Arte

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Sound72
00mercoledì 30 marzo 2011 17:10
"100 capolavori dallo Städel Museum di Francoforte. Impressionismo, Espressionismo, Avanguardia"


dal 1° aprile al 17 luglio 2011

La mostra rappresenta la prima occasione per una presentazione in Italia delle collezioni del celebre museo di Francoforte, una delle più ricche e prestigiose raccolte europee d'arte antica e moderna, fondata nel 1815 dal mercante e banchiere Johann Friederich Städel.
In adesione alla vocazione "modernista" di Palazzo delle Esposizioni, la selezione proposta si orienta sulla porzione otto-novecentesca della collezione tedesca, offrendo una panoramica che spazia sulla storia dell'arte europea dai Nazareni ai Romantici, dal Realismo all'Impressionismo, dal Simbolismo alle Avanguardie. Articolata in sette scansioni stilistico-cronologiche da distribuire nelle sette gallerie ai lati della monumentale Rotonda di Palazzo delle Esposizioni, la mostra presenterà, tra gli altri, capolavori di Tischbein, Koch, Corot, Monet, Degas, Renoir, Van Gogh, Cézanne, Böcklin, Feuerbach, fino a Moreau, Redon, Hodler, Munch, Beckmann, Ernst, Klee, Picasso.
La mostra apre sullo scenario del classicismo tedesco di primo Ottocento, introdotto dal celeberrimo ritratto di Goethe in riposo sullo sfondo della campagna romana, realizzato nel 1787 da Tischbein e diventato simbolo assoluto del mito italico del Grand Tour. A seguire, un vasto omaggio all'impressionismo francese - dai paesaggi realisti di Corot e Courbet al radioso impressionismo dei ritratti di Renoir fino alle sontuose atmosfere parigine di Degas. Lo snodo centrale della mostra è dedicato al Simbolismo, rappresentato dai suoi protagonisti assoluti (Böcklin, Ensor, Moreau, Munch e Redon) con le loro evocazioni di mondi immaginati e inquietanti, cui fa eco un raffinato gruppo di opere Nabis (Bonnard, Vallotton e Vuillard). La mostra dà spazio quindi a capolavori dell'Espressionismo tedesco, rappresentato dai gruppi Die Brücke (con Heckel e Nolde) e Der Blaue Reiter (con Marc e Jawlensky), la cui produzione si orienta su una formula pittorica drammatica e radicale.
A Max Beckmann, artista di marca espressionista ma difficilmente riducibile ad una corrente precisa, e al suo stile potente ed incisivo che riflette le complessità della cultura europea d'inizio secolo, è dedicata un'intera sezione, mentre lo sperimentalismo visionario di artisti come Max Ernst, Paul Klee e Pablo Picasso offrono, in conclusione della mostra, una panoramica d'eccezione sul confine novecentesco della modernità.

A cura di Felix Krämer.

Orario d'apertura: martedì, mercoledì, giovedì dalle v10 alle 20; venerdì e sabato 10-23.30; domenica 10-20; L'ingresso è consentito fino a un'ora prima della chiusura
Biglietti: Intero € 12.50; ridotto € 10
Informazioni: PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI, via Nazionale 195 - Roma

Sound72
00mercoledì 27 aprile 2011 10:05
il quadro del giorno..





L'impero delle luci -Magritte
Sound72
00sabato 7 maggio 2011 11:22
Proust e Monet, percorsi creativi

Il nuovo libro di Giuliana Giulietti si ripercorrono le tappe
e i punti di contatto dei due artisti


Il ruolo decisivo di Claude Monet nella formazione estetica di Marcel Proust e i punti di contatto tra le loro poetiche: ecco l’itinerario lungo il quale l’autrice di queste pagine Giuliana Giulietti ci accompagna, nel suo libro «Proust e Monet» pubblicato da Donzelli Editore, ripercorrendo le tappe più significative dei due percorsi creativi - dall’incompiuto «Colazione sull’erba» del giovane Monet all’incompiuto «Jean Santeuil» del giovane Proust, sino ai loro massimi capolavori, «Le grandi decorazioni» dell’Orangerie di Parigi e «Alla ricerca del tempo perduto». Scopriamo così che l’elaborazione dei grandi temi proustiani - il tempo, l’oblio, la memoria involontaria - si è intrecciata alle meditazioni dello scrittore sulla pittura di Monet, dai primi dipinti impressionisti all’invenzione delle «serie», in particolare quelle delle «Cattedrali», dei «Mattini sulla Senna», delle «Ninfee».
Con straordinaria acutezza e in ragione di profonde affinità, Proust intuiva che il vero «soggetto» di quelle serie meravigliose, che lui vedeva trascorrere da una tela all’altra, era il tempo, il tempo «sovrano reggitore e regolatore della nostra vita e dell’universo», che nel suo flusso nascosto trasporta in un perenne andirivieni, dal nulla verso il nulla, esseri e cose. Consapevole di quanto effimero fosse lo splendore dell’attimo che subito si spenge, Monet cercava con le «serie» di vincere - attraverso la durata - la caducità e l’oscura morte che l’accompagna. Dunque, per Monet come per Proust, l’opera d’arte diventa il luogo in cui fissare «una realtà che sta per lasciarci per sempre» e per ritrovare, nel felice presente della creazione, il tempo perduto.


Periodo di picnic e colazioni sull'erba..

Manet..




Monet...








Meglio quella di Manet per me [SM=g7557]



Sound72
00martedì 10 maggio 2011 12:39
Alla ricerca di Monna Lisa
Iniziano gli scavi




Il georadar ha evidenziato la presenza di una cripta
che potrebbe contere i resti mortali della modella della Gioconda, Lisa Gherardini


Si fa sempre più probabile la presenza dei resti mortali di Monna Lisa nell’ex convento di Sant’Orsola a Firenze. Gli esami del geo-radar, eseguiti per tre giorni, dal 27 al 29 aprile, i cui risultati sono stati resi noti ieri, hanno confermato «la presenza di una probabile cripta nell’ex chiesa di Sant’Orsola adibita al culto esterno ed anche ad accogliere le sepolture esterne». Lo ha annunciato Silvano Vinceti, responsabile della ricerca della tomba di Lisa Gherardini, da molti, a partire dal Vasari, considerata la modella della Gioconda di Leonardo da Vinci, e presidente del Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici, culturali e ambientali. Anche nei due chiostri adiacenti all’ex chiesa, ha precisato Vinceti, il georadar ha rilevato «zone dove potrebbero esservi sepolture».

Domani, mercoledì 11 maggio, alle ore 10.30, avranno inizio gli scavi per il recupero dei resti mortali della moglie del ricco commerciante fiorentino Francesco del Giocondo, morta all’età di 63 anni nel 1542. Una dei discendenti di Lisa Gherardini del Giocondo, la principessa Natalia Guicciardini Strozzi, assisterà agli scavi, che prenderanno avvio all’interno dell’ex chiesa dove è stata segnalata la presenza di una cripta 1,90-2,00 metri sotto il pavimento, a destra rispetto dove un tempo vi era l’altare. Intanto hanno preso avvio le operazioni per rimuovere da quell’area il cemento armato, spesso 36 centimetri. Lo scavi di mercoledì prossimo, dunque, inizierà dalla terra.

«Per quanto concerne il sottosuolo della chiesa di Sant’Orsola, che secondo alcuni documenti storici inediti - raccolti dal Comitato - era adibita a sepolture di persone laiche e non appartenenti all’ordine monacale, il risultato definitivo dell’esame con il georadar evidenzia la probabile presenza di una cripta adibita alle sepolture nonchè di probabili sepolture collocate sotto il pavimento della chiesa. Anche nei due chiostri, quello grande e quello piccolo, adiacenti alla chiesa di S. Orsola, i risultati definitivi dell’esame compiuto con il geo-radar hanno evidenziato alcune zone che possono celare resti mortali umani e che saranno oggetto di scavo», si legge in un comunicato.

Silvano Vinceti ha dichiarato: «I risultati a nostra disposizione grazie all’esame del sottosuolo della chiesa di S. Orsola nonchè quello dei due chiostri sono molto importanti. Pur se si tratta di previsioni, considerando che solo gli scavi ci diranno concretamente che cosa vi sia o non vi sia sottoterra, viene confermata la probabile presenza di una cripta e di alcune sepolture al di sotto del pavimento dove pertanto speriamo di trovare i resti mortali di Monna Lisa».
«Non possiamo scartare la possibilità che anche in uno dei due chiostri vi possano essere sepolture - ha aggiunto Vinceti - fra le quali potrebbe trovarsi quella di Lisa Gherardini. Mercoledì 11 maggio, sotto la direzione della sopraintendenza archeologica di Firenze, inizieremo gli scavi veri e propri e quella sarà la prova del fuoco». Anche questa seconda fase della ricerca verrà seguita dai principali mass media nazionali e internazionali. Oltre alla Bbc, Cnn, Al Jazeera già presenti nella fase del georadar, si sono aggiunti altre importanti tv giapponesi, francesi, americane, russe e tedesche.
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la cercano col georadar [SM=g27993] ..ma poi come avrebbero la certezza che è lei^? boh
Sound72
00mercoledì 18 maggio 2011 16:46
Da Warhol a Koons, Made in Italy a Roma

Dal 27/5 una collettiva alla Gagosian che celebra i 150 anni unita' d'Italia


ROMA - Da Robert Rauschenberg a Basquiat, da Andy Warhol a Cy Twombly a Jeff Koons, i protagonisti mondiali dell'arte del secondo '900 saranno in mostra a Roma, dal 27 maggio, nell'unica sede italiana della Gagosian Gallery, per una rassegna che vuole celebrare i 150 dell'Unita' d'Italia. Intitolata Made in Italy, l'importante esposizione sara' una riflessione su come gli antichi maestri abbiano continuato a influenzare generazioni di artisti, fino a quelle contemporanee. Un richiamo irresistibile, che ha le sue radici nelle profondita' della storia.

Curata da Mario Codognato, l'importante collettiva intende tracciare un inedito percorso italiano attraverso l'opera di alcuni tra i maggiori artisti degli ultimi 60 anni: Georg Baselitz, Jean Michel Basquiat, Joseph Beuys, Dike Blair, Marcel Duchamp, Alberto Giacometti, Douglas Gordon, Andreas Gursky, Damien Hirst, Howard Hodgkin, Mike Kelley, Jeff Koons, Louise Lawler, Roy Lichtenstein, Richard Prince, Robert Rauschenberg, Gerhard Richter, Richard Serra, Cindy Sherman, David Smith, Thomas Struth, Cy Twombly, Andy Warhol, Lawrence Weiner.

