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Personaggi internazionali

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2024 18:24
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18/12/2015 11:47
 
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articolo su Rogerio Ceni di qualche giorno fa

Obrigado Rogerio, l’addio di O Mito do Morumbi

Avrebbero voluto vederlo tutti in campo, a calcare il manto sacro del “Morumbì” forse per l’ultima volta. Ma lui non c’era, colpa di una lesione al piede destro che lo sta tenendo lontano dai campi da gioco da almeno un mese: ha scambiato qualche parola con i compagni lungo il tunnel degli spogliatoi, poi si è accomodato in panchina e se n’è andato al termine del primo tempo, lasciando per l’ultima volta da giocatore quella che ha sempre definito la sua seconda casa. Sì, perché a meno di sorprese (un po’ come accadde lo scorso anno quando venne dato l’annuncio ufficiale salvo poi smentire tutto qualche settimana dopo) Rogério Mücke Ceni la prossima domenica appenderà definitivamente i guantoni al chiodo. Ma anche gli scarpini, perché più che per le sue parate lo storico portiere del San Paolo verrà universalmente ricordato per altri record. Uno su tutti? 131 reti realizzate durante tutta la sua carriera. Che poi forse definirla così è anche riduttivo visto che stiamo parlando di uno dei personaggi più longevi del gioco, uno che ha collezionato qualcosa come 1128 presenze (secondo solo all’eterno Peter Shilton, in campo fino ai 48 anni), di cui ben 1192 con la maglia del San Paolo lasciandosi alle spalle un mostro sacro come Pelè, il cui record di 1116 apparizione con il Santos sembrava irraggiungibile per chiunque.
Ma quelli erano altri tempi, decisamente più romantici rispetto a oggi, in cui la fedeltà verso un’unica causa è cosa assai rara. E questa causa, così come la sua porta, Ceni la difende da ben 25 anni, da quando cioè venne tesserato tra le fila del Tricolor. E pensare che da giovane avrebbe potuto diventare altro, un giocatore di pallavolo professionista per esempio, visto che nel 1989, a 16 anni, arrivò persino a disputare i Giochi Studenteschi di Brasilia con la selezione dello stato del Mato Grosso, dove si trasferì con mamma Hertha e papà Eurydes all’età di dodici anni. Con le mani ci sapeva fare eccome, ma a lui piaceva giocare con i piedi, di fino, nello stretto, tanto che nelle partite aziendali disputate con i dipendenti della banca cittadina nella quale lavorava come addetto alle pulizie, veniva impiegato come regista. Un giorno però, il portiere titolare non si presentò all’incontro e in questi casi chi finisce a difendere la porta? L’ultimo arrivato. E chi fu quel giorno l’ultimo ad arrivare al campo? Rogerio Ceni, il ragazzino di Pato Branco che quella sera parò qualsiasi cosa gli avessero tirato.

Il Sinop Futebol Clube, la squadretta del paese, lo nota, lo provina e decide di aggregarlo alla prima squadra come terzo portiere: un ruolo che stava molto stretto all’ambizioso diciassettenne, che tempo due settimane aveva già scalato le gerarchie guadagnandosi il posto da titolare e portando il Sinop alla vittoria del primo torneo statale della propria storia. Un caso? Noi diciamo di no.Al termine del campionato, date le buone prestazioni di Ceni e la concomitante interruzione dell’attività del Sinop, un dirigente della società raccomandò al portiere di fare un provino per il San Paolo. Appoggiato dal preparatore dei portieri del San Paolo, Gilberto Geraldo de Moraes, già estremo difensore del club negli anni 1960, Ceni fece il suo ingresso nella rosa del San Paolo nel settembre 1990 (esordio ufficiale in un torneo amichevole in Spagna, contro il Tenerife) e da lì non se ne andrà mai. Inizialmente fu riserva di grandi campioni come Gilmar e Zetti, e fino al 1996 giocò sporadicamente, disputando soprattutto incontri nel Campionato Paulista. Ma nel 1997 iniziò a essere impiegato con maggior continuità, e gli venne assegnato il ruolo di estremo difensore titolare nel Campionato Brasileiro Sèrie A di quell’anno.

