neo’).

Un intellettuale non semplice, per questo amato e da qualcuno poco sopportato, perché lui di certo non “giocava” per piacere a tutti. Ci mancherà, naturalmente. Mancherà anche alla città, ma senza rimpianti perché lui si è dato e si è raccontato come pochi altri. Stai benone anche te Civ, e grazie di tutto!

corrieredibologna.corriere.it

A memoria per distacco uno dei migliori giornalisti sportivi dell'ultima epoca "cartacea" .. RIP
Sound72
00sabato 21 marzo 2020 15:27
L'ultimo articolo di Gianni Mura


LA REPUBBLICA (G. MURA) - Non bisognerebbe scriverlo, ma è sempre vagamente piacevole scoprire che esistono emeriti imbecilli anche oltre i nostri confini. Il più imbecille della settimana, al punto che nemmeno gli giro un voto, è Diego Costa, attaccante dell’Atletico Madrid. Dopo la clamorosa vittoria a Liverpool (ma non per merito suo: sostituito da Simeone) ha attraversato la zona mista senza rilasciare dichiarazioni ma tossendo caricaturalmente e senza protezioni. Resto in attesa che il suo club lo multi, ma ne dubito, oppure lo stanghi l’Uefa. Previa traduzione di quella parolina (“respect”, anagramma spectre) che tutti i partecipanti alla competizione recano sulla maglia. Un altro imbecille è Rudy Gobert, cestista francese, centro degli Utah Jazz. Dopo la gara con gli Oklahoma City Thunders ha concluso la conferenza stampa toccando tutti i microfoni e gli smartphone sul tavolo. Prima reazione: sciocchino, va bene voler esorcizzare la paura del contagio ma c’è modo e modo. Già, anche perché Gobert non sapeva di essere contagiato. Seconda reazione: sciocchino è un complimento. Segue lungo comunicato in cui Gobert si pente («sconsiderato», «non ho scuse»). Con i Jazz ha chiuso. Non meno imbecilli, ma anonimi, i tifosi del Psg assiepati fuori dallo stadio. Evitare gli assembramenti? Ecco la risposta. Poi è evidente che gli imbecilli li abbiamo anche noi. Un amico m’ha detto che a Milano, parco Sempione, venerdì sembrava ci fosse un raduno di corridori a piedi. Senza la distanza di un metro, con la libertà di tossire e sputazzare. Incoscienti, dite? Ma se un incosciente non recupera un minimo di coscienza nemmeno in situazioni come quella che stiamo attraversando è un imbecille pericoloso. La situazione che stiamo attraversando, però, permette di dire che gli imbecilli sono una minoranza e la brava gente una maggioranza. La parola buonismo è scomparsa, spero per sempre ma non m’illudo, e con forza ricompaiono solidarietà, doveri, responsabilità, unione, sacrifici. E sotto questo ombrello, difesa e coesione, ci stanno tante cose: la maglietta esibita dall’Atalanta a Valencia, dopo una serata stordente per emozioni, e dedicata a Bergamo: mai mollare. I versamenti di tanti sportivi, da Insigne a Bonucci, e di tanti club, da Zhang ad Agnelli. I 30 mila pasti caldi gratuiti che da oggi al 15 giugno Ernesto Pellegrini farà arrivare nelle case di anziani e famiglie bisognose di 17 comuni lombardi, da Busto Arsizio a Vigevano. Tutte le corriere di Senigallia incolonnate verso l’ospedale: suonano il clacson e hanno striscioni di ringraziamento. L’applauso a mezzogiorno, dai balconi d’Italia, per medici e infermieri in prima linea. I nuovi eroi, certamente. La ruota gira. Fino a due mesi fa, per loro c’erano più aggressioni che applausi, e si invocava un posto di polizia in ogni Pronto soccorso per evitare violenze e devastazioni. La ruota gira. In Italia sono stati picchiati cinesi ritenuti untori. Ma la Cina ci manda medici, mascherine, materiale sanitario. L’Europa, di cui facciamo parte, per ora ci ha mandato solo parole, e non sempre carine. Alleggerire? Su Domenico Marocchino si scrive volentieri, non solo perché da opinionista su Rai 2 ("A tutta rete") non è mai banale. A 63 anni, sempre la faccia di uno appena buttato giù dal letto, di un ex figlio dei fiori persosi tra Malibu e Valenza Po. “De profession bel zòven”, avrebbe detto Rocco di lui. Lo sapevano anche all’estero. C’ero all’aeroporto di Varsavia, Juve di passaggio per andare a giocare a Lodz. Agli sbarchi, gruppo di belle ragazze con un cartello in perfetto italiano: “Marocchino, vieni in discoteca a ballare con noi?”. Era l’83. Marocchino nella Juve giocava come se non fosse la Juve. Ignorando tutte o quasi le sacre regole. Il calcio era un gioco, la vita era bella perché c’erano (nell’ordine) le ragazze, le sigarette, il cinema, le mostre d’arte, i vini rossi. Boniperti, che conosceva i suoi polli, voleva inserire nel contratto una clausola: non più di 20 sigarette al giorno. No, disse Marocchino, sarebbe scorretto da parte mia, lei non ha tutti i mezzi per controllarmi. Non tutti, ma ex militari in pensione sì. Marocchino sembra appena caduto dal letto, ma era ed è sveglio. Li conosceva tutti, d’inverno li invitava a bere qualcosa al caldo. Una notte lo beccarono che rincasava alle 3. «Tutta colpa del presidente, insiste perché io respiri aria buona e io esco quando c’è meno smog». Su SW della scorsa settimana c’è molto amarcord suo. Domande giuste, risposte buone, Marocchino è un intellettuale mascherato e mi (gli) chiedo perché non abbia ancora scritto un libro sul suo calcio, dove si sbagliava da professionisti, come nella canzone di Paolo Conte. Ricordo lo stupore con cui raccontò i sistemi di controllo. «Telefonata a casa alle 22.30, massimo 22.45, e devo essere lì a rispondere. Li ringrazio. La mia ragazza arriva alle 20, e dopo chi ha più voglia di uscire?». Angolo della poesia: “Stupida America” di Abelardo Delgado: “Stupida America, vedi quel chicano/con un grosso coltello/nella mano ferma/non vuole accoltellarti/vuole sedersi su una panchina/a intagliare crocefissi/ma tu non glielo permetti./ Stupida America, senti quel chicano/che grida maledizioni in strada/ è un poeta/senza carta e matita/ e siccome non può scrivere/sta per esplodere./ Stupida America, ricordi quel chicanito/bocciato in matematica e in inglese/ è il Picasso/ dei tuoi stati occidentali/ma morirà/ con mille capolavori/appesi solo alla sua mente”.
Sound72
00mercoledì 5 agosto 2020 10:41
Scomparso Sergio Zavoli..decano dei giornalisti..

Con La Notte della Repubblica ci sono un po' cresciuto, trasmissione vista intorno ai 18 anni, in epoca pre internet una mezza bibbia sul dopoguerra del terrorismo e instabilità politica visto che la storia studiata al quinto liceo si fermava al referendum monarchia/repubblica e al massimo arrivava al boom economico.
Il libro su quella trasmissione fu il primo che comprai di cronaca su gli anni di piombo.

Grande ricordo anche il Processo alla tappa riscoperto poi negli anni nelle repliche sulla Rai. Storica l'intervista a Mercxx in lacrime dopo positività al doping.

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