L'attrazione esercitata dall'Italia ha attraversato i secoli conoscendo un momento di particolare splendore a cavallo tra '700 e '800, all'epoca del cosiddetto Grand Tour, quando artisti-viaggiatori inglesi, americani, francesi e tedeschi varcavano le Alpi per sperimentare da vicino la grande tradizione classica conosciuta solo sui libri, per ammirare i capolavori di un passato idealizzato e immergersi in uno stile di vita completamente diverso. Il Bel Paese si consolidava cosi' quale idea e ideale artistico: gli esotismi bizantini di Venezia, lo splendore del Rinascimento fiorentino, l'infatuazione per le vestigia della Roma classica stordivano e ispiravano i giovani letterati in questa loro straordinaria esperienza formativa.

Nonostante siano passati a piu' di 300 anni dall'inizio di questa tradizione, l'esperienza italiana rimane ancora talmente rilevante da emergere nella produzione di numerosi artisti moderni e contemporanei. Una suggestione vivissima in cui l'impareggiabile ricchezza del patrimonio storico-artistico e' solo una delle molte componenti. Ecco dunque nel percorso espositivo della Gagosian una traccia di come i capolavori della storia dell'arte di tutti i tempi, da Leonardo a Caravaggio a de Chirico hanno via via influenzato opere di Duchamp, Warhol e Sherman.

E se Lichtenstein o Basquiat si sono ispirati all'archeologia e Richter e Gursky hanno subito il fascino dell'universalita' del paesaggio, Giacometti e Koons hanno trovato qui l'unicita' del canone femminile e Beuys, Kelley e Serra le suggestioni della storia o i personaggi della cultura contemporanea. ''L'Italia, o meglio le tante civilta' che si sono succedute nei millenni sul suo territorio - dice Codognato - costituiscono un caso unico di continuita' storica e artistica''. Una peculiarita' che ha reso il Bel Paese un punto di riferimento, di attrazione e di scontro per gli artisti visivi di tutto il mondo occidentale. ''L'Italia - conclude il curatore - ha una doppia identita', e' passato e presente, e' archeologia e creativita' contemporanea, coagula simultaneamente il peso della tradizione e le contraddizioni della modernita'''.

ansa.it
Sound72
00venerdì 20 maggio 2011 11:45
«La statua di Wojtyla sembra una garitta»
Le critiche dell'Osservatore Romano
Il quotidiano vaticano: scarsa riconoscibilità. Pdl: nuovo concorso. Il Pd: ennesima lite maggioranza




ROMA - Sulla statua di papa Wojtyla inaugurata ieri davanti alla stazione Termini, che già molte polemiche ha suscitato per le sue qualità artistiche, interviene oggi anche l'Osservatore Romano, secondo il quale l'opera dello scultore Oliviero Rainaldi inaugurata ieri dal cardinale Vallini con il sindaco Alemanno e il ministro Matteoli, «pecca di una scarsa riconoscibilità».

Il giornale vaticano plaude all'idea della statua che rammenti il papa-viaggiatore alle folle di viaggiatori che arrivano a Roma, ma critica la realizzazione: «La suggestione dell'opera - scrive - consiste nell'abbraccio ideale che il Pontefice era solito dare ai fedeli della sua diocesi e offrire ai molti pellegrini e visitatori» ma «il suo volto, situato in cima alla struttura, ha però solo una lontana somiglianza con quello del Papa. E complessivamente il risultato non sembra all'altezza dell'intento, tanto che in proposito già si sono levate voci critiche. Per chi esce dalla stazione sembra infatti un enorme monumento indistinto più che un immediato e inequivocabile omaggio a Giovanni Paolo II. Ci si può quindi domandare se non sarebbe stato meglio privilegiare questo aspetto, viste l'importanza e la collocazione del monumento».

L'Osservatore Romano descrive la statua come «una scultura singolare, squarciata dal vento che la fa somigliare a una tenda aperta o, come ha detto qualcuno, a una campana. Quando il bozzetto di quest'opera è stato visto per l'approvazione presentava una simbologia molto più evidente. Quella che oggi sembra una campana era infatti un tabarro rosso aperto in modo naturale, come appare in molte suggestive immagini di Giovanni Paolo II. Quel mantello, infatti, doveva ricordare il gesto espressivo e simbolico, più volte ripetuto dal Papa, che voleva così accogliere sotto la sua protezione i fedeli di Roma e del mondo».

«Sulla piazza, invece, ci troviamo di fronte - rimarca l'Osservatore Romano - a un violento squarcio, come di bomba, che finisce quasi per assimilare quel mantello a una garitta, sormontata da una testa del Papa eccessivamente sferica». Per il quotidiano vaticano «resta comunque molto importante e lodevole la decisione del Comune di Roma, che in questo modo ha promosso un'iniziativa efficace per completare e perfezionare il rapporto tra Giovanni Paolo II e la stazione Termini, già nel 2006 dedicata al Papa così amato e che ora è stato proclamato beato dal suo immediato successore». A Rainaldi comunque va riconosciuto almeno «un merito: quello di volersi intenzionalmente distaccare dalla classica iconografia papale per calarla nella modernità».

Il Pdl: un oltraggio. «La statua dedicata a Papa Wojtyla, inaugurata ieri davanti la stazione Termini, doveva essere la ciliegina sulla torta degli eventi previsti per la beatificazione di Giovanni Paolo II ma rischia di essere una macchia di fango permanente e oltraggiosa per la sua memoria - dice il presidente della Commissione Cultura di Roma Capitale, Federico Mollicone - Il fatto che l'opera sia stata donata non presuppone l'accettazione passiva da parte della Sovraintendenza e dell'Amministrazione capitolina. Rappresentare Beato Giovanni Paolo II come una campana sventrata è un oltraggio alla sua figura e alla sua memoria: per questo hanno pienamente ragione tutti coloro che ieri l'hanno criticata duramente. Sarebbe utile un concorso di artisti per disegnare un'altra opera, trasferendo la statua di Oliviero Rainaldi in un contesto meno pubblico». Attacca anche Andrea De Priamo, consigliere Pdl membro della commissione Urbanistica: «La statua è uno dei peggiori esempi di arte contemporanea innestati nel centro storico della Capitale, paragonabile per bruttura alla teca di Meier che oscura l'Ara Pacis e ai tanti e scellerati interventi urbanistici perpetrati ai danni del territorio. Sinceramente non comprendiamo le motivazioni che hanno portato alla scelta di un'opera di questo tipo, che non solo non raffigura degnamente il messaggio universale di Giovanni Paolo II, ma che dequalifica la sua figura ad un prodotto concettuale e autoreferenziale dell'artista. Sosteniamo per questo la proposta del collega presidente della Commissione Cultura, Federico Mollicone, di un concorso di artisti per una nuova stata dedicata a Papa Wojtyla, valutando una collocazione alternativa dell'opera ora presente davanti la Stazione Termini».

Il Pd: nel Pdl liti da comari. «Che la maggioranza di Alemanno ormai sia in lite perenne è sotto gli occhi di tutti, come è evidente che nella città tutto sia inesorabilmente fermo. È davvero singolare però che nelle varie correnti della Pdl romana ci si azzuffi addirittura sulla nuova statua di Wojtyla, inaugurata ieri dal sindaco Alemanno. Sicuramente non si tratta di una grande opera d'arte, ma da qui a trovare il modo anche su questa vicenda di punzecchiare il primo cittadino di Roma ce ne passa! Dalla Pdl si può ben dire che ormai ci aspettiamo di tutto, anche queste liti da comari», dice in una nota Enzo Foschi, consigliere regionale Pd.

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ammazza quanto è brutta..per una volta sono d'accordo con l'osservatore Romano ..sembra la garitta di una caserma [SM=x2478856]






lucolas999
00venerdì 20 maggio 2011 12:01
tempo un settimana e sarà piena di pisciate dei barboni
faberhood
00venerdì 20 maggio 2011 14:50
Re:
Sound72, 30/03/2011 17.10:

"100 capolavori dallo Städel Museum di Francoforte. Impressionismo, Espressionismo, Avanguardia"


dal 1° aprile al 17 luglio 2011

La mostra rappresenta la prima occasione per una presentazione in Italia delle collezioni del celebre museo di Francoforte, una delle più ricche e prestigiose raccolte europee d'arte antica e moderna, fondata nel 1815 dal mercante e banchiere Johann Friederich Städel.
In adesione alla vocazione "modernista" di Palazzo delle Esposizioni, la selezione proposta si orienta sulla porzione otto-novecentesca della collezione tedesca, offrendo una panoramica che spazia sulla storia dell'arte europea dai Nazareni ai Romantici, dal Realismo all'Impressionismo, dal Simbolismo alle Avanguardie. Articolata in sette scansioni stilistico-cronologiche da distribuire nelle sette gallerie ai lati della monumentale Rotonda di Palazzo delle Esposizioni, la mostra presenterà, tra gli altri, capolavori di Tischbein, Koch, Corot, Monet, Degas, Renoir, Van Gogh, Cézanne, Böcklin, Feuerbach, fino a Moreau, Redon, Hodler, Munch, Beckmann, Ernst, Klee, Picasso.
La mostra apre sullo scenario del classicismo tedesco di primo Ottocento, introdotto dal celeberrimo ritratto di Goethe in riposo sullo sfondo della campagna romana, realizzato nel 1787 da Tischbein e diventato simbolo assoluto del mito italico del Grand Tour. A seguire, un vasto omaggio all'impressionismo francese - dai paesaggi realisti di Corot e Courbet al radioso impressionismo dei ritratti di Renoir fino alle sontuose atmosfere parigine di Degas. Lo snodo centrale della mostra è dedicato al Simbolismo, rappresentato dai suoi protagonisti assoluti (Böcklin, Ensor, Moreau, Munch e Redon) con le loro evocazioni di mondi immaginati e inquietanti, cui fa eco un raffinato gruppo di opere Nabis (Bonnard, Vallotton e Vuillard). La mostra dà spazio quindi a capolavori dell'Espressionismo tedesco, rappresentato dai gruppi Die Brücke (con Heckel e Nolde) e Der Blaue Reiter (con Marc e Jawlensky), la cui produzione si orienta su una formula pittorica drammatica e radicale.
A Max Beckmann, artista di marca espressionista ma difficilmente riducibile ad una corrente precisa, e al suo stile potente ed incisivo che riflette le complessità della cultura europea d'inizio secolo, è dedicata un'intera sezione, mentre lo sperimentalismo visionario di artisti come Max Ernst, Paul Klee e Pablo Picasso offrono, in conclusione della mostra, una panoramica d'eccezione sul confine novecentesco della modernità.

