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le verità nascoste

Ultimo Aggiornamento: 15/05/2024 14:59
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17/08/2010 09:28
 
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L'anno del Palio maledetto
Siena più forte del suo destino



La Tartuca vince il Palio di Siena, tensioni e cadute.

Si stacca un cornicione e uccide un francese: ma la corsa non si ferma


Nella piazza del Campo, è un rumore sordo quello che ti prende. La Tartuca ha tagliato il traguardo. Ha vinto Istriceddu, guidato dal re dei fantini, Gigi Bruschelli detto Trecciolino, il più vecchio della piazza, il più duro di tutti: l’hanno chiamato così perché era il soprannome di uno che non mollava mai. Ma alla fine della corsa fanno la conta delle disgrazie. Hanno ricoverato una operaia che non sapeva quel che le era successo: aveva perso la memoria. Un fantino aveva una frattura alla gamba. E a una signora belga di 50 anni stanno facendo la tac: è stata colpita dalla bandiera della Civetta, volata tra il pubblico durante la sfilata. La sera prima c’era stato un morto, alla cena della Civetta. Sembra una maledizione. La maledizione del Palio delle contrade verdi, dicono da queste parti. Ce ne sono quattro che hanno questo colore nelle loro bandiere, e ieri, come capita di rado, erano tutte in piazza, Bruco, Oca, Selva e Drago.

A Siena dicono che il Palio è come la vita. Nella vita c’è tutto, ci sono anche i conti da pagare. E il destino non ha tempo per fermarsi, proprio come il Palio. Nella notte della vigilia, alle due e mezzo, una pietra caduta da un balcone aveva ucciso Alain Enfaux, il capo delegazione della città di Avignone ospite del Comune di Siena: era stato invitato alla cena della Civetta e si era appena alzato per salutare il fantino della contrada, Andrea Mari detto Brio, un ragazzone di 33 anni che ne ha già viste tante nella sua carriera e che una volta rischiò pure la vita, alla partenza di un palio, quando il cavallo lo buttò per terra, scalciandolo e rompendogli una spalla. L’altra notte Brio ha visto morire il signore Enfaux nella maniera più assurda. Il Palio non ha potuto fermarsi, perché, come s’affretta a spiegare il sindaco Maurizio Cenni, «questa tragica fatalità non ha nessun collegamento diretto con il Palio. Siamo tornati a casa alle 4 e 40 stanotte, e abbiamo cercato tutti di stare vicini al nostro amico: questa è una città fatta più di anima e sentimenti che di altre cose. Abbiamo anche deciso di fare un minuto di raccoglimento prima della prova, una dimostrazione che noi di solito riserviamo solo alle grandi figure del Palio. I vigili hanno deciso di non mettere l’alta uniforme, in segno di cordoglio».

Ma di più non si poteva fare. Come ammette Cenni, «per noi la vita si ferma in questi giorni». E’ difficile da capire per chi non c’è mai venuto a guardare da dentro questa città meravigliosa, con i suoi lastricati, le sue chiese, i suoi palazzi mercantili, la sua storia immobile, in questa piazza che degrada in controluce come una pittura del Rinascimento, con la sua corsa senza senso, proprio come la vita. «In realtà, la vita va avanti e presenta il conto». E quest’anno è un conto lungo. Dev’essere la cabala, ripetono a Siena: 4 contrade verdi alla partenza, non portano bene. Il conto aveva cominciato a presentarlo il ministro Michela Vittoria Brambilla, con la sua polemica sulla corsa di Siena da abolire per la violenza ai cavalli, poi ritrattata in parte: «Ho solo detto che certi palii sono simili alle corride». Ieri, però, la Giraffa s’è ritirata, perché il suo cavallo, Guschione, «aveva un leggero stiramento e allora hanno preferito non rischiarlo». Adesso il sindaco cerca di spiegare la sofferenza per questa decisione: «Qui si vive tutto l’anno in funzione di questo giorno. Rinunciarci è un dolore vero. Ma si è preferito tutelare la salute dell’animale. E’ successo tante altre volte, a riprova che quel che dice qualcuno è una sciocchezza. Noi da ottobre alleviamo 150 cavalli seguiti meticolosamente, facciamo l’antidoping preventivo, mentre altri lo fanno dopo. E terminata la carriera, l’animale viene mantenuto in una struttura che sarebbe magnifica anche per un essere umano». In fondo, i cavalli sono stati gli unici a salvar la pelle, ieri. Vallo a capire il destino. Alla sera, sulla piazza sono schierati con i loro fantini, altri racconti di vita e di morte, come quello di Giuseppe Zedde detto Gingillo, 28 anni appena, che a un altro palio, a Ferrara, montava un cavallo di sua proprietà, Baonero, e dopo due giri di pista inciampò in una buca all’ingresso di una curva: lui finì in ospedale con una lesione alla tibia. A Baonero gli spararono: eutanasia.

Anche Alberto Ricceri, detto Salasso, rischiò la vita ad Asti, mangiando la polvere assieme ad altri 5 fantini finiti per terra. Lui restò steso tra le nuvole di quello scompiglio, ma poi lo portarono via, restituendogli il respiro. Il suo cavallo, azzoppato nello scontro, fu abbattuto. Ieri i cavalli sono rimasti illesi, mentre le sfortune si accanivano. Persino Giovanni Atzeni, detto Tittia (che vuol dire «che freddo») s’è fatto male senza neanche cadere. Il più famoso dei fantini, il «dittatore», come lo chiamano fra le vie delle contrade, è Gigi Bruschelli detto Trecciolino, che era il grande favorito. Il suo soprannome risale alla prima corsa, quella del 1990, che fece quando non aveva neanche 20 anni: «Me lo diede il capitano della Civetta dopo che caddi al primo San Martino. Nel loro passato c’era un fantino che si chiamava così e che aveva vinto tre palii. Era un combattente, uno che non si arrendeva. Sei come lui, mi dissero». Da allora ha vinto 12 volte, meno soltanto di Aceto (14) e Picino (13). Trecciolino ha un volto scolpito, come un guerriero, capelli neri corti, e sguardo intenso. Ha vinto di nuovo. Il Palio aveva deciso così. E’ la vita.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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