Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
 
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Giornalismo - attualità

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2020 10:42
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31/01/2013 12:54
 
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mi spiace ragazzi, ma purtroppo è la realtà dei fatti.
nell'occidente chi consuma sia fa complice di una violenza perpetuata altrove, che si tratti del consumo di un prodotto legale o illegale o *semi*legale non importa.

il valore aggiunto (in senso economico), la prosperità, la ricchezza non sono entità o risorse infinite. si tratta di un torta che va divisa. e sulla grandezza dei vari spicchi di torta ci si fa la guerra. quella vera, con i morti veri.
sentivo il bisogno di ricordarlo, pensando alla gente persa per strada.

in questo contesto non esiste nemmeno l'autarchia, come invece vorrebbero farci credere parecchi gruppi no global o i propagandisti della regionalizzazione e della localizzazione (il made in "dove ti pare").

per quanto riguarda gli stupefacenti, si tratta di un mercato sommerso, nel senso che non è "aperto" (in realtà non è mai un'apertura ma un monopolio) e controllato da cartelli "ufficiali" come ad esempio quelli del caffè, del tè, della vaniglia o della cannella. o quelli dei diamanti e dello zolfo. (chi più ne ha più ne metta.)
il monopolio garantisce che la violenza necessaria per imporsi sul mercato si trasformi in violenza strutturale: i prezzi bassissimi pagati al produttore, le miserabili condizioni di lavoro ecc.
nel mercato sommerso la violenza non può essere strutturale ma ha le sembianze di una guerra tra cartelli illegali.
le varie politiche antidroga dei vari paesi consumatori, di cui fa parte anche l'italia, sono riuscite a spostare quasi totalmente la guerra tra questi cartelli nei paesi di produzione. un'eccezione sono le droghe chimiche prodotte spesso nei laboratori delle periferie europee, mentre negli stati uniti sono prodotti nelle periferie dei grandi centri (e lì la guerra tra cartelli impera eccome).
del thc e della canna fatta in santa pace si parla poco. semplicemente perché è chic (quasi quasi mi verrebbe da dire: "radical chic"). perché ha quell'immagine a metà tra medicinale, prodotto ecologico (con il cannabis ci si fanno anche i vestiti), prodotto di bricolage pseudo-autarchico (coltivato nella serra fatta in casa) e droga leggera (che in realtà non vuole dire niente). e perché c'è tutta un'ideologia semiscientifica e giustificativa che si accampa attorno al semplice fatto che si tratta di un mercato *enorme* in cui girano cifre *enormi*. ed è sicuro come la morte che dove ci sono cifre di una certa entità c'è, appunto, anche la morte.
inutile farsi illusioni.


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31/01/2013 13:11
 
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Re: Re:
giove(R), 1/31/2013 12:11 PM:




manco l'acqua ti puoi bere, e i pomodori in balcone?
diciamo che spinto al massimo il ragionamento dovremmo spararci in bocca immediatamente, perchè ogni secondo in più che viviamo è un foraggiamento alle speculazioni, alle guerre e alle ingiustizie.

siamo foraggio per il Male per il solo fatto di essere in vita.

in ultima analisi l'Uomo dovrebbe smettere di esistere.




in realtà non è quello il senso del ragionamento.
e lo scopo non è spingerlo al massimo o di semplificarlo al minimo a forza di fucilate in bocca.

l'acqua è motivo di guerra lì dove non c'è.
altrove la si vuole "privatizzare" o "statalizzare" (dov'è la differenza?), mentre la si spreca o la si avvelena.

un altro discorso sarebbe da fare sulla produzione e distribuzione di semi agricoli in scala industriale controllata da certi cartelli e sull'interesse dei cartelli farmaceutici (monsanto, basf, bayer, syngenta, dupont, dow chemical) di imporre i propri semi geneticamente modificati.

lo scopo sarebbe quello di ridurre il proprio grado di complicità e di optare per modi di fare economia che producono meno violenza.