A cura di Felix Krämer.

Orario d'apertura: martedì, mercoledì, giovedì dalle v10 alle 20; venerdì e sabato 10-23.30; domenica 10-20; L'ingresso è consentito fino a un'ora prima della chiusura
Biglietti: Intero € 12.50; ridotto € 10
Informazioni: PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI, via Nazionale 195 - Roma





Come è? ci siete stati? perchè 12,5 euro non sono pochi...spero che il curatore abbia avuto il buon senso di illuminare bene le opere e fare un bel percorso per la mostra.
Sound72
00lunedì 23 maggio 2011 12:06
Re: Re:
faberhood, 20/05/2011 14.50:




Come è? ci siete stati? perchè 12,5 euro non sono pochi...spero che il curatore abbia avuto il buon senso di illuminare bene le opere e fare un bel percorso per la mostra.




l'intero costa 10 in realtà, se la abbini a quella di Lotto in tutto sono 18 €.
Grande mostra secondo me, perchè grande deve essere lo Stadel Musem.
Ho visto almeno 20 capolavori di autori diversi.Oggi pom magari posto qualcosa..però quando ti fai in serie Monet, Renoir, Van Gogh, Delacroix, Liebermann,Daubigny., Picasso, Klee e altri ancora esci proprio carico..e poi penso basti il ritratto di Goethe di Tischbein nella prima sala per farti prendere bene la mostra.. La disposizione nelle sale aiuta la visione perchè si va x temi e cronologicamente, dai Nazareni tedeschi, passando per romanticismo, realismo, impressionismo, espressionismo fino al cubismo e all'arte moderna.
L'illuminazione è quella che è, e i riflessi sul vetro non qaiutano a volte, piu' che altro il Palazzo così arioso fa da eco a rumori esterni fastidiosi, oltre a continue segnalazioni di allarme per chi supera la linea di sicurezza. Però per le opere esposte ne vale la pena.
La mostra di Lotto alle Scuderie è notevole, solo che là l'illuminazione appesantisce proprio,un pò come era stato per Caravaggio, passi dal buio cupo, a penombra a luci accese, oltre al disagio dei corridoi stretti. Ed è anche impegnativa come mostra perchè parti subito con mega polittici e pale di Madonne, angeli e tris di Santi per 3 sale ..quando arrivi al piano superiore i ritratti e le opere laiche le vedi che hai quasi " dato tutto" come ocncetrazione.
Grande autore cmq..

Certo l'abbinamento del gioco del Lotto alla mostra se lo potevano risparmià [SM=x2478856] ma rispetto alla statua del Papa ( che ho incrociato sabato a Termini--l'hanno fatto verde adesso [SM=g27993] ) non è niente..
faberhood
00lunedì 23 maggio 2011 12:25
Re: Re: Re:
Sound72, 23/05/2011 12.06:




l'intero costa 10 in realtà, se la abbini a quella di Lotto in tutto sono 18 €.
Grande mostra secondo me, perchè grande deve essere lo Stadel Musem.
Ho visto almeno 20 capolavori di autori diversi.Oggi pom magari posto qualcosa..però quando ti fai in serie Monet, Renoir, Van Gogh, Delacroix, Liebermann,Daubigny., Picasso, Klee e altri ancora esci proprio carico..e poi penso basti il ritratto di Goethe di Tischbein nella prima sala per farti prendere bene la mostra.. La disposizione nelle sale aiuta la visione perchè si va x temi e cronologicamente, dai Nazareni tedeschi, passando per romanticismo, realismo, impressionismo, espressionismo fino al cubismo e all'arte moderna.
L'illuminazione è quella che è, e i riflessi sul vetro non qaiutano a volte, piu' che altro il Palazzo così arioso fa da eco a rumori esterni fastidiosi, oltre a continue segnalazioni di allarme per chi supera la linea di sicurezza. Però per le opere esposte ne vale la pena.
La mostra di Lotto alle Scuderie è notevole, solo che là l'illuminazione appesantisce proprio,un pò come era stato per Caravaggio, passi dal buio cupo, a penombra a luci accese, oltre al disagio dei corridoi stretti. Ed è anche impegnativa come mostra perchè parti subito con mega polittici e pale di Madonne, angeli e tris di Santi per 3 sale ..quando arrivi al piano superiore i ritratti e le opere laiche le vedi che hai quasi " dato tutto" come ocncetrazione.
Grande autore cmq..

Certo l'abbinamento del gioco del Lotto alla mostra se lo potevano risparmià [SM=x2478856] ma rispetto alla statua del Papa ( che ho incrociato sabato a Termini--l'hanno fatto verde adesso [SM=g27993] ) non è niente..




Grazie Ennio, sei stato mejo delle recensioni di Romac'è....
[SM=g7348]
Sound72
00martedì 24 maggio 2011 10:09
Re: Re: Re: Re:
faberhood, 23/05/2011 12.25:




Grazie Ennio, sei stato mejo delle recensioni di Romac'è....
[SM=g7348]




aho volendo organizzo visite guidate, prezzo trattabile per forumisti [SM=g7557]








Degas
lucolas999
00giovedì 26 maggio 2011 08:59
Roma Nascosta tutta da scoprire sbirciando sotto la superficie





oma, 25 maggio – Archeologi e studiosi saranno i narratori d’eccezione per “Roma nascosta. Percorsi di archeologia sotterranea”, viaggio nel sottosuolo alla scoperta dei segreti “profondi” di una storia millenaria. Per la terza edizione, dal 27 maggio al 5 giugno, i visitatori degli oltre 40 siti archeologici saranno accompagnati nelle loro esplorazioni da un programma ricco di performance artistiche, musica dal vivo, visite guidate e laboratori a tema.


Dieci giorni per scoprire una Roma misteriosa e magica, vestigia sotterranee celate allo sguardo quotidiano, come i resti dell’acquedotto Vergine in via del Nazareno, magnifico esempio di ingegneria idraulica concepito per rifornire le Terme di Agrippa (e che tuttora alimenta la fontana di Trevi), o percorrere parzialmente il tracciato dell’unico acquedotto antico ancora funzionante dall’epoca di Augusto.

Tanti i soggetti, istituzionali e privati, che hanno contribuito a realizzare questo viaggio inconsueto e sorprendente. Tra gli altri il Fondo Edifici di Culto, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e il Vicariato di Roma hanno reso possibile ripercorrere la storia precedente l’edificazione delle chiese di S. Lorenzo in Lucina, di S. Maria in via Lata, o la visita alle Case dei SS. Giovanni e Paolo, parte di un complesso residenziale di età romana estremamente ben conservato, databile tra il I e il IV secolo d.C.

La Sovraintendenza di Roma Capitale renderà accessibili l’insula romana di San Paolo alla Regola, mirabile esempio della crescita della città su sé stessa, la soprastante insula con le sue varie fasi costruttive, il Mitreo del Circo Massimo, testimonianza del culto dedicato ad una divinità straniera legata all’ambito militare, con Mitra che uccide il toro; la Cisterna delle Sette Sale, con i suoi nove ambienti che contenevano milioni di litri d’acqua per alimentare le Terme di Traiano sul Colle Oppio, mentre ai Fori Imperiali per l’occasione sarà possibile camminare lungo il percorso sotterraneo che collega i fori dei due imperatori. Altro sito visitabile è la villa romana immersa nella pineta di Castel Fusano detta “ della Palombara”, già nota come villa di Plinio che fa parte del sistema di ville attestate fin dall’età repubblicana sulla costa laziale.



Ma il programma di “Roma nascosta. Percorsi di archeologia sotterranea” è ricchissimo: per consultarlo integralmente, ed avere informazioni sulle prenotazioni, sugli orari e i dettagli delle visite, anche www.zetema.it . La prenotazione è obbligatoria,al prezzo contenuto di 5 euro.


Anche l’edizione 2011, come già quella passata, vede coinvolte in un’ampia collaborazione Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico Sovraintendenza ai Beni Culturali, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, il Fondo Edifici di Culto, l’Ambasciata di Francia a Roma, la Provincia di Roma, il Vicariato di Roma, Acea e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
Sound72
00mercoledì 8 giugno 2011 12:28
Bronzi di Riace trasformati in bulli
Dal sito della Regione: «questa prima parte della campagna promozionale è costata 2,5 milioni di euro»


I critici: non si trattano così due capolavori, questa pubblicità ci danneggia e va ritirata


«Ritirate quello spot: ci danneggia!». I bronzi di Riace in versione «giovanottoni volgarissimi e abbronzati» che nella pubblicità della Calabria fanno «pari montagna, dispari mare» mostrando chiappe e pudenda come due bulli di un club nudista, hanno lasciato molti calabresi a bocca aperta: «Ma è questo il modo di trattare due capolavori?».
Tutto è cominciato con un corsivo su il Quotidiano della Calabria che consigliava al presidente della Regione Giuseppe Scopelliti: «La Calabria è troppo bella per essere manipolata maldestramente al fine di farne uno spot. Poche immagini di questa terra straordinaria e delle sue opere valgono più di un brutto messaggio pubblicitario in cui si deturpano anche i Bronzi di Riace».



Lo spotMa era solo l'inizio. Il giorno dopo, il calabrese Salvatore Settis, che da anni difende l'onore dei calabresi nel mondo non con le chiacchiere o le ire funeste dettate da campanilismo permaloso ma dirigendo prima il Getty Center di Los Angeles e la Scuola Normale di Pisa, poi insegnando al Prado o presiedendo oggi il Consiglio scientifico del Louvre, ha fatto a pezzi ancora sul giornale diretto da Matteo Cosenza la scelta di «calabresizzare» i Bronzi. Spingendosi perfino, udite udite, a chiedersi: e se avesse ragione Galan?


