19 luglio 1966
Un gol di Pak Doo Ik elimina a sorpesa l'Italia dai Mondiali d'Inghilterra. La gara finisce 1-0 per la Corea del Nord. Quella di Middlesbrough rimane la più grave disfatta nella storia della nazionale azzurra, paragonabile a quella del 2002 contro la Corea del Sud e a quella di quest'anno ai Mondiali in Sudafrica.
Solo 16 squadre erano ammesse alle finali del torneo e soltanto un posto era riservato alle squadre di Africa, Asia e Oceania.
Per protestare contro questa politica discriminante, quasi tutti i Paesi di questi continenti ritirarono le proprie squadre dalla competizione.
Rimasero solo due nazioni: la Corea del Nord e l’Australia.
Si decise di disputare lo spareggio (andata e ritorno) il 21 e il 24 novembre 1965.
Poiché i due Paesi erano ufficialmente ancora in guerra, occorreva trovare una sede neutrale e le autorità scelsero di far tenere entrambe le partite a Phnom Penh, in Cambogia.
La compagine australiana era composta per la maggior parte da professionisti inglesi di una certa età, che si erano allenati molto poco e che quasi non si erano incontrati prima della partita.
Vennero distrutti dalla squadra nordcoreana che si rivelò rapida, forte e ben organizzata, con il risultato di 9-2 tra andata e ritorno (6-1 e 3-1).
Per motivi di imparzialità, il presidente della Cambogia aveva ordinato che metà del pubblico tifasse per la Corea e l’altra metà per l’Australia.
La Corea del Nord, sorprendentemente, si era qualificata per la Coppa del Mondo in Inghilterra.
Tuttavia, i britannici erano «ancora in guerra» con la Corea del Nord e quindi vennero organizzate freneticamente le trattative diplomatiche per preparare l’arrivo della squadra da un Paese che, ufficialmente, non esisteva. C’era la possibilità di vietare l’ingresso alla squadra, ma questa scelta fu subito scartata.
C’era poi un altro problema, quello degli inni nazionali: come si poteva suonare un inno nazionale per una nazione inesistente?
Venne raggiunto un compromesso tipicamente britannico: non sarebbe stato suonato nessun inno nazionale, a eccezione della partita di inaugurazione e della finale.
Si presumeva che la Corea del Nord non avrebbe raggiunto la finale.
Tuttavia, sulla questione della bandiera le autorità si arresero e le bandiere nordcoreane volarono verso l’Inghilterra, con la loro stella rossa.
Infine, le autorità britanniche ordinarono che la squadra venisse definita Corea del Nord e mai Repubblica popolare democratica di Corea.
La squadra nordcoreana partì per l’Inghilterra nel luglio del 1966 con un gruppo di 74 persone, inclusa una troupe cinematografica di quattro persone che filmò tutte le partite e anche altro, in gloriosi formati a colori da 35 millimetri.
Il filmato è alquanto sorprendente, soprattutto per chi si ricorda gli eventi in bianco e nero.
I registi inglesi Daniel Gordon e Nicholas Bonner hanno potuto consultare interamente l’archivio dei filmati, mai visti prima d’ora in Occidente.
Prima di partire per l’Inghilterra nel 1966, la squadra incontrò Kim Il Sung, il dittatore denominato «Grande Leader», il quale chiese loro di vincere almeno una partita.
Questa era la loro missione.
I giocatori inventarono anche una canzone, la Canzone dell’amicizia, che poi cantarono agli inglesi e che viene cantata anche nel documentario.
All’incontro con Gordon e Bonner, un giocatore nordcoreano disse loro che erano «i primi inglesi che vedeva dopo 35 anni».
La prima partita disputata dalla Corea del Nord fu a Middlesbrough, una cittadina industriale grigia e austera abitata da classi operaie, contro la potente squadra russa.
I giocatori nordcoreani si allenarono su un campo sportivo all’ombra di un imponente impianto petrolchimico.
L’altezza media dei nordcoreani era di 1,67 e vennero seccamente sconfitti dallo squadrone sovietico, che vinse 3-0.
Viste le brutali tattiche adottate dai russi, il pubblico sembrò schierarsi dalla parte coreana e molti, quella notte, diventarono «tifosi dei nordcoreani».
La folla era esigua, ma rumorosa e la Coppa del Mondo non era ancora stata molto commercializzata.
Si poteva uscire la sera, acquistare un biglietto ed entrare allo stadio.
Dopo l’incontro, il giornale locale definì i coreani «non abbastanza duri» e «fisicamente dominati».
La Corea del Nord era vicina all’eliminazione.
Per sopravvivere, avevano bisogno di conquistare almeno un punto contro il Cile.