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Re: Re: Re:
BeautifulLoser, 31/01/2013 13:11:



altrove la si vuole "privatizzare" o "statalizzare" (dov'è la differenza?), mentre la si spreca o la si avvelena.





La differenza ci sarebbe eccome e sarebbe pure sostanziale se solo non fosse che anche gli "stati" sono orami asserviti a logiche economiche rispondenti al più bieco liberismo
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31/01/2013 14:03
 
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Re: Re: Re: Re:
jandileida23, 1/31/2013 1:43 PM:




La differenza ci sarebbe eccome e sarebbe pure sostanziale se solo non fosse che anche gli "stati" sono orami asserviti a logiche economiche rispondenti al più bieco liberismo




bingo!

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31/01/2013 15:58
 
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conosco benissimo le logiche dei monopoli, delle multinazionali, i semi geneticamente modificati perchè diano piante che non facciano semi...dei cartelli, ecc... Patric.

tuttavia penso che coltivare ..ciò che si può coltivare (ad esempio non l'haschish ma la marijuana) come prodotto finito, ognuno a casa sua, sia una bella mazzata per le mafie e i loro traffici.

se la cosa fosse sdoganata, dal primo ciccetto d'erba che ti capita in mano (quello si, di provenienza sporca), ci prendi i 5,6 7 semi.
e da lì ti sdogani.

e diventa persino un bene "gratis".

non sto dicendo una cosa campata chissà dove... tant'è vero che la coltivazione ognuno pe li cazzi sua è osteggaita e perseguita, nonostante alcune aperture.

ti ricordo che la marjuana è stata bandita a tavolino.
si è scelto che la marjuana è pericolosa e l'uva o il luppolo o il malto no.

poi vai a vedere morti per alcolissmo ne sono alstricate le vie dell'aldilà.

mentre, per dirla con i Pitura Feska:

"de marjuana NON E' MAI MORTO NISUNI!!"

avoja a stroncare escobar, talebani, messicani e thailandesi, totò riina, u' curtu, u' sciancatu, ecc ecc.

secondo me è proprio il proibizionismo una delle migliori sponde ai mali che hai spiegato.


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16/02/2015 10:09
 
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per Luca
Pubblichiamo alcuni stralci del saggio di Massimo Fini “Una vita – un libro per tutti o per nessuno”, appena uscito per Marsilio.

La mia vita, che qui racconto, ha attraversato questa terra di nessuno. Anche se ha qualche peculiarità (sono figlio di tre culture, italiana, russa, francese e ho fatto un mestiere, quello del giornalista, che mi ha permesso, forse, di avere un angolo di visuale privilegiato e più ravvicinato su certi protagonisti e su alcune situazioni, sociali, antropologiche e, in misura minore, politiche) non si differenzia da quelle degli uomini e delle donne delle generazioni che si sono susseguite nel dopoguerra”. (…)

La lettera ad Agnelli mai spedita da De Bortoli. Un giorno di dicembre del 1987 Ferruccio de Bortoli, capo delle pagine economiche del Corriere della Sera, mi telefonò: voleva propormi una serie di servizi e desiderava vedermi. Andai a trovarlo al giornale. Mi disse che sotto le feste aveva intenzione di pubblicare una serie di lettere di auguri di Natale ad alcuni dei più importanti imprenditori italiani. “Naturalmente mi spiegò la lettera dovrà essere un pretesto per fare dei ritratti polemici, dissacranti, come sai fare tu”. “Non hai bisogno di incoraggiarmi su questa strada”, dissi io, tetro. “Insomma voglio che tu scriva come sai, ti ho chiamato per questo”. Mi disse di buttar giù una lista di cinque, sei nomi e di portargliela. Io ci misi Ligresti, Lucchini, De Benedetti, Gardini e un altro di cui ora non ricordo il nome. De Bortoli approvò, ma sostituì Gardini con Gianni Agnelli. “Agnelli? Ma sei sicuro? – dissi io– È il padrone del Corriere…”. “Non ti preoccupare, io e Anselmi vogliamo dare una maggior aggressività alle pagine economiche e in una lista come questa Agnelli non puo mancare”. Poi mi porto da Anselmi che era condirettore (direttore era l’ultrasettantenne Ugo Stille, il mitico ‘ Misha’) e con lui mettemmo a punto gli ultimi dettagli.