Al grande archeologo, la campagna ideata da qualche genio della pubblicità non è piaciuta affatto: «Lo spot che arrossendo di vergogna ci toccherà vedere in tv nelle prossime settimane esibisce i due venerandi Bronzi trasformati in giovanottoni volgarissimi e abbronzati, degni del seguito di Cetto La Qualunque, che fanno a pari e dispari esibendo chiappe e quant'altro».
Lo dicesse un settentrionale come Vittorio Sgarbi (durissimo nello stroncare le rivendicazioni d'inamovibilità e «calabresità» delle statue: «I Bronzi sono dello Stato!») o Giancarlo Galan, reo di avere messo in dubbio il modo in cui i Bronzi sono valorizzati (un terzo dei visitatori a pagamento rispetto agli ippopotami dello zoo di Pistoia) apriti cielo! Basti ricordare la reazione dell'Ordine degli avvocati di Catanzaro alla denuncia dell'esame di abilitazione in cui 2.295 compiti su 2.301 (tutti meno sei) degli aspiranti avvocati erano stati copiati parola per parola: «La ferocia demolitrice con cui la stampa, la radio e la televisione hanno aggredito tutta la città di Catanzaro...». Guai, se un'obiezione arriva dal nord del Po. Fatta invece da un grande calabrese, chissà che la denuncia non faccia pensare...


Tanto più che Settis affondava il coltello ricordando la quantità di potenziali turisti che sarebbero stati (sgradevolmente) raggiunti: «Secondo la dichiarazione del presidente Scopelliti sarebbe "un segnale di cambiamento, per fare del turismo una fonte di ricchezza". E infatti, risulta dal sito della Regione, "questa prima parte di campagna utilizza risorse per 2,5 milioni di euro". Complimenti a chi li ha intascati: ma questo uso irrispettoso e volgare dei Bronzi rischia di dar ragione a chi, come il ministro Galan, dice che la Calabria non li merita».
Tanto più che, spiega Settis al Corriere, «la nave che portava i Bronzi, molto probabilmente attici o peloponnesiaci e strappati dalle loro basi durante una razzia, affondò casualmente davanti a Riace ma avrebbe potuto affondare da qualsiasi altra parte. Esattamente come l'«Apollo di Piombino», una scultura greca di Rodi trovata nel mare di Populonia che se fosse recuperata oggi non sarebbe al Louvre ma a Piombino. O come l'«Atleta di Fano» attribuito a Lisippo e trovato davanti alla costa delle Marche: mica è marchigiano! Allo stesso modo, del resto, l'«Auriga di Delfi» forse fu fatto da uno scultore reggino...».


Non bastasse, il giorno dopo ecco intervenire la Confindustria calabrese per bocca di Giuseppe Nucera. Letale: «L'anteprima dei Bronzi animati è stata presentata a febbraio alla Bit di Milano. Sono state più le critiche che gli apprezzamenti e ci aspettavamo che l'esperimento sarebbe stato archiviato, come tanti altri di scarso successo. Riproporre su vasta scala uno spot di pessimo gusto è alquanto discutibile». Titolo del pezzo: «Ritirate lo spot sui Bronzi. Ci danneggia». Appello sottoscritto dall'archeologo (lui pure calabrese) Battista Sangineto. Che dopo avere citato Antonio Albanese definendo lo spot «qualunquemente autodenigratorio» dice che in quel filmino i nobili bronzi sembrano dei «tamarri». Peggio: «Assomigliano molto, nel tratto grafico e nell'ispirazione vagamente omoerotica, ad alcuni fumetti pornografici che, negli anni 70, avevano come protagonisti proprio i due Bronzi, all'epoca più famosi della Gioconda del Louvre». Implorazione finale: «Presidente Scopelliti, ritiri questa grottesca pubblicità».


Non fatichiamo a immaginare le reazioni: «Uffa!». Il guaio è che, come denuncia nel libro Statale 18 il calabrese Mauro Minervino, le ruspe se ne infischiano di quanto trovano scavando e chissenefrega se sotto c'è una necropoli. Però i nomi antichi ed evocativi delle elleniche Terina e Temesa piacciono assai come «claim di lusso» ai vandali del cemento «tutti in vena di citazioni classiche». Ed è tutto un fiorire di «Residence Magna Grecia», «Costa degli dei», «Appartamenti Olimpo», «Hotel Talao», «Ristorante Poseidon» che spuntano da ogni dove lungo una costa che, dice uno studio della stessa Regione, ha una casa abusiva ogni 150 metri. La sintesi è in un rapporto di Legambiente: la Calabria occupa un ventesimo del territorio nazionale e vi risiede un ventottesimo della popolazione ma ospita un settimo di tutte le illegalità nel ciclo del cemento.
Una situazione disperante, che tuttavia non ha insegnato molto a un pezzo della società calabrese. Basti ricordare che, a sostegno del demenziale «Europaradiso», lo spropositato mega villaggio più grande del Mediterraneo che un faccendiere estero appoggiato da ambienti ambigui vorrebbe costruire alle foci del fiume Neto, uno dei pochi «eden» ancora intatti della (ex) magnifica costa calabrese, è nato un comitato («Europaradiso o rivolta!») che si è spinto a fare una locandina surreale. Dove un signore barbuto punta il dito come lo zio Sam nei notissimi manifesti americani: «Voglio te!» E chi è quel signore in tunica? Pitagora! Pi-ta-go-ra!!! Ma è così che si attirano i turisti? O difendendo piuttosto le coste dagli Attila del calcestruzzo?

corriere.it


Il Papa-garitta/toilette ha fatto scuola...però nn è la prima volta che le pubblicità giocano a dissacrare le opere d'arte..io ricordo qualche spot della Rai mi pare con la Gioconda che faceva l'annunciatrice..qualcosa del genere..Sono i 2 milioni e mezzo di campagna pubblicitaria la vera barzelletta!
Sound72
00mercoledì 22 giugno 2011 13:16
L''Autoritratto' di Vincent Van Gogh in realtà è il ritratto di suo fratello Theo

Amsterdam - (Adnkronos) - Lo afferma uno studio del Museo Van Gogh di Amsterdam: il taglio nitido della barba, il colore degli occhi e la forma arrotondata della curva delle orecchie sono tratti che Vincent non possedeva.


E' quanto sostengono gli esperti del Museo Van Gogh di Amsterdam, che custodisce la più grande collezione di dipinti e lettere dell'artista olandese, a conclusione di uno studio di 600 pagine, pubblicato dalla stessa istituzione.


Secondo un'opione corrente, Vincent Van Gogh non avrebbe mai dipinto Theo. Ma Louis van Tilborgh, uno dei principali specialisti del Museo insieme ad altri tre colleghi, ribalta questa opinione: il famoso quadro dipinto nel 1887, che raffigura un giovane uomo con un cappello di paglia e un elegante abito blu, sarebbe in realtà il ritratto dell'amato fratello minore, da cui il pittore dipendeva. ''Questa conclusione è basata sulle evidenti differenze tra i tratti dei volti dei due fratelli'', sottolinea un comunicato del Museo: la forma e il colore della barba, gli occhi, la forma del volto.


Il taglio nitido della barba e la forma arrotondata della curva delle orecchie sono tratti che Vincent ''non possedeva'', ha spiegato Louis van Tilborgh; anche la forma e il colore della barba di Theo ''più ocra che rosso sono un'altra indicazione'', così come ''il colore degli occhi e gli abiti indossati''. E poi: ''Il ritratto corrisponde alle foto di Theo che possediamo''.


Theo Van Gogh morì sei mesi dopo il suicidio del fratello avvenuto il 29 luglio 1890 nella campagna di Auvers-sur-Oise. Theo fu ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove si spense il 25 gennaio 1891. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.
Sound72
00lunedì 27 giugno 2011 13:51
Palazzo Barberini torna a splendere:
1.550 opere metà delle quali mai viste


Dopo 62 anni, martedì, lo storico edificio romano verrà
inaugurato nella sua interezza con 10 nuove sale



ROMA - Quella d’Arte antica nella (nuova) Capitale è la prima Galleria nazionale dell’Italia unita: nasce nel 1893, 10 anni dopo che il Regno ha comprato Palazzo Corsini, presto rivelatosi insufficiente; per dotare Roma di un museo degno del nome, unica capitale occidentale a non possederlo, nel 1949 sarà acquistato Palazzo Barberini: e martedì, dopo 62 anni, sarà finalmente inaugurato nella sua interezza, con l’apertura del II piano; 10 nuove sale, che portano a 34 il totale: 1.500 opere esposte, tra cui 160 sono quelle nuove, del Settecento, «e metà mai viste», dice la direttrice Anna Lo Bianco. Perché arrivi anche il ristorante, bisognerà pazientare ancora un po’: si stanno per concludere le gare d’appalto.

Ma la carrellata dà il senso dell’arte d’allora: i Caravaggeschi, il fasto di Pietro da Cortona e Baciccio, Mattia Preti e Luca Giordano, Bernini e Sacchi, Benefial e Solimena, Canaletto e Van Wittel con le loro vedute, Pompeo Batoni e Angelica Kauffmann (che Goethe ricorda quando sta per di lasciare Roma, piantando due palme a Villa Malta, ci sono ancora, dove andavano a sospirare ogni domenica), fino all’ultima sala, dedicata alla donazione di Fabrizio Lemme, e viene in mente che anche il Louvre ne ha una a suo nome.

L’ala che si riapre era stata chiusa 20 anni fa per gravi dissesti; e completa il resto, anche con le sale strappate al Circolo Ufficiali che Alberto Ronchey aveva sfrattato, quando era ministro. All’ultimo piano, nell’altana, rimane ancora l’Istituto numismatico, ma è un altro discorso. Per il momento, gioiamo di quest’arte ritrovata; di un palazzo finalmente risorto. Con un ritratto del «padrone di casa» papa Urbano VIII, di Bernini; quattro Vedute di Venezia di Canaletto (nemmeno la città lagunare ne ha altrettante); i Gaulli (detto il Baciccio) già dei Chigi; tanti Benefial («un genio assoluto, un giorno, gli dedicherò una mostra», dice Anna Lo Bianco); un po’ di sano esotismo, che allora andava di moda; un «Camerino di chiaroscuro» tutto dipinto, e vuoto, che era l’appartamento della principessa; tanti eroi ed eroine della storia romana, «del grande barocco, a noi non manca davvero nulla», afferma la soprintendente al Polo museale romano, Rossella Vodret.

