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Personaggi internazionali

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2024 18:24
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07/07/2014 19:49
 
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Addio ad Alfredo Di Stefano, leggenda e signore del calcio

Aveva 88 anni. Per molti era più forte di Pelé e Maradona.
Due volte Pallone d’Oro, vinse tutto con la maglia del Real


La «saeta rubia» ha smesso di correre, Alfredo Di Stefano è morto oggi due giorni dopo essere stato colto da infarto. Al di là dei numeri (1 Coppa America appena ventenne, 8 volte campione di Spagna col Real, 5 Coppe dei Campioni consecutive sempre con le «merengues» e segnando in tutte le finali, 2 Palloni d’oro), la Storia lo ricorderà come una leggenda e comunque tra i più grandi di sempre.

“Meglio di Pelé e Maradona” Molti di quelli che lo hanno visto giocare, infatti, sono pronti a giurare che la sua grandezza fosse addirittura superiore a quella di Pelé e Maradona. La classifica rimane arbitraria e comunque impossibile da stilare, certo è che la “saeta rubia” è stato il primo giocatore universale.

Voluto da Franco
Di Stefano, scomparso all’età di 88 anni, era nato a Buenos Aires: ma fu in Spagna, nel Real Madrid, che scrisse pagine indelebili del calcio mondiale. Per uno scherzo del destino, Di Stefano era destinato a vestire la maglia del Barcellona, ma fu dirottato nella capitale spagnola da un intervento diretto del Caudillo Franco. Fu soprannominato la «saetta bionda» perché spaziando in ogni parte del campo era capace di salvare la sua porta dal gol per infilare poi subito la palla nella porta avversaria, raggiunta con una delle sue discese travolgenti che gli portarono appunto il soprannome di «saeta rubia». In più, aveva una caratteristica unica per quei tempi: un attaccante di pura classe che aiutava la difesa, impostava l’azione e andava in gol. Il tutto ad una velocità sconosciuta per quei tempi, quando il calcio si muoveva ancora al rallentatore. Insomma, un leader per classe, carisma e per quell’innato senso di superiorità, proprio di un altro argentino che trent’anni dopo gli avrebbe rubato la scena.
Gli esordi e i trionfi
Dopo un inizio di carriera nell’argentino River Plate e nei Millionarios di Bogotà, contribuì poi in maniera determinante ai successi del Real Madrid dal 1953 al 1964. Eletto Pallone d’oro due volte (1957 e 1959), Di Stefano aveva realizzato 49 gol in 58 partite di Coppa Campioni (l’attuale Champions League) che aveva vinto cinque volte consecutive con il Real (1956-60), mentre era stato otto volte campione di Spagna. Nel 1989, una giuria formata dai lettori di France Football lo pose al vertice della speciale classifica “Super Pallone d’Oro”, davanti ai nomi pur prestigiosi di giocatori come Cruijff, Platini e Beckenbauer.
Il flop da allenatore
La sua carriera di allenatore non fu altrettanto fulgida come quella di giocatore. Anzi, fu costellata da molti esoneri, prima fra tutti da quello del Real Madrid, di cui prese la guida nel 1982, succedendo al dimissionario Vujadin Boskov ma che fu costretto a lasciare dopo meno di due anni. Poca fortuna anche con il Boca Juniors nel 1985 ed altro esonero dalla panchina del Valencia preso nel 1987 e costretto a lasciare l’anno dopo. Né ebbe molta fortuna il successivo ritorno alla guida del Real nel novembre del 1990 durato appena pochi mesi. Decisiva per il secondo esonero fu l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni, nel marzo dell’anno successivo, sconfitto in casa 3-1 dallo Spartak Mosca.


Campione anche fuori dal campo
Dopo questo esonero, la vecchia gloria madridista tornò a fare il consigliere del presidente, fino a essere nominato successivamente presidente onorario del club. Al leggendario ex-giocatore argentino è intitolato anche lo stadio del Real Madrid Castilla, la squadra riserve delle merengues. Situato nel centro sportivo di Valdebebas, fu inaugurato nel maggio 2006. Campione a tutto tondo, in campo e fuori, campo, Di Stefano ha vinto tutto e incantato tutti. Con l’unica «sfortuna» di essere grandissimo quando la televisione era ancora troppo piccola per poterlo celebrarne come avrebbe meritato il suo innato talento.


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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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