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Io che ero un po’ stupito di questi improvvisi coraggi che non erano mai appartenuti alla storia del Corriere chiesi timidamente ad Anselmi: “Ma Stille è d’accordo?”. “Il giornale lo gestisco io” rispose lui, gelido. La prima ‘lettera’ la mandai a Ligresti e non ci furono problemi, venne pubblicata con bella evidenza il 20 dicembre 1987. (…) La ‘lettera’ a Lucchini fu pubblicata il 22 dicembre. Quelle a De Benedetti e ad Agnelli avrebbero dovuto uscire nei due giorni successivi. Preparai il pezzo sul presidente dell’Olivetti e lo portai a De Bortoli (il fax non si usava ancora) poi me ne tornai a casa per scrivere quello su Agnelli. Mentre ero lì che battevo sui tasti, scervellandomi su come cavarmela senza scrivere un soffietto ma anche senza toccare nervi troppo scoperti, mi telefonò De Bortoli: la ‘lettera’ a De Benedetti era troppo hard. “Bisogna fare dei ritocchi, degli aggiustamenti, ammorbidire, smussare. Vieni domani mattina al giornale”. Ci andai portando, già che c’ero, anche il pezzo su Agnelli. Ferruccio mi segnalò i punti a suo dire scabrosi, mi indicò una scrivania e una macchina da scrivere e mi misi al lavoro. Quando finii consegnai il tutto a De Bortoli che lesse con molta attenzione, approvò e scrisse di suo pugno in testa al pezzo le indicazioni per mandarlo in tipografia. Ma prima lo fece vedere ad Anselmi. Che a sua volta lesse, rilesse e diede l’ok. “Però – disse – bisogna farlo vedere a Stille. E anche l’articolo su Agnelli”. Prese i due pezzi e sparì nella stanza del direttore del Corriere che era poco più in là. Ritornò dopo una ventina di minuti. “Stille dice che è troppo duro, che non è da Corriere, che bisogna aggiustare, ritoccare, ammorbidire, smussare”. “Se è così – risposi io – non facciamone nulla e non se ne parli più”. “No, no – disse spaventato Anselmi – abbiamo annunciato una serie, che figura ci facciamo? Gli deve essere saltata la mosca al naso, a Stille, prima o poi gli passa. Tu aspetta qui, tra poco ci torno e lo convinco”.

Da quel momento nei severi e austeri corridoi del Corriere, onusti di gloria e di prestigiosi fantasmi, in un’atmosfera ovattata, gallonata e quasi surreale, insomma in mezzo a quella paccottiglia retorica che tende a occultare che questo giornale è da sempre schierato col Potere, quale che sia, cominciò un penoso deambulare, un andirivieni sempre più frenetico e imbarazzante di Anselmi e De Bortoli e poi del solo Anselmi con la stanza che era stata di Albertini, ora occupata da Stille. Io guardavo e rabbrividivo. (…) La cosa durò quattro ore. Ritornando affranto dall’ennesima sosta nella stanza di Stille, Anselmi (che, come De Bortoli, è una bravissima persona, cosa rara in giornalismo dove i gaglioffi, oggi più di ieri, abbondano) mi disse, allargando le braccia: “Mi spiace, Stille in genere controlla un pezzo su quattrocento, purtroppo è toccato al tuo”. “Pazienza – risposi – sarà per un’altra volta”, sapendo che non ci sarebbe stata. Naturalmente della ‘serie’ sugli imprenditori non si parlò più né tantomeno del pezzo su Agnelli di cui però feci in tempo a vedere che avevano tagliato il passo sulle concentrazioni editoriali in cui la Fiat, allora più di oggi, era implicata in prima linea. (…)