L’esordio di questo II piano è napoletano: Ribera, Salvator Rosa, Preti; il periodo in cui da tutta Europa si accorreva in Italia, per vedere come Caravaggio dipingeva. Poi, viene il lusso, di cui era grande interprete la Roma dei Papi; e nel David, Bernini lascia un autoritratto giovanile, mentre il Baciccio lo eterna e ne mostra l’insegmento del Ritratto di Clemente IX Rospigliosi. Bellissimo è un Sassoferrato, e Giovanni Rosa dipinge alla maniera di Van Dyck, tra i tanti illustri ospiti di quel periodo nella Penisola. E viene il momento dei neoclassici, come Anton Raphael Mengs, e della veduta (un genera nato a Roma, prima ancora che a Venezia): i Canaletto già dei Torlonia, e Van Wittel, sono accanto a Francesco Guardi e Bernardo Bellotto; le rovine di Giovanni Paolo Pannini alle Cascate dell’Aniene ad Tivoli e ad una Veduta di Ariccia di Jacob Philippe Hackert, è pittura dal vero. Si torna a Napoli (Solimena e De Mura), per giungere alle due collezioni esposte a parte. Due doni del duca di Cervinara Dimitri Sursock e dell’avvocato Fabrizio Lemme integrano le collezioni: autori come François Bucher, o Hubert Robert e tanti bozzetti importanti per la storia di Roma, modelli di pale o soffitti di parecchie chiese. Per finire, un po’ di Nord Italia, con opere di Giovan Battista Tiepolo, Fra Galgario, Pitocchetto, Giuseppe Maria Crespi.

Ovviamente, il Settecento non è il momento più alto della pittura, a Roma e in Italia: questi dipinti completano il fantastico percorso di quello terreno e del primo piano, da Raffaello a Caravaggio, Reni, Tiziano, Guercino e compagnia dipingente, oltre al salone di Pietro da Cortona che segna l’avvio grande Barocco. E regalano alla città, e al Paese, un’altra attrazione: «L’anno scorso, 100 mila visitatori», dice Lo Bianco. Con il ristorante, nuovo fulcro diverranno anche i giardini. Fino a pochi anni fa, qui abitavano un ex custode e un barbiere: un bentornato tra noi ad un palazzo.

Sound72
00martedì 12 luglio 2011 16:43
Ostia, sequestrato un 'colosso' di Caligola pronto per espatrio



.Roma, 12 lug. (TMNews) - Una colossale statua raffigurante l'imperatore romano Caligola (37-41 d.C) è stata recuperata lo scorso gennaio ad Ostia Antica dalla Guardia di Finanza di Roma poco prima che venisse, divisa in sezioni, stivata in un container e trasportata all'estero, insieme ad altri manufatti. La scultura proveniva da uno scavo clandestino in un terreno nel Comune di Nemi, vicino la capitale, in un'area boschiva mai censita tra i siti che testimoniano la presenza dell'imperatore Gaio Cesare Germanico, meglio conosciuto appunto come Caligola. La straordinaria scultura, in pregiatissimo marmo greco, mutila ed acefala, rappresenta Caligola seduto in trono come Zeus, con la tipica 'caliga' al piede sinistro, la calzatura dei legionari che l'imperatore indossava fin dall'infanzia e che gli ha dato quel soprannome con cui è poi passato alla storia. I finanzieri hanno sequestrato il basamento (130 x 115 x 80 cm), cui mancava il busto e la testa (poi ritrovata). Si ipotizza che, ricomposta, la statua sia alta circa 3 metri. Le indagini sono state svolte dal Gruppo Tutela patrimonio archeologico delle Fiamme gialle e sono state coordinate dalle Procure di Roma e Velletri. Due 'tombaroli' di Velletri, responsabili dello scavo clandestino, sono stati denunciati per violazione in materia di ricerche archeologiche e impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, rispetto al D.Lgs. 42/2004 ('Codice Urbani'). "Il sospetto che abbiamo è che l'opera fosse destinata al centro Europa, forse alla Svizzera, dove magari c'era un intermediario pronto a piazzarla sui mercati asiatici o arabi: sono opere difficili da tenere in Europa", dice a TMNews il tenente colonnello Gavino Putzu, capo ufficio operazioni del Nucleo polizia tributaria di Roma. Data la straordinaria importanza della statua, e la convinzione dei funzionari della Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio che il luogo del rinvenimento potesse nascondere altre testimonianze del passato, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha disposto l'esecuzione di uno scavo scientifico d'urgenza, avviato lo scorso 11 aprile anche per trovare le sezioni mancanti della scultura. Fin dai primi giorni di scavo l'area ha restituito le vestigia di un complesso ambiente termale, probabile pertinenza del ninfeo di una villa. Quello di Nemi, infatti, in età imperiale era già conosciuto come luogo di villeggiatura della gens Iulio-Claudia. Oltre ai resti di superfetazioni ed all'impluvium di un articolato apparato residenziale, sono state scoperte numerose parti riconducibili alla statua dell'Imperatore Caligola sequestrata, tra cui la testa ritratto rotolata in un angolo della vasca. Nel complesso sono stati recuperati oltre 250 manufatti di interesse storico archeologico. Al termine del restauro la statua di Caligola verrà sarà esposta nel Museo delle Navi Romane di Nemi, ad un passo dalla leggendaria residenza che l'Imperatore volle farsi costruire sulle rive del lago, con l'orizzonte aperto sulla natia Anzio.

..........

che figli di buona donna che esistono..
la cosa "divertente" è che i tombaroli conoscevano il posto e sapevano della statua, il Ministero no..
Sound72
00giovedì 28 luglio 2011 21:00
«Rivogliamo la Gioconda in Italia! Raggiungiamo quota 500.000».


Partita la raccolta di firmeper il rientro della Gioconda
Il celebre quadro di Leonardo, custodito al Louvre


È partita questa mattina da Piazza Santa Maria Novella, a Firenze, la raccolta ufficiale di firme per il rientro della Gioconda a Firenze nel 2013. Esattamente un secolo dopo l’esposizione di Monna Lisa nella Galleria degli Uffizi, avvenuta nel 1913. Lo scopo, spiega una nota, è quello di consegnare una petizione di oltre centomila firme ai ministri della Cultura di Italia e Francia, e al museo parigino del Louvre, con l’obiettivo di chiedere il rientro del celebre quadro di Leonardo a Firenze, un secolo dopo la sua esposizione nella Galleria degli Uffizi avvenuta nel 1913.

La raccolta firme, che durerà 6 mesi, si svolgerà contemporaneamente in molte città d’Italia e viaggerà anche su internet, coinvolgendo il variegato mondo della rete, includendo potenti social network come Facebook che ha già lanciato una pagina (con 75.000 utenti iscritti) «Rivogliamo la Gioconda in Italia! Raggiungiamo quota 500.000».

«Le adesioni sono raccolte anche in Francia - spiega Silvano Vinceti, presidente del comitato promotore per il rientro del dipinto -. A Parigi, per esempio, grazie all’impegno di alcuni storici dell’arte come Jean Luc Angrand, si sta portando avanti la nostra petizione». La Provincia di Firenze «sostiene il progetto, insieme alla Soprintendenza al Polo Museale di Firenze, per valutare la possibilità di realizzare il Museo Leonardo Pittore a Firenze, ritagliando un adeguato spazio all’interno di San’Orsola - fa sapere l’assessore provinciale al patrimonio e all’edilizia, Stefano Giorgetti -. L’obiettivo è quello di creare un articolato percorso museale che, partendo dall’ex convento di Sant’Orsola (dove sono in corso gli scavi per ritrovare i resti ossei di Lisa Gherardini) arrivi fino a Vinci con le macchine di Leonardo».

Intanto la Provincia (proprietaria dell’ex convento di via Guelfa) ha dato atto di indirizzo affinchè sia definito un progetto complessivo che abbia al centro il proseguimento degli scavi già avviati in tutta la superficie della Chiesa di Sant’Orsola. Ma si è anche impegnata a finanziare gli scavi nella zone del chiostro, così come previsto dall’accordo con la Soprintendenza.

lastampa.it
Sound72
00giovedì 28 luglio 2011 21:01
«Rivogliamo la Gioconda in Italia! Raggiungiamo quota 500.000».


Partita la raccolta di firmeper il rientro della Gioconda
Il celebre quadro di Leonardo, custodito al Louvre


È partita questa mattina da Piazza Santa Maria Novella, a Firenze, la raccolta ufficiale di firme per il rientro della Gioconda a Firenze nel 2013. Esattamente un secolo dopo l’esposizione di Monna Lisa nella Galleria degli Uffizi, avvenuta nel 1913. Lo scopo, spiega una nota, è quello di consegnare una petizione di oltre centomila firme ai ministri della Cultura di Italia e Francia, e al museo parigino del Louvre, con l’obiettivo di chiedere il rientro del celebre quadro di Leonardo a Firenze, un secolo dopo la sua esposizione nella Galleria degli Uffizi avvenuta nel 1913.

La raccolta firme, che durerà 6 mesi, si svolgerà contemporaneamente in molte città d’Italia e viaggerà anche su internet, coinvolgendo il variegato mondo della rete, includendo potenti social network come Facebook che ha già lanciato una pagina (con 75.000 utenti iscritti) «Rivogliamo la Gioconda in Italia! Raggiungiamo quota 500.000».

«Le adesioni sono raccolte anche in Francia - spiega Silvano Vinceti, presidente del comitato promotore per il rientro del dipinto -. A Parigi, per esempio, grazie all’impegno di alcuni storici dell’arte come Jean Luc Angrand, si sta portando avanti la nostra petizione». La Provincia di Firenze «sostiene il progetto, insieme alla Soprintendenza al Polo Museale di Firenze, per valutare la possibilità di realizzare il Museo Leonardo Pittore a Firenze, ritagliando un adeguato spazio all’interno di San’Orsola - fa sapere l’assessore provinciale al patrimonio e all’edilizia, Stefano Giorgetti -. L’obiettivo è quello di creare un articolato percorso museale che, partendo dall’ex convento di Sant’Orsola (dove sono in corso gli scavi per ritrovare i resti ossei di Lisa Gherardini) arrivi fino a Vinci con le macchine di Leonardo».