“Nel 1996, quando Telê Santana (c.t. del Brasile ai Mondiali 1982 e 1986, morto nel 2006, ndr) era allenatore della mia squadra, non c’era nessuno che tirasse i calci da fermo – ha raccontato qualche tempo fa lo stesso Rogerio – Arrivavo mezz’ora prima dell’allenamento e ci provavo. Riempivo un sacco con una ventina di palloni. Usavo una barriera mobile, perché non c’era nessuno con cui allenarmi. Cercavo di colpire il palo e poi mi dicevo: se riesco a colpirlo, posso centrare facilmente pure la rete“.
E sì, possiamo dire che qualche centinaia di volte ce l’ha fatta a centrarla, bucando decine e decine di poveri colleghi che con ogni mezzo hanno sempre tentato di non entrare nella storia dalla parte sbagliata perché, in fondo, subire gol da un portiere è sempre stata un’umiliazione per tutti. La prima volta non si scorda mai, si dice, e come si potrebbe dimenticare la prima perla che ha fatto di un umile ragazzino quello che oggi viene definito in patria O Mito? La prima realizzazione nel 1997 contro l’União São João, sempre nel campionato paulista, sempre su punizione, sempre con la maglia bianco-rosso-nera ovviamente.

Di anno in anno le statistiche crescono, fino ad arrivate all’anno di grazia 2005, dove Ceni scrive 21 nella colonna delle reti segnate: incredibile! Però in Sud America erano anche abbastanza abituati a vedere un portiere segnare da calcio da fermo, quindi perché non provare a sfidare anche i suoi predecessori, cercando di conquistare un primato leggendario? Nel 2006 raggiunse ufficialmente Jose Luis Chilavert, primo a quota 62. Il paraguaiano disse all’epoca: “Non è vero, io di gol ne ho fatti 70. Li ho contati tutti, e Ceni non mi ha superato.” Ok, nessun problema per Rogério, che allora non rispose a parole, ma con i fatti e il 27 marzo 2011, contro i rivali del Corinthians, sigla la rete che lo consegna ufficialmente alla storia del gioco: la numero 100.
Tre cifre che tutti sognano di raggiungere in carriera e che se già per un attaccante non è roba da poco, bè…figuratevi cosa voglia dire per un portiere. Negli ultimi quattro anni di attività, complice anche qualche infortunio di troppo, Rogerio ha un po’ calato il ritmo, togliendosi comunque la soddisfazione di segnare quella che probabilmente sarà l’ultima rete della propria carriera alla veneranda età di 42 anni quando, lo scorso 26 agosto ha pensato di mettere il proprio timbro sulla vittoria del San Paolo contro il Cearà, match valido per la Copa do Brasil: con questa fanno 131 realizzazioni (https://pt.wikipedia.org/wiki/Lista_de_gols_de_Rog%C3%A9rio_Ceni), 129 per la Fifa, visto che, come accaduto anche per le 1000 reti di Romario, si sa che i brasiliani non si fanno troppi scrupoli a conteggiare anche le amichevoli.