L’alcol, la depressione e Catherine Spaak. Nel novembre 1981, a due anni circa dall’inizio della depressione, il direttore di Penthouse italiano, Gian Franco Vene, che voleva dare un po’ di spessore a quel giornale, mi chiese di fare un’intervista jusqu’au bout a Catherine Spaak. Per me prendere un aereo per Roma era ancora un grande sforzo. Incontrare la Spaak, che era stata un mito della mia generazione, aggravava le cose. Arrivai in via dell’Anima dove aveva una bellissima casa che, da un lato, dava su piazza Navona. Nei suoi 38 anni, con i biondi capelli raccolti da un nastrino rosso, era bellissima e affascinante, molto più dell’implume ragazzina che fa impazzire Ugo Tognazzi ne La voglia matta. Io mi sentivo svenire. Temevo di morire davanti a lei. L’ignominia assoluta. Catherine si accorse quasi subito che c’era qualcosa che non andava. “Non si sente bene?”. “Sì, non mi sento bene”, ebbi il coraggio di confessarle. Lei fu molto comprensiva, accuditiva, quasi materna, caratteristiche che, avendola conosciuta meglio in seguito, non direi che facessero proprio parte del suo carattere.

Era rigida. Incasellava ogni cosa in certe cellette del suo cervello, ben ordinate e separate come quelle dell’alveare di un apicultore. Questo bisogno d’ordine, quasi maniacale, si notava anche nella sua casa, non c’era incartamento, plico, mazzo di matite che non fosse accuratamente avvolto in un vezzoso nastrino, ognuno di diverso colore. Io la chiamavo ‘la tedesca’. A quell’età, non più ninfetta, aveva il fascino e l’eleganza di una donna della grande borghesia europea. Suo zio, Henry Spaak, era stato, con Adenauer e De Gasperi, uno dei padri dell’idea di un’Europa unita. In quel periodo si era messa a fare la giornalista e lavorava con impegno e diligenza per pochi soldi, lei ricchissima. “Venga, andiamo di là, in cucina, a farci un caffè”. Chiacchierammo per un po’ e poi, tornati in sala, facemmo l’intervista. Rientrato a Milano scrissi, di notte, l’articolo di 15 cartelle che mi era stato richiesto, cui Vene diede il titolo Catherine Spaak – Una donna dell’Europa borghese (Penthouse, novembre 1981). Quella confessione fu liberatoria. La depressione si affievolì fino a sparire del tutto. In seguito capii cosa era successo. Per vent’anni l’alcol mi aveva protetto come una seconda pelle. Dopo mi ritrovai come se al posto della pelle ci fosse la carne viva, allo scoperto. Nei due anni di depressione avevo dovuto ricostruire la mia personalità, senza la difesa dell’alcol. Giurai a me stesso che non avrei piu toccato una goccia di liquore. Ero stato troppo male. (…)

Le tre domandine che spaventarono B. Il terzo incontro con Silvio Berlusconi fu un non-incontro. C’erano le elezioni del 1996. Mi telefonò la direttrice di Annabella: “Vogliamo fare due interviste, una a Prodi e una a Berlusconi. Ma vogliamo che chi li intervista non sia un giornalista compiacente, ma che sia anzi un antagonista. Per Prodi abbiamo pensato a Giordano Bruno Guerri, quella a Berlusconi vorremmo che la facessi tu”. “Ma guarda che a me l’intervista non la dà”. “Figurati, siamo sotto elezioni e Berlusconi ha tutto l’interesse a parlare su un giornale ‘femminile’ come il nostro. Eppoi siamo già d’accordo. Devi solo telefonare all’ufficio stampa di Milano di Forza Italia”. Telefonai. L’accordo era che avrei fatto delle domande scritte cui Berlusconi avrebbe risposto e poi ci saremmo visti per un vis-à-vis di 45 minuti ad Arcore. Mandai le domande all’Ufficio Stampa di Milano che le trasmise a quello di Roma per un vaglio definitivo. Dovevo quindi telefonare a Roma.