Nel primo tempo Marcos realizzò un rigore per i cileni e, nonostante il tifo forsennato del pubblico, i coreani non riuscirono a ottenere il goal di cui avevano bisogno.
Poi, all’88° minuto, Pak Sung Yin segnò con un magnifico tiro dal margine dell’area.
Il pubblico impazzì, festeggiando come se i coreani avessero vinto la Coppa del Mondo.
Un alto marinaio inglese corse in mezzo al campo e abbracciò i giocatori coreani.
Dopo la partita, il sindaco di Middlesbrough incontrò la squadra e strinse le mani a tutti i giocatori.
Disse che era stato «l’incontro più eccitante a cui avesse mai assistito».
Pak Sung Yin è uno dei sette giocatori ancora in vita intervistati dalla troupe cinematografica inglese in Nord Corea.
Per allenarsi, racconta, legava delle corde elastiche intorno alle gambe e le stendeva per mille volte, ogni giorno!
A Middlesbrough i giocatori nordcoreani divennero delle star, i ragazzi del posto chiedevano i loro autografi, molti promisero di fare il tifo per loro contro la forte squadra italiana.
Le bandiere coreane sventolavano in tutta la città.
È il 19 luglio 1966.
Nessuno pensa a una possibile vittoria dei coreani.
Questa era la squadra italiana che sarebbe andata avanti, con Rivera, Mazzola, Albertosi, Burgnich, Facchetti e Riva (che non giocò), vincendo i campionati europei nel 1968 e raggiungendo la finale della Coppa del Mondo nel 1970.
Durante la partita gli italiani fallirono una marea di occasioni, solo nel primo tempo Marino Perani ebbe tre occasioni e poi Giacomo Bulgarelli, il capitano della squadra italiana, fu costretto a lasciare il campo, infortunato, per un fallo che lui aveva commesso ai danni di un giocatore coreano.
A quei tempi non esistevano le sostituzioni.
Poi, il fatale 41° minuto: Pak Do Ik, che non era un dentista, ma un tipografo nonché un calciatore professionista, e che più tardi diventò l’allenatore della squadra nazionale, esplose un tiro che oltrepassò Albertosi (questa volta a colori).
La foto del disperato tuffo di Albertosi è una delle immagini più famose nella storia del calcio.
Middlesbrough impazzì di nuovo.
Nel secondo tempo vi furono ancora una serie di occasioni e di splendide parate da parte del portiere coreano Ri Chan Myong (che era alto solo 1,70).
L’Italia era fuori, e costretta a sopportare i lanci di pomodori all’aeroporto di Genova.
La Corea del Nord era nei quarti di finale, contro il Portogallo, questa volta a Liverpool.
In Corea, erano le tre del mattino.
Centinaia di migliaia di nordcoreani avevano seguito il trionfo per radio.
Il commentatore inglese era estasiato: «Cielo, hanno vinto, quello che succede qui è fantastico», gridò.
Molti giocatori italiani pagarono un caro prezzo per la disfatta contro la Corea. Barison, Janich e il capro espiatorio Perani non giocarono mai più nella nazionale.
Fogli giocò una sola volta, contro Cipro. Spartaco Landini fece soltanto altre due apparizioni con la nazionale.
Perfino Bulgarelli giocò ancora solo due volte, terminando la sua carriera con la nazionale all’età di 26 anni, mentre Guarneri giocò soltanto altre nove partite.
Gli unici giocatori che «sopravvissero» alla Corea e restarono in nazionale furono Albertosi, Facchetti, Rivera e Mazzola.
Il marchio della «Corea» era un marchio pesante che i calciatori dovettero sopportare per il resto della loro carriera.
Nell’incontro successivo, con alla guida Valcareggi e non più Fabbri (che secondo l’Enciclopedia del Calcio fu soprannominato «un uomo chiamato Corea»), c’erano in squadra otto giocatori dell’Inter.
I coreani non avevano un posto dove stare a Liverpool, quindi presero l’hotel degli italiani, che si era liberato, in un centro cattolico.
Secondo quanto raccontano i giocatori, erano intimoriti dai simboli religiosi presenti nelle camere, adornati con ciò che loro definiscono nel film «chiodi terrificanti» e non riuscivano a dormire.
Chiesero e ottennero la rimozione dei crocifissi dalle pareti delle loro stanze.
La voce secondo la quale i giocatori a Liverpool si diedero all’alcol e alle donne viene smentita dagli stessi atleti e dal proprietario del pub locale, il quale afferma che venne ordinata solo acqua per la squadra.
Siamo al quarto di finale, questa volta di fronte a 51 mila persone al Goodison Park, con la presenza di almeno 3 mila tifosi inglesi «coreani» arrivati da Middlesbrough, 150 miglia di distanza, tra cui molti giovani.