Poco importa, sono comunque numeri che fanno girare la testa, se si pensa oltretutto che Rogerio figura al decimo posto dei marcatori di tutti i tempi per il Tricolor, mettendoci lo zampino un po’ ovunque: dal campionato Paulista, a quello nazionale, alla Coppa del Brasile, alla Libertadores, alla Sudamericana e arrivando persino a scrivere il proprio nome nei registri del Mondiale per Club, quello del 2005 per l’esattezza, quando un suo gol regalò al San Paolo la vittoria contro i sauditi dell’Al-Ittihad. Peccato non essere riuscito a replicarsi con la maglia della Selecao, dove comunque ha avuto la soddisfazione di partecipare a due Mondiali (2002 e 2006) e portarsene a casa uno, quello di Giappone e Corea, seppur con un ruolo piuttosto marginale dietro a Dida e Marcos. Ma in fondo all’Highlander di Pato Branco i riflettori non sono mai piaciuti. Niente telecamere, niente microfoni, solo la sua adorata maglia numero 1, che nel tempo si è trasformata in 01 per ovvi motivi
Domenica prossima solo un miracolo potrà regalare ai tifosi paulisti il sogno di vedere scendere in campo il loro eroe (termine di gran lunga riduttivo) contro il Goias per l’ultimo match del campionato e l’ultima partita della carriera di Ceni, ma tutto è ovviamente pronto per una grande festa perché un quarto di secolo donato al San Paolo non può venir ignorato da nessuno. Basti pensare che in città ci sono alcuni bambini molto piccoli che si chiamano Rogerioceni da Costa, o Rogerioceni Moraes. Alcuni ragazzi si sono tatuati il suo volto sul braccio, altri l’hanno dipinto sul cofano della loro auto. Di più: il mitico Raì gli ha ufficialmente ceduto il titolo di eroe più grande della storia del San Paolo e a Morumbì esiste già il progetto di una statua in suo onore. Cosa farà Rogerio da grande è un mistero, anche se ha già dichiarato che il suo sogno più grande resta quello di allenare la sua squadra del cuore un giorno, ma non è improbabile che possa venirgli affidato un ruolo dirigenziale all’interno del club, lontano dai riflettori ovviamente.

La sua prima autobiografia, pubblicata nel 2006, si concludeva così: “Non che mi interessino le vostre finanze, ma vi consiglio di mettere da parte qualche dollaro per comprare l’aggiornamento di questo libro.” Forse il consiglio andrebbe ascoltato, perché di cose raccontare ancora ce ne sono, perché non ci si annoia mai ad ascoltare le parole di una leggenda, ma soprattutto perché lui è O Mito do Morumbì.

Obrigado Rogerio.

www.tuttocalcioestero.it/2015/12/02/obrigado-rogerio-laddio-di-o-mito-do-morumb...


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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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13/01/2016 19:42
 
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Si è ritirato anche Damien Duff, bell'esterno ai tempi del Chelsea e del Newcastle, probabilmente uno dei giocatori irlandesi piu' talentuosi degli ultimi 30 anni.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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13/02/2016 14:53
 
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scomparso Ivanov della Bulgaria,usa 94... [SM=g27994]
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02/03/2016 12:00
 
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ieri durante Leicester -West Bromwich, partita abbastanza sfigata per Ranieri, bordate di fischi per il ribelle James Mc Clean.

Bel personaggio McClean...nato a Derry nell'Irlanda del Nord, sceglie la nazionale dell'EIRE, simpatizza per l'IRA, si rifiuta nella gara di andata (da qui i fischi) di indossare la maglia col papavero in ricordo delle vittime di guerra inglesi reclamando lo stesso trattamento per i morti dimenticati di Londonderry.
E in Inghilterra ad ogni trasferta del WBA è uno vs tutti.

Per inciso..gran film Bloody Sunday




[Modificato da Sound72 02/03/2016 12:00]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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30/03/2016 14:00
 
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Io ho sempre pensato che fosse uno scemo, però la storia presentata così è interessante

zonacesarini.net/2015/07/11/jorge-campos-messico/

«Campos rappresenta tutto quello che ci si aspetta da un messicano: un indolente e gioioso disprezzo per le regole, le abitudini, lo status quo. Quello che è sempre stato il Messico, un Paese tanto abituato alle rivoluzioni da averle istituzionalizzate nel suo sistema politico. E, a quanto pare, nei suoi campi da calcio.

Il portiere non è un giocatore qualsiasi. Non gli è concesso spazio per l’inventiva, tranne che nelle perdite di tempo. Niente voli pindarici, solo balzi felini tra i legni. Gli altri sognino pure rovesciate, contropiedi e scorribande; al portiere non è concesso.

Niente grilli per la testa, all’interno dell’area piccola: “Giù la testa, coglione”.

Siamo al tramonto degli anni Ottanta, e mentre l’Europa fa i conti con Hillsborough e l’Heysel, nei PUMAS di Città del Messico debutta un ragazzino esile e agilissimo, che di nome fa Jorge Campos Navarrete.