Mi rispose Paolo Bonaiuti. “Ah, sei tu?” domandai un po’ sorpreso. Quando eravamo stati colleghi al Giorno negli anni Ottanta Bonaiuti era di sinistra, per lui io ero un mezzo fascista. “Ma qui ci sono delle domande…”. “Paolo, sono domande scritte, lui, o chi per lui, ha tutto il tempo di rifletterci sopra e di rispondere a tono”. “Ma ci sono queste domande sulla mafia…”. Avevo posto la questione più o meno in questi termini: “Lei dà molta importanza ai valori di lealtà e di fedeltà. Ma questi sono anche i valori omertosi della mafia. In che modo i suoi concetti di lealtà e fedeltà si differenziano da un legame mafioso?”. All’interno delle tre domande che vertevano su questo argomento davo naturalmente per scontato che per Berlusconi i valori di lealtà e di fedeltà fossero interpretati in modo molto diverso da quello dell’omertà mafiosa. Ma questo a Bonaiuti non bastava. “Non potresti togliere quelle tre domande? Eppoi ce ne sono anche un altro paio…”. “No”. “Fammici riflettere. Ne parlerò col Presidente. Ti richiamo io”. Non richiamò. Quell’intervista non si fece.

Mandai a Berlusconi un biglietto: “Egregio Cavaliere, io l’ho sempre criticata ma non le ho mai negato il coraggio. Vederla fuggire, come una lepre impaurita davanti a tre domandine scritte non mi pare degno di lei. Massimo Fini”. Il biglietto glielo avevo mandato brevi manu spedendo ad Arcore un fattorino dell’Indipendente. Dopo nemmeno tre ore suonano alla mia porta. È un gigantesco valet gallonato che mi consegna una lettera. È di Berlusconi che mi copre di insulti di ogni genere. Ma, come scrive Nietzsche, “anche la lettera più villana lo è meno del silenzio”. Anche questo, a suo modo, era un segno di attenzione. Che poteva importargli di una zanzara, sia pur molesta, quale ero io ai suoi occhi? Considero Silvio Berlusconi deleterio nella storia del nostro Paese, perché, col supporto dei suoi ‘ servi liberi’, ha contribuito a togliere agli italiani quel poco di senso della legalità, e oserei dire anche della dignità, che gli era restato.

da il Fatto Quotidiano del 15 febbraio 2015

Una vita. Un libro per tutti o per nessuno
di Massimo Fini
casa editrice “Marsilio”
2015
pp. 252
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16/02/2015 19:22
 
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grazie luco,su fb avevo letto di questo libro in uscita.
In realtà vorrei comprare qualche suo vecchio libro,ne ha fatti di interessanti,non solo sui soliti temi ma anche biografie di personaggi letti a modo suo.
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19/02/2015 15:43
 
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me piace, lo prendo.

grandi palle e non solo, e anzi devo ringraziare Luca perchè non lo conoscvo fino a qualche anno fa in cui ne parlasti.


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19/02/2015 15:54
 
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eheheh stavo a rilegge la querelle sulla maria self made....

certo, l'essere intelligenti e l'essere pure informati è una gran cosa.
un pò meno essere tanto rigidi da annullare queste qualità.



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24/02/2015 23:14
 
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[SM=x2478856] riguardo al libro di m fini,feltri nel suo editoriale praticamente dopo che gli ha fatto i complimenti gli ha detto che è un pirla perchè non si è piegato agli editori dunque non ha fatto carriera.
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08/03/2015 21:52
 
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Avviso ai lettori di Massimo Fini

"Sono diventato cieco. O, per essere più precisi, semicieco o 'ipovedente' per usare il linguaggio da collitorti dei medici. In sostanza non posso più leggere e quindi nemmeno scrivere. Per uno scrittore una fine, se si vuole, oltre che emblematica, a suo modo romantica, ma che mi sarei volentieri risparmiato.
Una Vita è quindi il mio ultimo libro. E la mia storia, di scrittore e giornalista, finisce qui. Del resto nella vita arriva sempre un momento in cui, per una ragione o per l'altra, si deve uscire di scena. Il sito rimane aperto per chi voglia sottoscrivere il Manifesto, per le mail (ho qualcuno che mi dà una mano), per inviti, conferenze, interviste perché se ho perso l'uso della vista non ho perso quello della parola e, spero, nemmeno il ben dell'intelletto. Un grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questi ultimi , e per me molto faticosi, anni".
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11/03/2015 15:07
 
