Senza Padroni Quindi Romanisti

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    giove(R)
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    00 26/07/2017 15:57
    Re:
    Sound72, 24/07/2017 12.07:

    Addio a Valdir Peres [SM=g27992]


    Considerato uno dei 2 punti deboli del Brasile nel 1982.
    Ma pagò piu' che altro la papera contro l'URSS alla prima partita, una cosa tipo Dida contro il Leeds.
    Il vero punto debole era Serginho che gioco' titolare non si sa a quale titolo e probabilmente solo perché Careca, giovane ma già fortissimo, si era fatto male prima del Mondiale.




    quoto e l'unica papera di Italia-Brasile la fece Zoff su Socrates [SM=g11491]


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    giove(R)
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    00 20/09/2017 23:34
    Rio Ferdinand si dà alla boxe [SM=g27991]

    www.corriere.it/sport/cards/rio-ferdinand-si-da-boxe-se-campione-cambia-sport-vita-jordan-cantona/rio-ferdinand-calcio-boxe_principa...


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    Sound72
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    00 11/12/2017 17:39
    Addio a Benjamin Massing: sua l’entrata più dura della storia del Mondiale


    È scomparso improvvisamente ad Edéa, in Camerun, all’età di 55 anni Benjamin Massing, ex difensore della nazionale dei Leoni Indomabili, con la quale ha partecipato al Mondiale del 1990 in Italia, nel quale era sceso in campo per due volte nella squadra spintasi fino ai quarti di finale, dove fu eliminata dall’Inghilterra.
    Non rese note le cause del decesso dell’ex giocatore, passato alla storia per un fallo su Claudio Caniggia nella partita inaugurale, vinta a sorpresa 1-0 dal Camerun contro l’Argentina grazie a un gol di François Omam-Biyik.
    A causa di quel fallo, giudicato il più duro della storia del Mondiale, Massing fu espulso a due minuti dalla fine e squalificato per tre giornate. Tornato in campo proprio contro l’Inghilterra, fu lui a provocare i due rigori concessi ai Tre Leoni che fissarono il 3-2 definitivo ai supplementari


    www.itasportpress.it/calcio/addio-a-massing-sua-lentrata-piu-dura-della-storia-del-mondiale/?intcmp=massi...

    Quell'entrata su Caniggia [SM=g27991] ..me stavo pure a esaltà per quel Camerun che faceva legna su ogni pallone dopo il gol di Oman Biyik e la papera de Pumpido..




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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    lucaDM82
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    00 11/12/2017 22:53
    Che simpatia quel camerun.
    Mi ricordo quel match.
    Lui non lo ricordo cmq che brutto, sono scomparsi diversi giocatori delle squadre africane anni 90,pure delle nigeria...
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    Giacomo(fu Giacomo)
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    00 16/02/2018 10:15
    Intervista di Pastore del Romanista a un fenomeno vero:

    Zico, vedrà la partita?
    «Purtroppo no. In Brasile non vengono trasmesse tutte le gare del campionato italiano».

    Segue le due squadre?
    «Mi è capitato di vedere la Roma qualche volta, in Champions. L’Udinese devono raccontarmela».

    Ci racconti lei il suo Udinese-Roma allora.
    «Sono rimasto in Italia solo due anni, non ne ho giocati tanti, ma quello del 1983 fu indimenticabile».

    Segnò proprio lei il gol decisivo.
    «Una grandissima gioia. Battere la squadra migliore d’Italia non capita tutti i giorni».

    Per la presenza del suo amico Falcão?
    «Paulo era un giocatore fantastico, ma i giallorossi avevano tanti altri campioni: Cerezo, Pruzzo, Conti. Tutti. Squadra straordinaria».

    Avrebbe potuto giocarci anche lei.
    «Qualche anno prima…».

    Ma…?
    «Il Flamengo non volle cedermi».

    Questione di soldi?
    «No, di soldi nemmeno si arrivò a parlare. Il mio presidente non volle neanche sedersi a discuterne».

    Mentre lei parlò con il suo mancato presidente, Dino Viola.
    «Vero. Io e Junior avevamo fatto scalo a Roma e un giornalista brasiliano che era mio amico e conosceva anche il presidente Viola fece da tramite per farci incontrare. Fui invitato a pranzo a casa sua».

    Cercò di convincerla?
    «Non ce n’era bisogno, sarei venuto volentieri. Ma all’epoca non si poteva, erano i club proprietari dei cartellini a decidere».

    Poi prese Falcão. Come era e com’è considerato in Brasile?
    «Come in Italia: il Re di Roma».

    A parte lui, con chi identifica la Roma?
    «Con Totti. È la storia del club».

    Falcão la chiamò all’epoca?
    «Sì, qualche tempo dopo. Aveva saputo che sarei venuto in Italia e pensava che avessi firmato con la Juventus».

    Forse voleva scongiurare l’ipotesi. Invece si trasferì a Udine.
    «Avevo trascorso dodici anni con la stessa squadra e le leggi brasiliane dell’epoca mi consentivano di essere ceduto dopo quel periodo».