Jorge Campos nasce nel 1966 ad Acapulco, “la perla del Pacifico”: una città turistica, più vicina alla California dei Beach Boys che al latifondo che ancora caratterizza gran parte del Messico. Jorge è un bambino iperattivo, ed essendo di buona famiglia può permettersi di provare tutti gli sport che desidera: si avvicina al basket, ma la bassa statura probabilmente lo scoraggia dal continuare; tenta il baseball, l’equitazione e il tennis, abbandonati presto senza rimpianti; si cimenta infine con il surf, passaggio necessario per ogni acapulqueño che si rispetti.

Mentre cavalca le onde della Playa Hornos e de La Condesa, Jorge guarda estasiato i costumi sgargianti dei surfer di tutto il mondo: abbandonerà presto il surf, ma quell’orgia di colori, quella sfrontata allegria, quello sgargiante manifesto di ribellione rimarranno per sempre con lui.

A 16 anni, Jorge Campos inizia a giocare a calcio; in porta, forse anche per quella sua innata voglia di distinguersi dagli altri. Dopo le giovanili nei Delfines di Acapulco e una parentesi nella Cruz Azul, nel 1985 viene tesserato dai PUMAS, il club della Universidad Autonoma Mexicana. Ogni due settimane, Jorge prende la corriera da Città del Messico ad Acapulco per andare a trovare i suoi cari: un viaggio infinito, durante il quale spesso Jorge si chiede se non valga la pena ritornare a casa, completare i suoi studi in Amministrazione di Impresa e rimanere con la sua famiglia nella baia di Acapulco.

Nel 1988 entra in prima squadra, dove il suo coetaneo Adolfo Rios occupa stabilmente il ruolo di portiere: l’allenatore, Miguel Mejía Barón, è un uomo pragmatico, e intuendo le doti di Campos, gli propone di giocare come attaccante esterno. Jorge accetta e in 37 presenze mette a segno 14 gol, diventando il capocannoniere della squadra. Nel 1990 il sistema si perfeziona: Rios rimane il portiere titolare, ma quando la squadra prende gol ecco che Campos “scala” in porta e Rios se ne va in panchina. La formula sembra folle, ma i PUMAS vincono addirittura il campionato.

Dopo la cessione di Rios al Veracruz, Mejía Barón decide di schierare Campos in porta, nonostante i 24 gol segnati in due anni: Jorge accetta, in cambio di qualche libera uscita dall’area di rigore. Mejía Barón, allenatore, dentista e (secondo alcune fonti) filosofo, dimostra di averci visto giusto ancora una volta: Jorge Campos sarà pure un buon attaccante, ma è diventato soprattutto un ottimo portiere. Agile, reattivo e capace di leggere in anticipo le intenzioni degli attaccanti: per la scarsa tradizione di arqueros messicani, Campos è un patrimonio troppo grande per esser dilapidato in attacco.

Dal 1991 entra in pianta stabile a far parte della Nazionale, con la quale raggiunge una fama planetaria: non sono le parate feline o le uscite spensierate a renderlo indimenticabile, quanto le sgargianti divise che si disegna da solo e che sfoggia in ogni competizione internazionale. Le finali di Concacaf e di Coppa America del 1993 lo elevano a icona, ma sono i Mondiali statunitensi a consacrarlo nell’immaginario collettivo.

Quando il Messico annuncia la sua intenzione di schierare Campos come portiere volante, Blatter si oppone fermamente: nessuna regola vieta espressamente il cambio di ruolo, ma il padre padrone della FIFA non vuole personaggi sopra le righe, o iniziative che possono cambiare prassi e consuetudini. Campos spiega:

“Non capisco che cosa significhino le dichiarazioni di Blatter. Se io sono in grado di giocare in due ruoli, è un vantaggio che il mio allenatore, se lo ritiene opportuno, ha tutto il diritto di sfruttare. Certo, in tutto il Mondiale, mi piacerebbe giocare almeno un quarto d’ora da attaccante. Sarebbe una soddisfazione personale”.