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Re:
lucaDM82, 08/03/2015 21:52:

Avviso ai lettori di Massimo Fini

"Sono diventato cieco. O, per essere più precisi, semicieco o 'ipovedente' per usare il linguaggio da collitorti dei medici. In sostanza non posso più leggere e quindi nemmeno scrivere. Per uno scrittore una fine, se si vuole, oltre che emblematica, a suo modo romantica, ma che mi sarei volentieri risparmiato.
Una Vita è quindi il mio ultimo libro. E la mia storia, di scrittore e giornalista, finisce qui. Del resto nella vita arriva sempre un momento in cui, per una ragione o per l'altra, si deve uscire di scena. Il sito rimane aperto per chi voglia sottoscrivere il Manifesto, per le mail (ho qualcuno che mi dà una mano), per inviti, conferenze, interviste perché se ho perso l'uso della vista non ho perso quello della parola e, spero, nemmeno il ben dell'intelletto. Un grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questi ultimi , e per me molto faticosi, anni".




da uno così mi aspetto che non si arrenda. c'è il breil, ci sono i software di lettura e scrittura.
so che Fini è stato alcolista, quindi soggetto a depressione, a buttarsi giù.
ma so che ha saputo riprendersi, reagire.
quindi....


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12/03/2015 00:16
 
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Ho letto travaglio che lo vuole collaboratore anche saltuario sempre al Fatto.
In effetti in tv si vedeva che aveva qualcosa che non andava ma non avevo capito fosse un problema di vista.
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12/03/2015 09:35
 
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a proposito di alto giornalismo menzione per le repliche de La notte della Repubblica di Sergio Zavoli in onda su raistoria ogni mercoledi in seconda serata.
Programma di 25 anni fa..da far impallidire sti teatrini e talkshow inconcludenti propinati a destra e a manca.
Ieri puntata sulla strage di Bologna.
A suo tempo nel '90 me l'ero viste tutte..praticamente l'appendice alla storia italiana che al liceo finiva con la seconda guerra mondiale.
Quella sigla ancora oggi è incredibile " notte inquieta"





Giorni fa ho rivisto pure uno speciale su Joe Marrazzo , il padre de Piero (sic)..
Cronista d'assalto inarrivabile.
Memorabili certi servizi sulla mafia..o quelli sulla camorra e terremoto Irpinia.
Mori per cause naturali, ma l'avrebbero fatto fuori da un momento all'altro.

[SM=g10633]

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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22/04/2015 11:55
 
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Hasta siempre Eduardo Galeano, quello che i gol li segnava con la penna

Scomparso a 75 anni il famoso scrittore uruguayano, uno delle eminenze della letteratura latinoamericana: immortalato da Le vene aperte dell’America Latina è stato l’autore letterario che più di ogni altro ha criticato il calcio moderno . “Io volevo diventare un grande calciatore ed in effetti ero proprio una meraviglia quando giocavo: il mio problema era che facevo il fenomeno solo di notte, mentre dormivo. Di giorno ero il peggior scarpone mai visto sui campi del mio paese.”
Il suo paese, quel piccolo angolo di mondo immortalato dalla sfericità di un pallone da calcio, era l’Uruguay, terra che anche grazie al suo nome ha avuto un posto nel planisfero che domina la mente dell’altra metà del pianeta.