Intanto la Provincia (proprietaria dell’ex convento di via Guelfa) ha dato atto di indirizzo affinchè sia definito un progetto complessivo che abbia al centro il proseguimento degli scavi già avviati in tutta la superficie della Chiesa di Sant’Orsola. Ma si è anche impegnata a finanziare gli scavi nella zone del chiostro, così come previsto dall’accordo con la Soprintendenza.

lastampa.it
lucaDM82
00giovedì 28 luglio 2011 21:19
si',ripijamose tutto,corsica,istria e tutto il resto... [SM=x2478856]

x me non ce la daranno mai.
giove(R)
00venerdì 29 luglio 2011 09:56
gliel'ha regalata Leonardo coglioni!
casomai richedete altra roba, quella che ci hanno rubato, ma la Gioconda è in Francia per un atto Volontario del suo creatore.
lucolas999
00venerdì 29 luglio 2011 10:15
Re:
giove(R), 29/07/2011 09.56:

gliel'ha regalata Leonardo coglioni!
casomai richedete altra roba, quella che ci hanno rubato, ma la Gioconda è in Francia per un atto Volontario del suo creatore.




me sta pure sul cazzo la Gioconda, piuttosto rijamose tutto il resto , je svotamo metà louvre [SM=g11491]
Sound72
00mercoledì 10 agosto 2011 10:49
Colosseo, assenza totale di vigilanza
un luna park dove si può far tutto


Viaggio nell'anfiteatro dopo l'allarme bomba. Si può entrare
indisturbati nei cantieri chiusi. Turisti si arrampicano sui ruderi



ROMA - Nell’area fitness si può restare in forma, saltellando su e giù sopra i ruderi. Le regole sono poche e ben collaudate: si calpesta la storia salendo sopra i resti di un capitello, ci si mette in posa, si grida «viva Nerone» e si scatta la foto.


Nell’area ristoro, praticamente ovunque, si bevono succhi di frutta, si addentano panini e si lasciano cartacce alla base di qualche colonna. Viene un po’ di sonno e ci si sdraia, completamente.

E la sigaretta? Quella ci vuole: si fuma e si trasforma uno dei tanti fori scavati da secoli di storia in un posacenere. Se ci assale la noia, c’è sempre la prova labirinto: si entra dentro un cantiere recintato e incustodito, si scruta l’orizzonte e poi si esce. Nell’area relax scatta l’opera d’arte dello scarabocchio: si graffia il cuore del gigante disarmato con una chiave e si lascia la scritta: «II a.c., 100 leoni abbattuti».

Nel parco giochi chiamato Colosseo si può fare tutto, anche abbandonare una bottiglia o un barattolo dentro un’intercapedine o una delle fosse scavate dal tempo. Gli unici divieti che non possono essere aggirati sono quelli imposti ai diversamente abili e ai papà con passeggini: perché gli ascensori non funzionano.

I barbari sono passati al Colosseo anche ieri, il giorno dopo l’allarme bomba. Ore 14, inizia il tour dentro il Colosseo: è sufficiente confondersi tra i turisti per osservare i mille divieti non rispettati e non riuscire a trovare neanche un vigilante. Nessun controllo neanche davanti all’area dove domenica è stato ritrovato quel barattolo con fili elettrici fatto esplodere dagli artificieri. A vigilare sulla piccola galleria, poco distante dalla biglietteria, ieri non c’era neanche Antonio Mastromarino, il volontario della Protezione civile che si è accorto di quello strano oggetto e ha dato l’allarme. Antonio e i suoi colleghi infatti sorvegliano il Colosseo solo la domenica.
La fossa, profonda, dove qualcuno ha abbandonato chissà quando quel barattolo pieno di acqua ragia con due fili elettrici collegati a una batteria, viene stuzzicata da due bambini che hanno inventato un nuovo gioco: vince chi si sporge di più dal cancello che dovrebbe proteggere l’area e chi tocca per primo con un ombrellino il fondo della fossa.

Alle 15, mentre nelle stanze della politica infuocano la polemiche su come assicurare la sicurezza del Colosseo, i barbari l’hanno già conquistato. L’eco delle parole, tante, di chi amministra i beni culturali della Capitale, vengono polverizzate dalle risate di Luisa, di Trento, che si sente un po’ buffa mentre mima un gladiatore sopra l’ennesimo capitello oltraggiato.

Non c’è proprio nessuno a vigilare dentro l’Anfiteatro. Nessuno che impedisca a Manuela, di Madrid, di salire e scendere dai ruderi perché le foto, tante, scattate da un’amica non la soddisfano. Nessuno che dica a Mary, di Londra, di smetterla di accarezzare quella che i panelli della mostra su Nerone definiscono «testa virile dell’ultimo quarto del II secolo». Nessuno che ci impedisca di entrare, più volte, nel cantiere al piano terra o che ci riprenda mentre infiliamo una bottiglietta di plastica dentro a uno dei tanti fori delle colonne del primo anello.

Nessuna parola di rimprovero neanche per Peter, che è venuto dalle Montagne Rocciose dello Utah per compiere una delle missioni più fastidiose: inchinarsi, raccogliere e mettere nello zaino un pezzo di travertino scambiato per un souvenir.

Alle 15.30 le cubiste del Colosseo sono sempre là. I fumatori accaniti anche. Il maxischermo trasmette film su Nerone: tra i protagonisti c’è anche Pippo Franco. Qualche papà prova a trasportare il passeggino sulle scale ripide che portano al primo anello e nessuno lo aiuta. Le guide turistiche usano anche un centurione (quelli che «una foto 10 euro, altrimenti smamma») come un burattino per mostrare come si uccidevano i leoni. Una mamma non resiste: solleva il figlioletto e lo posiziona sul capitello, il piccolo quasi precipita, ma poi si riprende e mostra per la foto ricordo la magliettina con la scritta «I love Rome».

E che succede se verso le 16 se si prova a bussare agli uffici della Sovrintendenza? La porta, non chiusa, mostrerà un unico addetto un po’ sudato che risponderà: «Ci sono solo io, gli altri sono andati via alle 14». Uscendo si notano tre monumenti contemporanei: in una nicchia, al sole, sono state lasciate tre bombole contenenti elio: «Gas compresso - si legge sull’etichetta - se surriscaldato può esplodere».


ilmessaggero.it
Sound72
00lunedì 5 settembre 2011 17:20
Addio a Vann Nath, testimone degli orrori di Pol Pot


I suoi dipinti, naif ma dettagliati, crudi eppure terribilmente veri, hanno contribuito a lasciar filtrare nella coscienza del mondo che cosa fosse successo tra il 1975 e il 1979 in Cambogia. Vann Nath era uno dei quattordici sopravvissuti della prigione (o meglio: centro per interrogatori e torture) S-21 a Tuol Sleng, Phnom Penh, e aveva raccontato la sua ordalia attraverso olii che restituivano solo un'infinitesima parte dell'orrore creato da Pol Pot e dai suoi Khmer Rossi.

INCALZARE GLI AGUZZINI Vann Nath, da tempo malato, è morto oggi, aveva 65 anni e portava il ruolo di testimone iscritto nella sua stessa carne. Le immagini che aveva creato, insieme con i resoconti affidati alle sue parole, portavano l'odissea di un popolo massacrato fuori dai grandi disegni della geopolitica e la facevano diventare un'esperienza vicina alla sensibilità anche di chi vi si accostasse senza sapere, senza immaginare, magari anche senza volere. Le responsabilità di pol Pot, quelle delle potenze che lo sostennero - la Cina ma anche gli Stati Uniti, in modi e tempi diversi - nelle sue parole restavano sullo sfondo: contava di più ricordare e cercare di capire. Nel magistrale deocumentario di Rithy Panh su S-21, Vann Nath è lì a incalzare i suoi antichi aguzzini, a chiedere perché, ma senza odio, solo sondando l'abisso di male che fu e che avrebbe voluto irietibile.

PITTORE Era stato un pittore di manifesti per il cinema, poi risucchiato nella paranoica rete di delazioni e arresti dei Khmer Rossi. Si era salvato perché appunto sapeva dipingere e poteva tornare utile per la propaganda, quando alla fine del suo potere Pol Pot decise di abbozzare un inizio di culto della personalità invece di rimanere nascosto dietro la fosca cortina d'invisibilità dell'Angkar, l'Organizzazione. E' un paradosso doloroso che Vann Nath sia scomparso proprio mentre sono alla sbarra i quattro leader superstiti dei Khmer rossi - un capo di Stato, Khieu Samphan, due ministri, Ieng Sary e la moglie Ieng Thirith e l'ideologo, il Fratello Numero Due Nuon Chea - ed è in attesa del verdetto d'appello il capo dei torturatori, Duch, condannato l'anmno scorso. Adesso il tribunale misto cambogiano-internazionale per la Cambogia è impantanato in dispute procedurali, si discute se gli imputati siano in grado, per l'età avanzata e le malattie, di sostenere il processo. la morte di Vann Nath, il Testimone per eccellenza, ammonisce tutti: occorre fare presto oppure la giustizia si tramuterà nella sua beffarda parodia.

MEMORIA E GIUSTIZIA Vann Nath aveva scelto di non costituirsi parte civile. "Aveva deciso così - ricorda Youk Chhang, direttore del Documentation Center of Cambodia - perché riteneva che il suo dovere fosse di offrire una testimonianza alle generazioni fdi cambogiani dopo la sua, perché imparassero. Questo rifletteva una concezione della giustizia che si concentra sul futuro dell'umanità, piuttosto che su momentanei desideri di rivalsa, vendetta o contrappasso".

corriere.it
Sound72
00giovedì 17 novembre 2011 16:25
Filippino Lippi e Sandro Botticelli
05 ottobre 2011 - 15 gennaio 2012
Roma, SCUDERIE del QUIRINALE

Nato a Prato verso il 1457 dalla relazione clandestina di Fra Filippo Lippi con la monaca Lucrezia Buti, Filippo, chiamato Filippino per distinguerlo dal padre, pittore dei più famosi e apprezzati del suo tempo, divenne a sua volta un artista di primissimo livello, cui il Vasari riserva parole di elogio per il "tanto ingegno" e la "vaghissima e copiosa invenzione".

Fin dalle sue prime prove giovanili, attribuite dal grande storico dell'arte Bernard Berenson ad un fantomatico "Amico di Sandro", le sue guizzanti figurine colpiscono per una grazia malinconica, un'inquietudine capricciosa che le differenziano dallo stile del Botticelli.

