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Giornalismo - attualità

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2020 10:42
01/06/2011 14:01
 
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Perché mi sento vicino a quei papà
28 maggio 2011
VORREI abbracciarlo quel povero papà perché sono papà come lui e so che il piccolo Jacopo è morto per uno dei paradossi dell' amore. Difatti pure io mi porto i figli dietro, in auto, mentre lavoro, al supermercato e, come ormai succede a moltissimi altri padri, mi piace essere anche la madre dei miei bambini, partecipare allo svezzamento, nutrirli e spupazzarmeli fisicamente, e magari lo faccio per surrogare quei nove mesi che mi mancano, chissà. Ma sono padre e dunque come madre sono goffo sino alla sbadataggine, sino alla distrazione o sino all' apprensività più ansiosa che è poi la medesima cosa, l' altra faccia della stessa inadeguatezza. Certo, per istinto di autodifesa il mio primo pensiero è stato «a me non sarebbe successo». Ma non è vero. E anche Sergio Riganelli deve avere pensato la stessa cosa quando, la settimana scorsa, ha letto della piccola Elena che è morta a Teramo, dimenticata nell' auto dal suo papà: «Al mio Jacopo non potrebbe succedere mai». E invece è successo. E quel primo pensiero di presunzione io l' ho buttato via. Può infatti accadere a tutti i papà, e soprattutto ai papà più amorevoli del mondo perché sono quelli che hanno il complesso dell' ippocampo, l' unico animale maschio che prende su di sé la gestazione e si occupa lui delle uova. Ma è appunto lì che sta in agguato la disgrazia, nell' avere un cuore troppo grande e due occhi soltanto, nel volere fare quelle mille cose che mia zia "la signorina" avrebbe commentato cosi: «' mbriachi e picciriddi, centu occhi li devono guardare». Dunque la sola cosa che possiamo permetterci è sentirci solidali con quel che resta di un padre consapevole di avere ammazzato la persona che più amava al mondo. Deve essere così l' inferno: chiamare Jacopo e non averlo più o peggio sentirlo dentro come un fantasma, come un eterno rimorso, come un perenne nodo in mezzo al petto che ogni tanto ridiventa fuoco. E rivedere il suo sorriso senza mai più gioirne, immaginarne la vita, risentire sui polpastrelli il tepore della pelle e custodirne il ricordo nel cavo della mano. Questo papà è un vivo con la morte addosso. Gli si deve dare amore. Anche se è inutile, anche se non ne spegnerà il senso di colpa, se non lenirà il dolore suo e quello di mamma Eva, né tanto meno resusciterà il bimbo di 11 mesi che sulla riva del lago Trasimeno è morto asfissiato in un' auto arroventata dal sole. E mi viene in mente che un po' di colpa ce l' ha anche la dannatissima macchina, che è diventata il nostro guscio di lumaca, la viviamo come un' appendice di casa e si sa che in casa ci si può dimenticare la caffettiera sul fuoco e anche il bambino che dorme senza che accada l' irreparabile. E' di Buzzati quel piccolo capolavoro che è ' La dimenticanza' di una madre che aveva lasciato la bambina in casa e finalmente se ne ricordò mentre qualcuno le domandava se avesse chiuso l' acqua: «Ada divenne del colore della morte. D' improvviso le era venuto un pensiero orrendo... come se nella memoria si fosse aperto un buco ... Il caldo! Immaginò la bambina ormai distrutta dal caldo e dalla fame e pensò che forse la pazzia comincia così». Ma neppure la fantasia di Buzzati nel 1950 poteva immaginare la morte nell' automobile-casa, in una scatola di latta che ovviamente si arroventa sotto il sole, automobileculla, e chissà quanti altri bimbi non sono morti solo perché sono stati dimenticati in primavera o magari all' imbrunire di un' estate un po' più dolce. Ma le tragedie solo sfiorate sono tragedie cancellate che non ti lasciano neppure l' insegnamento di non farlo. A un mio amico è accaduto di chiacchierare al telefonino mentre suo figlio di tre anni in piscina perdeva il controllo e veniva salvato da un altro bimbo un po' più grande. E c' è anche il caso del «ci vai tu o ci vado io?» che è il primo anello di una catena di sbadataggini che arrivano a valanga, una dietro l' altra, compresa quella di pagare al supermercato mentre il bimbo si allontana e prima si perde tra la folla e dopo raggiunge l' uscita e finisce in strada dove sfrecciano le macchine e dove si salva solo quando, preso dalla paura, comincia a piangere. E dunque bisogna accostarsi e subito ritrarsi rispettosamente dinanzi a queste tragedie della distrazione, lasciare al giudice l' impaccio di gestire l' omicidio come un paradosso dell' amore paterno.A noi spetta di dire chiaroe forte che non c' è dolo e che nessuno psicanalista deve permettersi di immaginare padri che inconsapevolmente vogliono liberarsi della paternità e dunque ricorrono alla sbadataggine come a un trucco della coscienza. Abbiamo già letto le loro dichiarazioni, ci auguriamo di non sentirli e soprattutto di non vederli ' incattedrati' a Porta a Porta. E' la solita intelligenza dei cretini che non è verificabile e dunque non è neppure contestabile. C' è una sola certezza in questa tragedia: è morto il figlio di un padre affettuoso, vittima dell' amore di suo padre. Sul lago Trasimeno le luci dell' amore sono diventate così abbaglianti da oscurare la vista.
- FRANCESCO MERLO


Forse una tra i più belli degli editoriali di Francesco Merlo.
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