Eduardo Galeano era nato a Montevideo nel 1940, dieci anni dopo il primo mondiale vinto sui prati di casa dalla Celeste , dieci anni prima di quell’altro mondiale con cui gli uruguagi fecero piangere il Brasile intero al Maracanà. Stava forse anche in quel suo essere nato a metà strada tra quei due apogei, la passione travolgente per il pallone che ha attraversato la vita di uno degli intellettuali più brillanti e influenti partoriti dal ventre dell’America Latina. Lui che ne aveva esplorato le vene aperte, la brillante metafora che ha dato il nome alla sua opera più nota, Le vene aperte dell’America Latina, quel saggio di disarmante semplicità ma al tempo stesso di eccellente e complessa indagine storica con cui Galeano, uomo dichiaratamente di sinistra, mise in luce l’originalità, l’autenticità e la forza dell’identità latinoamericana, sia in chiave precolombiana, sia da un punto di vista contemporaneo: non solo demistificò come pochi la concezione di scoperta del continente da parte di Colombo e la modernità portata dal colonialismo europeo, senonché mise in risalto come la ricchezza culturale ed economica dell’America Latina nel corso del XX secolo sia stata soffocata dal neocolonialismo degli Usa e del libero mercato , che hanno generato la strumentale visione di un a parte del mondo povera, un continente desaparecido, prendendo in prestito il titolo di un altro saggio, del nostro Gianni Minà, in cui tra l’altro Galeano appare come uno degli intervistati di maggior rilievo.
Ma al suo fervore politico, intellettuale e letterario, faceva da contraltare in Eduardo Galeano quella diabolica passione per il calcio che fa prigionieri milioni di esseri umani in tutto il mondo. Tifosissimo del Nacional di Montevideo, acceso spettatore ogni quattro anni dei Mondiali, lo scrittore uruguayano ha fatto coincidere questo amore viscerale per il pallone con la sua penna d’autore, ne El fútbol a sol y sombra, tradotto in italiano Miserie e splendori del gioco del calcio , un libro dove Galeano ha lottato in un certo senso contro sé stesso. Da un lato infatti emergono i sogni di quel bambino diventato uomo nei potreros (i campi in terra) del suo paese, affascinato dalla democraticità del calcio di strada, dove un pallone rompe confini, barriere, differenze sociali e permette con il tempo anche all’uomo della porta accanto di diventare l’eroe di un paese intero, come fu per Obdulio Varela, capitano dell’Uruguay del ’50, portentoso con gli scarpini e la celeste indosso sul maestoso prato verde del Maracanà, dall’aspetto banale e quasi goffo in giacca e pantaloni mentre consolava i brasiliani ai tavoli di un bar di Rio con qualche cachaça, ore dopo il Maracanazo.

Dall’altro lato c’è in quell’itinerario di calcio e letteratura la critica di Galeano al futbol moderno, dove orari improbabili, le aspre dispute sui diritti tv, sponsor onnipresenti e il numero eccessivo di partite affiorano come storpiature e riflesso degli eccessi del villaggio globale sul bel gioco. Un giocattolo , secondo le sue parole, dominato dalla “tecnocrazia dello sport professionale che ha imposto un calcio di pura velocità e molto forza, che rinuncia all’allegria, atrofizza la fantasia e proibisce l’audacia”. Ma poi se all’orizzonte appariva qualche angelo calcistico capace di accarezzare e coccolare il cuoio come nessun’altro, eccolo tornare ad indossare i suoi occhi di bambino di Montevideo e trovare di fronte alle brutture del pallone del 2000 una scusa per restare fedele a questa religione: “Per fortuna che di tanto in tanto qualche sfrontato moccioso esce dalle righe e osa dribblare tutta la squadra rivale, l’arbitro, il pubblico delle tribune, per il puro godimento del corpo che si lancia verso la proibita avventura della libertà”.