Blatter è intransigente, e l’unica risposta possibile è disegnare e indossare divise ancora più appariscenti, con improbabili accostamenti di rosa fluo, giallo e verde , che lo rendono riconoscibile a distanza siderale.


Se in quanto a colori, Campos fa di tutto per distinguersi, nelle foto di squadra cerca in ogni modo di nascondere la sua bassa statura: Jorge si mette in piedi sopra il pallone, in seconda fila, così da guadagnare una ventina di centimetri e non sembrare “diverso”. In fondo, la vita di Campos si può riassumere in questo contrasto: un disperato bisogno di essere come gli altri, senza perdere un briciolo della propria personalità. La necessità di una maglietta colorata per distinguersi in porta, tenendo sotto una maglia uguale agli altri.

Una figura mitologica, un po’ Arlecchino e un po’ Clark Kent: la solitudine del numero uno e la gloria della punta, invertendo le magliette. Sì, perché Jorge Campos – quando Blatter non lo vieta – gioca come arquero con il numero 9 e come attaccante con il numero 1. Sovvertendo ogni logica europea, per cui l’attaccante è il primo difensore, Campos sembra volerci dire che il portiere è il primo attaccante: perché “Mexico always attacks. That’s what Mexico is”.

Del resto, in un Paese che ha istituzionalizzato perfino la rivoluzione, cosa sarà mai sovvertire ruoli e colori in un campo da calcio?

Dopo USA ’94, La fama di Jorge Campos cresce a dismisura: l’anno successivo è protagonista di uno spot della Nike destinato a fare epoca. Assieme a Cantona, Rui Costa e Maldini sfida i demoni nella più memorabile pubblicità sportiva che si ricordi, Good vs Evil. Non bastasse, perfino Capitan Tsubasa – il nostro Holly e Benji, gli rende omaggio con il personaggio di Ricardo Espadas, portiere goleador che segna alla nazionale giapponese prima dell’inevitabile sconfitta dei messicani.

Ex surfer, portiere attaccante, icona del calcio mondiale: inevitabile passare ai Los Angeles Galaxy, nella patria dello show business. Una parentesi di due anni, nei quali Campos non segna e non si diverte quanto vorrebbe: dietro le copertine patinate, non c’è il mondo disordinato e passionale dei gringos. Tanto vale tornare a Città del Messico, e alternare porta e attacco, Pumas e Cruz Azul, gol fatti e gol subiti. Concedendosi anche un gol in sforbiciata con la maglia dell’Atlante.

Ai Mondiali del 1998 Blatter gli vieta di indossare divise sgargianti: Campos si presenta in campo con una maglia tutta bianca quando i compagni vestono verde e viceversa. In Confederations Cup l’anno seguente avrà la sua rivincita: un improbabile completo giallo viola e la vittoria della Coppa insieme a Rafa Márquez e Blanco. A chi gli domanda cosa ne pensa dei divieti e delle polemiche attorno alle sue magliette, Jorge Campos risponde serafico: “Che m’importa? A fine partita c’è sempre qualcuno che vuole la mia maglia.“

Jorge Campos si ritira nel 2004. Oggi è un signore di cinquant’anni, che vive l’eterna estate di Acapulco; quando si siede sulla spiaggia e vede quelle coloratissime tavole da surf, ripensa alle magliette con cui solcava i campi da calcio. Diverso dai suoi compagni, ma solo a prima vista; il Messico è come una grande onda e i surfer, in fondo, condividono tutti lo stesso amore.»
(Alessandro Bezzi)
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11/06/2016 13:16
 
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morto keshi...gli ex nigeriani stanno morendo tutti...
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12/06/2016 01:07
 
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Re:
lucaDM82, 11/06/2016 13.16:

morto keshi...gli ex nigeriani stanno morendo tutti...




e oggi è scomparso pure Amodu che aveva sostituito Keshi sulla panchina della nazionale nigeriana 2 anni fa prima di lasciare il posto a Oliseh.
[SM=g27993]
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Fossi oliseh toccherei ferro
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Asprilla presenta nuovi linea di profilattici: è arrivato il PreservaTino [SM=g7557]

Misure extra large ..Valderrama tra i testimonial [SM=x2478856]
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Era una squadra molto sobria quella Colombia.

