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NBA

Ultimo Aggiornamento: 25/04/2024 17:48
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18/06/2010 11:48
 
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Nba, Lakers ancora campioni
Celtics battuti 83-79 in gara 7




ROMA (18 giugno) – I Los Angeles Lakers restano sul tetto della pallacanestro mondiale, l’Nba. Allo Staples Center è stata scritta una nuova pagina nella sfida storica contro i rivali di sempre, i commoventi Boston Celtics, non da un uomo solo al comando, Kobe Bryant (23 punti con 6/30 al tiro), ma da una squadra intera guidata in panchina dal numero uno assoluto, Phil Jackson (11 titoli Nba). È il sedicesimo anello a finire nella ricca bacheca Lakers, certamente uno dei più sofferti: vincere dopo sette gare per 83-79 contro questi Celtics tirando con il 32% da2, il 20% da3 e il 67% dai liberi è un’impresa quasi mistica.

La redenzione del cattivo ragazzo Ron Artest (20 punti, 5 recuperi), il talento esplosivo di Pau Gasol (19 punti, 18 rimbalzi di cui 9 offensivi), la chiave tattica Lamar Odom (+13 di plus/minus con lui in campo), la tripla ancora una volta decisiva dell’intramontabile Derek Fisher e i due tiri liberi di Vujacic regalano a Bryant, annullato dalla difesa Celtics e dalla pressione mentale della posta in palio, il quinto anello a un passo dai sei di Michael Jordan. Doc Rivers non può rimproverare nulla ai propri Celtics, che giocano un basket stellare frutto di un’intensità difensiva unica, di una circolazione di palla fantastica e della regia di Rajon Rondo (14 punti, 10 assist, 8 rimbalzi), ormai consacrato stella assoluta dell’Nba. Il terzetto d’assi Garnett-Allen-Pierce chiude, senza doppiare il titolo 2008, un ciclo che rende onore alla storia della franchigia con il trifoglio sul cuore. Una squadra sempre unita, pronta a vincere e a perdere le partite insieme.

Allo Staples Center non è serata per gli esteti, per le magie da video-tape: l’intensità gettata sul parquet è selvaggia, una concretezza coinvolgente da narrare con la lotta ai rimbalzi (chiave di volta della partita) e nei tuffi per recuperare un pallone. Il verbo di Jackson: «Durante i time-out, quando la palla non voleva entrare (22/72 al tiro per i gialloviola al 36’, ndr), ho detto ai miei semplicemente: «Continuate a prendere rimbalzi». A metà del terzo periodo con i Celtics sul +13, 49-36, e in pieno controllo emotivo della partita Jackson toglie lo statico Bynum per il playmaker aggiunto Odom ed è la svolta Lakers con la rimonta e il sorpasso firmati dal trio Fisher-Artest-Bryant, 64-68. Nell’ultimo minuto di gara, la centododicesima partita dell’anno per le due squadre, l’indomito spirito Celtics spinge Wallace, Allen e Rondo (canestro impossibile) a infilare tre triple che tengono con il fiato sospeso lo Staples Center (19mila spettatori e il solito parterre hollywoodiano), 79-81 con 11” da giocare. Va in lunetta Sasha Vujacic, scoperto da Bogdan Tanjevic e svezzato alla Snaidero Udine, la mano è ferma con 2/2 e l’ultima preghiera di Boston si spegne lontano dal ferro.

Kobe Bryant riceve il titolo di miglior giocatore delle Finals dalle mani di Bill Russell, leggendaria bandiera dei Celtics dominatori. Il successo più importante del numero 24 gialloviola è di aver trovato nel momento più difficile dei compagni di strada in grado di fargli scalare l’ultimo chilometro prima della vetta ambita. Compagni che hanno ripagato la sua ennesima stagione da trascinatore.

Ci sono poche parole per descrivere l’impatto decisivo della roulette russa Ron Artest, mattatore a sorpresa di quest’annata. Poi sul tetto del mondo c’è un europeo come lo spagnolo Pau Gasol, miscela esplosiva di talento ed intensità agonistica nella notte più importante. Dopo il back-to-back (due anelli consecutivi) la franchigia californiana già si proietta verso il three peat (tre anelli consecutivi), ma ora è il momento dei festeggiamenti con i classici cappelli e t-shirt celebrative. Dal parquet riecheggiano le parole di David Stern, gran cerimoniere dell’Nba contemporanea, che ringrazia tutti per lo show, sprizzano i larghi sorrisi di Magic Johnson che incorona Bryant ed è un piacere speciale vedere un altro grande Laker come Kareem Abdul Jabbar, impegnato a vincere la partita più complicata della propria vita.

La partita. Christina Aguilera apre la notte senza ritorno intonando “The Star Spangled Banner” (l’inno nazionale Usa, ndr) in uno Staples Center assorto in religioso silenzio. Phil Jackson nello spogliatoio sulla lavagna disegna un rebus facile, facile: “One game to the title (parola rappresentato dall’anello) e poi scherza “ricordate che domani non c’è allenamento”. Doc Rivers cita a braccio l’antenato eccellente Red Auerbach: “Get the ball, don’t give up the ball” e le parole dell’infortunato Kendrick Perkins. Il coach di Boston sa che l’impresa è ardua: nell’Nba solo tre squadre su sedici sono riuscite nell’impresa di vincere gara sette in trasferta. Alla palla a due stupisce subito la timidezza di Kobe Bryant, che a differenza di gara sei non aggredisce la partita. I Lakers litigano con il ferro, ma conquistano ben 6 extra-possessi grazie ai rimbalzi offensivi. Fisher spezza l’incantesimo con una tripla, mentre Rasheed Wallace sostituto in quintetto di Perkins sfida Gasol con 4 punti consecutivi. La mente dei Celtics Rajon Rondo sale di tono in transizione e innesca meravigliosamente i compagni per il 14-23 del 12’, 13-3 di break negli ultimi 4’ del periodo. La difesa bianco verde costringe Los Angeles a un emblematico 6/27 dal campo. Stecca il primo violino Bryant, allora a far suonare l’orchestra ci pensa l’energia rumorosa di Ron Artest con 12 punti per il -2, 23-25. Ray Allen paga lo sforzo difensivo su Kobe nella metà campo offensiva con 1/9 al tiro. Il tassametro dei rimbalzi per i padroni di casa corre a 15 e grazie a questa voce statistica al 24’ si è sotto solo 34-40.

Al rientro dal riposo lungo Bryant prosegue a litigare con il canestro, 3/17 per lui e 14/54 complessivo il team, mentre Rondo detta legge e affonda il rivale diretto Fisher. Boston scappa fino al +13, 36-49. Phil Jackson ne ha viste abbastanza e chiama time-out: fuori Bynum dentro Odom. Si apre l’area per Gasol, Artest e lo stesso Bryant con i Celtics che iniziano a produrre troppe palle perse. L’intensità dei gialloviola si tramuta in tanti viaggi in lunetta. Fisher, dopo una parentesi nello spogliatoio per una botta al ginocchio, mette il siluro del 64-64 a 6’ dalla sirena finale. L’altra tripla decisiva la infila Artest con tanto di baci al pubblico, 79-73. L’ultimo arrembaggio bianco verde è reso vano dai liberi di Gasol e Vujacic per il 83-79 finale.

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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