I primi 22 minuti furono magnifici.
La Corea segnò tre reti.
I coreani erano dappertutto. Pak Sung Yin batté il portiere portoghese dopo solo un minuto mentre Li Dong Woon e Yang Sung Guk segnarono altre due reti al 21° e al 22° minuto.
Il pubblico cominciò a gridare «facile, facile» e «ne vogliamo quattro».
Ma poi entrò in gioco la grande ala portoghese Eusebio.
Un tiro potente al 27° e un rigore al 42° minuto; risultato del primo tempo: 3-2 per la Corea. Poi ci fu un goal straordinario dopo dieci minuti del secondo tempo (che il portiere coreano non vide neppure, perfino alla moviola risulta veloce), seguito da un altro rigore.
Quattro reti segnate da un unico giocatore in 28 minuti. Eusebio 4, Corea del Nord 3.
Augusto segnò un’altra rete al 78° che affossò gli esausti coreani, i quali non possedevano la consapevolezza tattica per conservare il vantaggio, continuavano semplicemente a correre.
Al loro ritorno in patria, anziché venire rinchiusi in campi di concentramento, come spesso è stato raccontato, i giocatori vennero accolti come degli eroi.
I sette calciatori della partita contro l’Italia sopravvissuti (e il loro allenatore) ancora oggi si incontrano regolarmente in ciò che chiamano il «club di Londra» e «ripercorrono i loro ricordi».
Nel film i calciatori, in ottima forma, incluso Pak Do Ik, vengono mostrati mentre ridono e giocano a palla tra loro, nelle proprie case e di fronte al monumento di Kim Il Sung, dove piangono.
Altre immagini affascinanti della frontiera con la Corea del Sud evidenziano la tensione che si protrae da oltre cinquant’anni.
Pak Do Ik, il quale, come Gabriele Romagnoli scrisse nel 2002, «vive e lotta con noi» (Diario, 31 maggio 2002), dichiara che quando un vigile gli dà una multa e poi si rende conto di chi è, la multa viene subito ritirata.
Ma generalmente i giocatori sono modesti e affermano: «non abbiamo poi fatto molto per il nostro Paese».
Si vedono i giocatori in piedi, orgogliosamente in fila, ricoperti di medaglie.
In Corea del Nord il film è stato trasmesso in televisione almeno nove volte.
Nel 2003 Bonner e Gordon hanno realizzato l’impossibile: hanno portato i sette calciatori nuovamente a Middlesbrough, dove hanno incontrato alcuni dei tifosi che li avevano sostenuti quarant’anni prima.
Il vecchio stadio (Ayresome Park) non esiste più, ma gli ex-calciatori si sono recati sul posto in cui sorgeva il vecchio campo.
Nel 1990 è stato costruito un complesso residenziale, ma vi sono tuttora tracce del vecchio stadio: un pallone da calcio in bronzo nel punto in cui c’era il dischetto del rigore (nel giardino di un inquilino) e un simbolo in bronzo nel punto in cui segnò Pak Do Ik, anche questo nel giardino anteriore di un altro inquilino! Ayresome Park fu il campo di Middlesborough per 100 anni, ma l’unico riferimento al calcio in quel luogo è ora dedicato a un calciatore nordcoreano.
I giocatori sono andati a Everton, dove si svolse l’incontro dei quarti di finale contro il Portogallo. Il viaggio è culminato con i coreani che accompagnano in campo la squadra del Middlesborough prima di una partita di campionato nel nuovo stadio sfavillante e vengono applauditi dalla folla.
Tra le acclamazioni del pubblico, Pak Do Ik ripropose il suo famoso goal.
Il tour durato due settimane è stato definito «gli eroi tornano a casa».
A Middlesbrough il mito di Pak Do Ik vive tuttora.
Nel frattempo, per la squadra italiana, l’incubo Corea si è ripetuto nelle Coppe del Mondo successive.
Nel 1986 l’Italia ha battuto di misura la Corea del Sud per 3-2, prima di uscire definitivamente contro la Francia.
E nel 2002, in parte per colpa dell’arbitro Byron Moreno, l’Italia è uscita agli ottavi battuta dalla Corea del Sud per 2-1.
Uno dei commentatori della Rai era Giacomo Bulgarelli.
Un enorme striscione era stato appeso a una delle tribune prima della partita.
Il messaggio era semplice e molto efficace: Again 1966! («Ancora 1966!»)
In Nord Corea, Pak Do Ik stava guardando la tv, tifando per la Corea del Sud.
Se le due Coree fossero state unite, afferma, avrebbero vinto la Coppa del Mondo.