E adesso anche lui chissà verso quale libertà si sarà lanciato, assieme a Gianni Brera, a Osvaldo Soriano e agli altri poeti di questo romanzo infinito… Hasta siempre Eduardo Galeano, mendicante del buon calcio, che con i piedi giocava bene solo nei sogni, ma che di giorno con la penna ha segnato gol mai visti prima.


www.tuttocalcioestero.it/
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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18/06/2019 09:29
 
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"Camilleri sta male e se c'è qualcuno che sta male dispiace sempre (a meno che non sia qualcuno che dico io, ma.. non è lui ;) ), speriamo possa superarla, ma un tempo arriva per tutti.
Detto ciò TUTTI PRONTI che è in partenza il (ciclico) SuperTreno della CELEBRAZIONE & SUPERVALUTAZIONE tipica nostra e dei nostri tempi. Sono in arrivo fiumi di articoli, video, approfondimenti, speciali, commemorazioni che sembrerà che sia venuto a mancare Dante Alighieri, Alessandro Manzoni, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi messi insieme. Sentirete e leggerete certi slanci, certi tratti, certi peana che lèvati. E non ce l'ho mica con Camilleri, ci mancherebbe, un brav'uomo sul punto di morire.
Sto parlando d'altro.
Roger Nelson, detto Prince, avrebbe detto "Sign o' the times".
Quando il meglio non c'è, quando è andato, finito, quando ne restano solo le vestiigia, allora anche la penuria viene presa per abbondanza.
Ecco quindi che un normalissimo, onestissimo, scrittore ti diventa (vedrete...), nel vuoto intorno un nuovo Sommo Vate, Bardo Immortale e Padre della Lingua.
Ma è così in tutto eh? E' che funziona così, dalle bocche di chi racconta, alle orecchie di chi 'sente' (il verbo 'ascoltare' non lo uso, che è morto da tempo come Alighieri, Manzoni e Sheakespeare...)."


Questo un mio pensiero su queste dinamiche SOLITE che io da osservatore ... me se illuminano proprio come le piste d'atterraggio di notte.

I percorsi del provinicialismo italiano. Ma direi umano. Dove quello che hai oggi tendi a vederlo una specie di top, tendi a sopravvalutare, perché un po' come il pensiero della morte, non tutti l'accettano, tantomeno quello di vivere "tempi che non contano", "tempi che non saranno ricordati", "tempi MENO di quei tempi, famosi o immaginifici" di cui abbiamo letto o sentito.

E così come dico, in tempi di magra, la penuria la trasformi in abbondanza. Ed ecco a voi la prossima dipartita di un Padre della Lingua Italiana...... ma allora, chiedo, Flaiano chi cazzo era, DIO?

PS. comunque se vi leggete al volo queste 2 pagine, quasi tutte sulla cannabis, la coltivazione, i semi.... scoprirete un Patric detto Beautiful Loser in versione "felpata". Alla Salvini. Squadra Antidroga.
Manco coltivarla. Lo dicono TUTTI. Ma TUTTI. Però lui leggeva, se informava, ne sapeva. E diceva "no".
Che poi magari ste cose le sapevi pure te, l'oppio, l'Afghanistan, i semi, la Monsanto, il consumismo come puntello al capitalismo, ecc....

Però Grillo è Hitler e... no, se ognuno se la coltivasse da solo, non sarebbe uno smacco alle mafie.
No........
[Modificato da giove(R) 18/06/2019 09:38]


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Purtroppo temo che Flaiano oggi non se lo inculerebbe proprio nessuno.
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Sono la rovina della Roma


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ma infatti già non se lo inculano.
Però i preparativi per le celebrazioni a Camilleri mi hanno fatto pensare alla biografia di Dickens, alla cui morte si mosse tutta Londra...
Uguale uguale, ma ripeto non è colpa di Camilleri (anzi, la cui storia, di scrittore che inizia a 53 anni... che sta poi sta fermo e riprende a 60.. è una bella storia, "per tutti").

E alla fine chissà che fra un secolo non sentiremo, al posto di "Questo matrimonio non s'ha da fare", "il sozzo bubbone", o "l'addio ai monti"..... citazioni tipo "buono come la pasta 'ncasciata" oppure "Montalbano soooono!"



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Scomparso De Crescenzo, mi e' dispiaciuto, fin da piccolo mi aveva colpito quando parlava della societa' e di filosofia. Lo avrei ascoltato per ore, colto ma semplice nel comunicare e anche come persona. Rip
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