    Perché proprio in Friuli?
    «Era molto diverso il calcio di allora. A chi lo vive oggi può sembrare assurdo, ma la volontà di noi giocatori contava davvero poco».

    Cos’è Udine per lei?
    «È un pezzo del mio cuore, sono molto legato alla città, alla squadra, ai tifosi. Mi hanno dedicato un’accoglienza speciale e poi sono sempre stati splendidi con me, sarò eternamente grato ai friulani».

    Ci torna qualche volta?
    «L’anno scorso l’ultima volta. Ero a Roma per commentare una gara di Champions per una tv brasiliana e sono andato anche a Udine».

    Rispetto agli anni in cui lei era calciatore, il calcio è cambiato più in Brasile o in Italia?
    «In Brasile. Siamo diventati più attenti all’aspetto tattico. Ma a scapito della tecnica».

    La Seleção del 1982 è stata invece il trionfo della tecnica. Eravate il centrocampo più forte del mondo?
    «Io, Falcão, Cerezo, Socrates: non eravamo male. Junior faceva il terzino. Ma non avemmo la fortuna di provare in gruppo prima, ci trovammo al Mondiale. E senza nessuno che potesse giocare sull’ala. Grandissimi calciatori insieme non sempre fanno una squadra».

    È vero che secondo lei la vittoria dell’Italia al Mundial ha peggiorato il calcio?
    «Si diceva in Brasile, perché gli azzurri non giocavano bene. Ma la vittoria con l’Argentina li sbloccò e con noi meritarono di vincere».

    Meglio giocare bene o vincere?
    «Meglio jogare bonito (dice proprio così, ndr) e vincere».

    Peggio la finale del 1950 o Brasile-Germania del 2014?
    «L’1-7. La finale è una partita in cui tutto può accadere, ma quel risultato è stato spaventoso».

    Può riscattarsi nel prossimo Mondiale con Neymar?
    «Non solo con lui, con tutta la squadra».

    Chi vince in Russia?
    «Se avessi doti da veggente, giocherei alla lotteria».

    Meglio Pelè o Maradona?
    «Pelè».

    Messi o Cristiano Ronaldo?
    «Messi. Ma sarebbe bello avere tutti questi quattro nella mia squadra».

    Il giocatore più forte che ha visto giocare?
    «Pelè».

    E il migliore con cui ha giocato?
    «Sempre Pelè».

    Ha un rimpianto in carriera?
    «Nessuno. Mi lamentavo di non aver partecipato alle Olimpiadi, ma Dio mi ha dato tantissimo. Sono felice così».
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    Sound72
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    00 16/02/2018 11:49
    O Galinho..ce l'aveva la cresta spelacchiata da galletto.

    Non solidissimo fisicamente ma fortissimo, non si meritava di uscire al Mondiale del 1986 sbagliando il rigore contro la Francia.
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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    Sound72
    Post: 29.524
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    00 27/02/2018 13:26
    Sito interessante con storie di "miti, matti e meteore"

    futbolquepasion.com/

    Questa di Buonanotte non me la ricordavo.
    In realtà a malapena mi ricordavo di lui dopo inizio folgorante..a 28 anni è finito a svernare in Cile [SM=g27991] .

    STORIE MALEDETTE : DIEGO ” El Nano” BUONANOTTE

    Sono passati quasi 8 anni dalla notte maledetta che cambiò la vita di Diego Buonanotte, allora ventunenne star dei “Millionarios” del River Plate.

    E’ il giorno di S. Stefano del 2009, sono le 6.30 del mattino e Diego sta viaggiando con l’automobile del padre (una Peugeot 307) insieme ai suoi tre grandi amici d’infanzia, quelli a cui sei legato a doppio filo e che neanche la fama, le copertine, il denaro e i trofei possono allontanare dalla tua vita.

    Si è appena conclusa la stagione calcistica argentina nella quale Diego, pur non avendo fatto gli autentici sfracelli della stagione precedente quando fu determinante nella conquista del titolo del River (vedere l’articolo e il video “River Plate: le immagini di un trionfo “ nel Blog) ha confermato in pieno tutte le attese riposte su di lui non solo dal River ma da tutta l’Argentina.

    Per i 4 ragazzi c’è in programma una piccola vacanza in Brasile e si stanno dirigendo all’aeroporto di Buenos Aires dopo una serata tranquilla tra amici, dove hanno giocato a paddle tennis e a calcetto prima di chiudere la serata in Pub.

    Sono nei pressi di Santa Fè (ad Arribenos per la precisione) e stanno viaggiando sotto un diluvio.

    Improvvisamente Diego, che è alla guida, perde il controllo dell’automezzo, sbanda e finisce la sua corsa contro un albero sul ciglio della strada.

    I suoi 3 amici muoiono tutti sul colpo.