Ammazza ho visto le foto, Tino pare Kermit la rana dei Muppets
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Sono la rovina della Roma


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Morto carlos alberto che ci segno' al mondiale del 70 (gran gol tra l'altro).
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Tim Weise intanto furoreggia col wrestling.

Se chiama THE MACHINE
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Addio Prodan, ex Messina: muore a 44 anni guardando la tv
Il romeno ha giocato anche per Steaua Bucarest e Glasgow Rangers, partecipando per 3 anni alla Champions e, con la sua nazionale, al Mondiale ’94 e a Euro ’96

[SM=g27991]
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12/01/2017 17:37
 
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Addio a Van der Elst, leggenda dell'Anderlecht: aveva 62 anni

Una bandiera per l'Anderlecht con cui vince 2 campionati, Coppa delle Coppe e 2 Supercoppe Uefa. Con la Nazionale è finalista agli Europei italiani del 1980

È stato un simbolo del Belgio. Un punto fermo della sua nazionale protagonista del calcio europeo tra gli Anni 70 e 80 e una vera leggenda per il suo club: l'Anderlecht. Francois Van der Elst è deceduto ieri, 11 gennaio, all'ospedale di Alst per arresto cardiaco. Aveva 62 anni.
ALA COL FIUTO DEL GOL — Classe 1954, Van der Elst, un'ala col fiuto del gol (più di 100 in carriera), fu acquistato nel 1969 dall'Anderlecht. E con la squadra di Bruxelles nel 1976 si aggiudica la Coppa delle Coppe segnando anche una doppietta nella finale vinta contro il West Ham per 4-2. Sempre in quell'anno si assicura il titolo di capocannoniere della Jupiler League con 21 gol. Ma non solo. Con l'Anderlecht vince due campionati belgi (1971-1972 e 1973-1974), quattro coppe nazionali (1971-1972, 1972-1973, 1974-1975, 1975-1976) e due Supercoppe Uefa (1976, 1978).
LO SBARCO NEGLI STATES — Nel 1980, Van der Elst sbarca negli States per giocare con i New York Cosmos di Beckenbauer, Chinaglia e Pelé, conquistando il Campionato Nasl. Dopo una stagione però torna torna in Europa, al West Ham per 400.000 dollari. Chiude la carriera in Belgio, nel Lokeren.
NAZIONALE — Con la maglia della nazionale belga conta 44 presenze e 14 gol. Nel 1980, con la squadra allenata da Guy Thys, si piazza al secondo posto agli Europei 1980 giocati in Italia. Quel gruppo poteva contare su stelle di livello assoluto, oltre a Van der Elst, il portiere Pfaff, il difensore Gerets, il centrale e capitano Cools, e il centrocampista Ceulemans. Nel 1982 gioca anche il Mundial, vinto dagli azzurri del c.t. Bearzot.

(gazzetta.it)

Mi dispiace, quel Belgio era una signora squadra..pure piu' forte forse di quella che arrivò quarta ai Mondiali del 1986.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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12/01/2017 18:44
 
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Un cimitero questo topic [SM=g27995]
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08/05/2017 22:06
 
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Morto d'infarto Ehiogu...poraccio...44anni..
..ricordi di fifa anni 90...
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15/05/2017 15:38
 
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Dirk Kuyt, 37 anni, da capitano con una tripletta mette la firma sul titolo vinto dal Feyenoord dopo 18 anni

[SM=g10633]
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Gran calciatore
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se ne parlava per la Roma di Spalletti, o sbaglio?
magari ce fosse cascato!
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15/05/2017 19:25
 
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Jandi svelace Sto segreto di fatima come si pronuncia kuyt? Negli anni sono nate varie leggende
[Modificato da lucolas999 15/05/2017 19:27]
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