Di quest'ultimo non fu un semplice garzone di bottega ma un collaboratore alla pari, per divenirne poi un rivale temibile nell'ultimo decennio del quattrocento, apprezzato dai Medici e dai loro sostenitori come i seguaci del Savonarola e i repubblicani.



Si spiega così perché sia stato chiamato proprio Filippino a completare gli affreschi della cappella Brancacci al Carmine, opera di Masolino e Masaccio, pittori venerati, ammirati e studiati da tutti gli artisti allora e nei secoli a venire, oppure gli siano state affidate importanti commissioni disattese da Leonardo come la Pala degli Otto in Palazzo Vecchio (1486) e l'Adorazione dei Magi di San Donato a Scopeto (1496), entrambe oggi agli Uffizi, o, ancora la commissione nel 1498 più prestigiosa della Repubblica, la Pala della Signoria per la Sala del Maggior Consiglio repubblicano cui, però, non avrebbe dato seguito per i molti impegni e il sopravvenire della morte nel 1504. Filippino seppe, dunque, essere artista eclettico e versatile più di ogni altro, con commissioni a Firenze e nel suo territorio, ma anche a Lucca, a Genova, a Bologna e a Pavia.

Fu inoltre particolarmente innovativo nel campo decorativo e delle arti applicate, come attestano gli affreschi della Cappella Carafa nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma e della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze, cicli pittorici in cui la sua fantasia sbrigliata e capricciosa emerge sicura, tanto da farne un maestro di grande modernità.
In tempi recenti il livello qualitativo e l'eccellenza davvero non comune della sua produzione artistica comincia ad essere ritenuta superiore a quella di molte opere ascritte al Botticelli.
La mostra monografica delle Scuderie del Quirinale, Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del '400 vuole presentare al pubblico i circa trentaquattro anni di attività del maestro, proficui come pochi altri, per quantità e qualità di opere: dalle tavole agli affreschi, ai raffinati disegni su carte colorate, veri e propri capolavori a se stanti. Opere celebri e preziosissime che giungono per l'occasione, come consuetudine per le grandi mostre delle Scuderie del Quirinale, dai più importanti musei di tutto il mondo e da poche, superbe, collezioni private. Grazie, infine, alla fondamentale collaborazione del Polo museale fiorentino, del Fondo Edifici di Culto e grazie al contributo generoso di associazioni private come "Friends of Florence", la mostra offre un'occasione unica per vedere riuniti i capolavori del maestro toscano proprio a Roma dove Filippino ha studiato le antichità e lasciato il ciclo affrescato della cappella Carafa, ripercorrendone la vicenda umana e artistica e offrendo la possibilità irripetibile di confronti con alcune opere del grande Botticelli, maestro, amico e infine rivale.

Sound72
00giovedì 17 novembre 2011 16:25
Piet Mondrian, "L’armonia perfetta"dall’8 ottobre 2011 al 29 gennaio 2012 - Roma, Complesso del Vittoriano di Roma



Grande retrospettiva che, attraverso circa 70 olii e disegni del pittore olandese e oltre 40 opere di artisti che influenzano la sua evoluzione, ripercorre l’intero cammino artistico di uno dei più importanti Maestri del XX secolo valorizzando la sua coerenza nel perseguire l’obiettivo di un’arte astratta.

L’esposizione presenta capolavori in gran parte concessi eccezionalmente dal Gemeentemuseum dell’Aia e vanta la collaborazione e il supporto di grandi istituzioni museali come il Denver Art Museum, il Philadelphia Art Museum, la National Gallery of Canada di Ottawa, il National Museum of Modern Art di Kyoto. La mostra “Piet Mondrian.

L’armonia perfetta” è a cura di Benno Tempel, Direttore del Gemeentemuseum dell’Aia, e si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto da Hans Janssen, Gemeentemuseum, L’Aia, Franz W. Kaiser, Gemeentemuseum, L’Aia, Michael White, Università di York. Nei Paesi Bassi del primo Novecento, Piet Mondrian (Amersfoort, 7 marzo 1872 – New York, 31 gennaio 1944) era un paesaggista di successo. Ma era curioso, ossessionato dall'idea di progresso, e riteneva di avere una missione personale – elementi che si riscontrano anche in Kandinskij e che, da Charles Baudelaire in poi, possono essere considerati come caratteristici della modernità.

Negli anni a cavallo tra i due secoli, gli artisti d'avanguardia non si accontentavano più di un'arte deputata a rappresentare l'aspetto esteriore della realtà e ricercavano una verità più profonda, oltre l'esteriorità. Affascinato dalla corrente cubista, Mondrian continuò a lavorare sulle possibilità di strutturazione per riduzione, già contenute nel Cubismo, fino alla pittura astratta e, alcuni anni più tardi, inaugurò quello che definì “Neoplasticismo”. Come in Kandinskij, agli elementi espressivi della pittura – linea, colore e forma o superficie – veniva attribuito un valore proprio, che non rimandava a qualcos'altro. In più, Mondrian ridusse tali elementi all'essenziale: soltanto linee rette, verticali e orizzontali, mai diagonali; soltanto colori primari – nessun colore composto, come in natura – e i non-colori nero, bianco e grigio. Ne derivò una delle fasi più affascinanti della storia dell'arte moderna: il gioco di Mondrian con le linee orizzontali e verticali e la ricerca della composizione ideale.

La mostra Nei Paesi Bassi del primo Novecento Piet Mondrian (Amesfoort, 1872 – New York, 1944) è un paesaggista di successo. Il passaggio dalla prima maniera naturalistica alla ricerca simbolista avviene con il trasferimento nel 1908 a Domburg in Zelanda e con l’incontro di J. Toorop. Il simbolismo conduce Mondrian a semplificare l’ossatura dell’immagine e, allo stesso tempo, a usare un colore vivo, talora steso a zonature, talora accostato secondo la tecnica divisionista e fauve.

Negli anni a cavallo tra i due secoli, gli artisti d’avanguardia non si accontentano più di un’arte deputata a rappresentare l’aspetto esteriore della realtà, e ricercano una verità più profonda, oltre l’esteriorità. Mondrian crede di poterla trovare nella teosofia di Madame Blavatsky e Rudolf Steiner – dottrina in bilico tra filosofia, religione e scienza. Come sottolinea Benno Tempel “La teosofia parte, tra le altre cose, dalle forze che agiscono tra uomo e donna, che anche Mondrian raffigura nella sua opera.

Forse l’osservatore non lo percepisce immediatamente ma, sapendo che l’elemento femminile è reso dalla orizzontale e il maschile dalla verticale, risulta chiaro che Mondrian attribuisce un ruolo importante a questi elementi sin dall’inizio della sua parabola artistica, prima nelle sue figurazioni, poi nelle composizioni astratte… Per Mondrian è infatti importante soprattutto la relazione tra l’orizzontale (femminile) e il verticale (maschile). La ricerca di questa armonia universale mantiene una posizione centrale nell’intero arco della sua produzione. Nella teosofia è importante l’evoluzione dell’uomo, che, da creatura inferiore, materiale, si eleva a una superiore condizione spirituale. Un processo che Mondrian esprime con particolare chiarezza.”

Nel 1911 Toorop e Mondrian organizzano una mostra d’arte moderna ad Amsterdam, e le loro opere vengono esposte tra quelle di Cézanne, Picasso e Braque. Per Mondrian è una rivelazione. E’ la prima volta che vede dei quadri cubisti. Senza pensarci due volte, abbandona la posizione sicura raggiunta nei Paesi Bassi e va a Parigi. Qui la sua evoluzione conosce una fase decisiva. Passando per un breve intermezzo cubista, nel 1914 Mondrian compone i suoi primi quadri astratti. Negli anni parigini la scomposizione della forma organica si attua in composizioni sempre più rigorose nelle quali la superficie è divisa in piccole zone con una sempre più evidente riduzione delle diagonali e delle linee curve. Ma rispetto alla sintassi cubista, la struttura formale dei suoi quadri è ridotta al piano e l’articolazione spaziale viene sin d’ora affidata al colore, dapprima sfumato in tonalità rosa, grigio, azzurro, marrone chiaro, poi con zonature più marcate di blu, rossi e verdi con le quali Mondrian vuole giungere all’essenza formale del soggetto.

“Mondrian fece proprio il Cubismo, ponendo l’accento sulla forza analitica di questo nuovo modo di dipingere, con il quale si poteva scomporre la forma esteriore degli oggetti, dispiegarla sul piano, eliminare la tradizionale illusione di profondità e strutturare l’intera superficie della tela. Mondrian continuò a lavorare sulle possibilità di strutturazione per riduzione, già contenute nel cubismo, fino alla pittura astratta.” (B. Tempel). Dopo il suo rientro in Olanda, dove rimane dal 1914 al 1919, la ricerca di Mondrian si sviluppa verso il rigore astrattista e la totale elementarizzazione delle linee e dei colori. Fonda la rivista d’arte olandese “De Stijl”, uscita per la prima volta nel 1917, e il Neoplasticismo con Theo van Doesburg. Benno Tempel sottolinea che “De Stijl” è stato più di un semplice periodico. Gli artisti che vi scrivono vogliono creare con la loro arte una società nuova. Aspirano a un’opera d’arte totale, in cui pittura, scultura, grafica e architettura formano un insieme unico. Inoltre, credono che non vi sia gerarchia tra le varie forme d’arte.

Questa idea modernissima, che ha esercitato una profonda influenza sull’arte moderna, li porta a occuparsi anche di pubblicità e fotografia. Per questi artisti l’individualismo, nell’arte come nella vita, è causa di ogni rovina e deviazione dal giusto; è necessario opporre a esso la serena chiarezza dello spirito, che sola può creare l’equilibrio tra l’universale e l’individuale.

Come è scritto nella II Prefazione di “De Stijl” nel 1919 “l’artista è maturato per opporsi alla dominazione dell’individuale nelle arti plastiche e cioè alla forma e al colore naturali, alle emozioni” e così “L’arte nuova ha messo in luce il contenuto della nuova coscienza del tempo: proporzioni bilanciate tra l’universale e l’individuale” (Primo Manifesto della rivista “De Stijl”, 1918). Il Neoplasticismo si propone di trovare una nuova forma di espressione plastica, non soggettiva ma valida per tutti, “nella astrazione di tutte le forme e di tutti i colori primari nettamente definiti” (P. Mondrian). Sempre Mondrian nel 1914 scrive: “Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, per esprimere una bellezza generale con una somma coscienza.

La Natura (o ciò che vedo) mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emotivo che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (anche se solo le fondamenta esteriori!) delle cose... Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un’alta intuizione, e create con armonia e ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera.” Per Mondrian, dunque, la vita è pura attività interiore. Di qui la necessità di eliminare in arte la presenza del mondo oggettivo: distruggendo l’oggetto nell’arte si avvicina sempre di più l’arte alla verità della coscienza interiore.

E’ indispensabile abolire tutti i modi in cui più facilmente può manifestarsi il dato soggettivo, passionale, sentimentale, individualistico. La retta verticale e orizzontale devono essere l’unica misura consentita al Neoplasticismo. Finita la guerra, Mondrian torna a Parigi dal 1919 al 1938 dove il clima artistico è completamente cambiato. L’artista porta avanti la sua ricerca e pur sembrando universali, le sue opere recano una cifra talmente personale che le composizioni neoplasticiste in rosso, blu e giallo diventano dei veri e propri classici.

“Agli elementi espressivi della pittura – linea, colore e forma o superficie – veniva attribuito un valore proprio, che non rimandava a qualcos’altro. In più, Mondrian li ridusse all’essenziale: soltanto linee rette, verticali e orizzontali, mai diagonali; soltanto colori primari – nessun colore composto, come in natura – e i non-colori nero, bianco e grigio. Ne derivò una delle fasi più affascinanti della storia dell’arte moderna: il gioco di Mondrian con le linee orizzontali e verticali e la ricerca della composizione ideale.” (B. Tempel).

L’opera d’arte non doveva rappresentare alcunché ma costituire un momento di contatto tra l’uomo e l’universo tendente al superamento di ogni naturalismo o accidentalità in funzione di una restaurazione dell’armonia, dell’immobilità e della quiete perdute. Nel mondo futuro di Mondrian, come scrive lui stesso, l’uomo non sarà “nulla in sé, non sarà che parte del tutto, ed è allora che, avendo perduta la vanità della sua piccola e meschina individualità, sarà felice in questo Eden che avrà creato”.

Il misticismo di Mondrian è di natura mentale anzichè emotiva; in Mondrian l’ascetismo tende a superare il fluttuare delle passioni, i turbamenti, mediante un processo di liberazione dagli stimoli individuali. Il modo con cui Mondrian giunge all’astrattismo puro è un modo graduale: egli toglie progressivamente all’oggetto tutte le sue note individuanti, le sue particolarità, sino a ridurlo a scheletro, a stilizzazione, a linea. Con la minaccia della Germania nazista, Mondrian decide nel 1938 di trasferirsi a Londra e nel 1940 a New York dove vive la sua ultima stagione felice nell’incontro con un mondo nuovo: la patria del jazz lo ispira, la folla e il dinamismo della metropoli portano un rinnovamento nella sua arte.

romart.it
Sound72
00lunedì 26 marzo 2012 17:38
Un quadro ipnotico e le vite precedenti: uno psicologo indaga
La strana storia di "Michael's gate" dell'artista Hypnos in mostra a Roma


Roma (TMNews) Un quadro e l'ipnosi: la storia del dipinto "Michael's gate" dell'artista Gilberto Di Benedetto, in arte Hypnos, è quantomeno singolare e pare affondi addirittura in una esperienza ai confini del paranormale. Quale che sia la verità, e in ambito artistico in fondo conta solo quella rappresentata dall'opera, intorno al quadro si muovono storie di ipnosi e di vite precedenti che ora saranno indagate anche da uno psicologo esperto del tema, Stefano Benemeglio, in un appuntamento a Roma nella galleria Art Today il prossimo 13 aprile. Per provare a indagare nei meandri dei misteri dell'arte e soprattutto dell'effetto che questa produce su chi la osserva.

video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/il-mistero-del-quadro-ipnotico-in-mostra-a-roma/912...
lucolas999
00martedì 27 marzo 2012 10:15
Re:
Sound72, 26/03/2012 17.38:

Un quadro ipnotico e le vite precedenti: uno psicologo indaga
La strana storia di "Michael's gate" dell'artista Hypnos in mostra a Roma


Roma (TMNews) Un quadro e l'ipnosi: la storia del dipinto "Michael's gate" dell'artista Gilberto Di Benedetto, in arte Hypnos, è quantomeno singolare e pare affondi addirittura in una esperienza ai confini del paranormale. Quale che sia la verità, e in ambito artistico in fondo conta solo quella rappresentata dall'opera, intorno al quadro si muovono storie di ipnosi e di vite precedenti che ora saranno indagate anche da uno psicologo esperto del tema, Stefano Benemeglio, in un appuntamento a Roma nella galleria Art Today il prossimo 13 aprile. Per provare a indagare nei meandri dei misteri dell'arte e soprattutto dell'effetto che questa produce su chi la osserva.

video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/il-mistero-del-quadro-ipnotico-in-mostra-a-roma/912...




se andiamo da Brico prendiamo una tela e te lo faccio io, e ci metto anche un pò di blu in omaggio (cit.) [SM=g7554]
Sound72
00giovedì 3 maggio 2012 17:44
Record mondiale per L'urlo di Munch
venduto all'asta per 120 milioni di dollari


ROMA - Asta record a New York per una delle versioni de L'urlo del pittore norvegese Edvard Munch: il quadro, dipinto nel 1895, è stato venduto per 119,9 milioni di dollari in un'asta organizzata da Sotheby's. Si tratta della cifra più elevata che sia stata mai pagata per un quadro in un'asta. L'ultimo record era stato segnato due anni fa dal quadro di Pablo Picasso del 1932 Nude, Green Leaves and Bust, venduto per 106,5 milioni di dollari.

L'urlo di Munch era partito da una base d'asta di 40 milioni di dollari. La trattativa di vendita è durata appena 12 minuti, salendo a volte di oltre 10 milioni al minuto. Il nome del compratore è ignoto: in asta era rappresentato da Charlie Moffet, uno specialista che spesso compra per conto di compratori americani.

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00martedì 5 marzo 2013 18:22
Luca Tesconi, dai Giochi Olimpici al flash sui dolori della mente


Luca non è solo il primo italiano che ha conquistato una medaglia alle Olimpiadi di Londra 2012 (argento nel tiro a segno, gara di pistola 10 m), ma anche un artista. E la sua mostra è "un viaggio negli stati della mente" perché tratta di pazzia e demenza.

Un atleta, l'arte e una mostra molto particolare. Luca Tesconi non è solo il primo italiano che ha conquistato una medaglia alle Olimpiadi di Londra (argento nel tiro a segno, gara di pistola 10 m. aria compressa), ma anche un artista a 360 gradi dedito in particolare alla fotografia. Sabato si inaugura nella sua Pietrasanta la prima mostra personale, ospitata dal 9 al 31 marzo a Palazzo Panichi, in collaborazione con la Gestalt Gallery.

Si chiama Non Luogo e affronta un argomento decisamente forte: quello che Tesconi definisce "un viaggio negli stati della mente" perché tratta di pazzia, demenza, di quelli che una volta venivano chiamati manicomi e sono stati chiusi dalle legge 180, la Basaglia che ha affidato la cura dei malati psichiatrici alle strutture territoriali. Tesconi è andato in giro a fotografare sei di queste strutture ormai dismesse, "che in certi casi la natura si sta già riprendendo", in Toscana, Lazio, Emilia e Lombardia, ripercorrendo la solitudine "di un mondo scomparso che però ancora c'è".

All'interno di questi che lui chiama "non luoghi della mente, e da qui il nome della mostra", ha girato per ore, anche al buio, trovando, e immortalando con la macchina fotografica, "tracce di solitudine, del male di vivere e di disperazione, espresse attraverso scritte, disegni, schizzi di sangue e graffi sui muri. Le pareti di certe stanze raccontano storie terrificanti".

Voleva farlo da tempo, "perché ho sempre sognato di esplorare questi luoghi: fin da bambino sono rimasto colpito dai racconti di mio padre, rappresentante di psico-farmaci del manicomio di Maggiano. Poi quando mi è stata regalata la mia prima macchina fotografica e dopo aver letto i libri di Mario Tobino (scrittore e direttore dell'ospedale psichiatrico di Lucca ndr), o altri come 'Marta che aspetta l'albà, non ho avuto più dubbi".

"Papà mi raccontava - dice ancora il vice-campione olimpico della pistola - di queste grandi sale e di porte blindate, dei mille controlli che bisognava fare, dei medici in giro con il carrello dei farmaci e i malati in fila con gli occhi sbarrati, e a lui sembrava che ad alcuni avessero spento il cervello. Mi ha detto che qualcuno chiedeva una sigaretta e la finiva con una tirata, e che i malati considerati più pericolosi lui non li vedeva mai: erano sempre legati al letto". "Cosa mi è rimasto dentro ripercorrendo questo luoghi di sofferenza? Le porte blindate con quegli spioncini da dieci centimetri - racconta - che erano l'unico contatto con l'esterno, e le sbarre alle finestre. E poi le lettere che i malati spedivano e che non venivano mai recapitate, come quelle di uno scultore delle mie parti fatto rinchiudere dal padre benché sano, dopo un violento litigio perché il vecchio, anche lui scultore, era dedito all'arte sacra e il figlio a uno stile futurista o 'alla Modigliani'.

Da una di queste strutture non è più uscito: il mio prossimo lavoro sarà dedicato proprio a lui, che si chiamava Palla e passava il tempo a scrivere e a disegnare momenti di vita e scene degli altri ricoverati".

Nel frattempo l'argento di Londra continuerà a fare anche il tiratore, perché sul podio olimpico vorrebbe risalirci a Rio 2016. In inglese 'to shoot' può voler dire sia 'fotografare' che 'sparare' e questa è un po' la vita del carabiniere Tesconi: impugna la pistola o la macchina fotografica e fissa un obiettivo, dettaglio del paesaggio o bersaglio che sia. Poi non gli rimane che sparare o scattare, e i risultati sono comunque eccellenti.

www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2013/03/04/Tesconi-spara-il-flash-ecco-dolore-ex-manicomi-_8345...

Sound72
00giovedì 16 aprile 2015 18:29
Dagli arabeschi inutili di Ljajic ai preziosismi di Matisse..


www.scuderiequirinale.it/categorie/mostra-matisse-arabesque


On y va [SM=x2478842]
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