    Per il talentuoso giocatore del River “solo” fratture (all’omero e alla clavicola) e una grave lesione al polmone che per qualche giorno terrà in apprensione staff medico, famigliari, amici e tutti i tifosi del popolo biancorosso del Monumental.

    Diego per fortuna si riprende velocemente.

    La botta è tremenda ma i medici dicono che “El enano” (visti i suoi 160 cm scarsi di altezza) tornerà sui campi di calcio, anche se i tempi saranno lunghi.

    A questo punto però si scatena il solito stupido, volgare “fuoco mediatico” di giornali e televisioni.

    Per tutti o quasi, Buonanotte è il responsabile e i motivi dell’incidente sono quelli tradizionali per i quali crocifiggere Diego in quattro e quattrotto; gli eccessi classici di ragazzotti viziati e con troppi soldi in tasca.

    Giustizialisti quasi tutti, garantisti pochi, se non quelli che conoscono bene Diego, ragazzo tranquillissimo e posato senza nessuno dei “vizi” classici di tanti ragazzi che alla sua età incontrano successo e fama.

    In realtà dopo pochi giorni arrivano i risultati delle analisi effettuate immediatamente dopo l’incidente; droga e alcool non c’entrano affatto.

    Il processo per omicidio colposo si chiude due anni dopo dove non solo si assolve completamente Buonanotte per qualsiasi tipo di negligenza ma dai riscontri effettuati dai periti la causa è da far risalire al classico “acquaplaning” causa purtroppo di tanti altri incidenti.

    E non solo.

    Arriva un altro riscontro probabilmente decisivo; Diego era l’unico in quella notte maledetta ad avere le cinture di sicurezza allacciate.

    I problemi però non si risolvono con una semplice sentenza che assolve l’uomo; l’anima di Diego è ferita per sempre e ancora oggi, a sette anni abbondanti dall’incidente è seguito in terapia da uno staff di psicologi.

    Meglio non approfondire troppo l’accoglienza ricevuta da Diego in praticamente tutti gli stadi d’Argentina (gli idioti nascono a tutte le latitudini, non serve stupirsi o scandalizzarsi) che lo accolgono con insulti di ogni tipo dove “asesino” è solo uno dei più in voga.

    Il River lo blinda con un lungo contratto (fino al 2015) ma per lui in Argentina diventa impossibile giocare.

    Arriva per lui un trasferimento in Spagna al Malaga, allora una delle squadre di punta del campionato spagnolo ma Diego non mantiene fede alle promesse di poche stagioni prima ai suoi esordi nella Primera argentina.

    Per lui qualche buona prestazione ma mai un posto da titolare e nella ventina di presenze in due stagioni due soli gol, di cui uno in Champions contro lo Zenit di Spalletti.

    Due anni dopo Diego approda al Granada ma neppure qua si riesce a rivedere il giocatore che aveva entusiasmato gli hinchas dei Millionarios.

    Poi arriva per Diego il prestito al Pachuca nel campionato messicano dove a sprazzi mostra ancora qualcuna delle caratteristiche che lo hanno messo in evidenza, come il dribbling secco e un sinistro velenosissimo, ma, anche se Diego ha in fondo ancora solo 28 anni, pare che il grande calcio sia per lui ormai solo una chimera e i tanti Clubs che nel passato si sono avvicinati a lui (anche Milan, Napoli e Palermo si erano interessati in passato al talentino argentino) paiono ormai consapevoli che ben difficilmente “El enano” tornerà ad essere quello di prima.

    Un breve rientro in Argentina al Quilmes (dove segnerà, senza esultare ovviamente, proprio al “suo” River Plate) a seguire un salto nel campionato greco con l’AEK di Atene dove gioca ad un buonissimo livello e poi l’ultimo trasferimento, in Cile all’Universidad Catolica, dove pare stia recuperando gran parte del suo talento, con grandi prestazioni e tantissimi gol e dove addirittura arriva ad essere consacrato il “Miglior calciatore del campionato” nella scorsa stagione.

    Chissà … forse la parabola di Diego non si è ancora conclusa e magari risentiremo ancora parlare di lui ad alti livelli e in campionati più importanti.

    Intanto però nella vita di Diego è arrivata la bellissima Jenny Ferre, sua moglie ormai da quasi tre anni e insieme a lei Diego potrà con ogni probabilità ritrovare quella serenità e quella gioia di vivere che un ragazzo della sua età DEVE avere … e lasciarsi così alle spalle definitivamente quella terribile notte di S.Stefano di sette anni fa.

    Buona fortuna Diego.

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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    Sound72
    Post: 29.524
    Città: ROMA
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    00 28/02/2018 14:09
    La storia di Enrique Castro detto Quini, ex attaccante del Barcelona e della Spagna negli anni 80 scomparso ieri per un infarto.

    Io me lo ricordavo soprattutto per la storia assurda del rapimento emersa nel periodo dei Mondiali di calcio del 1982 xche si giocarono in Spagna.
    Quini era "quello che era stato rapito"..in realtà era anche un attaccante piuttosto prolifico cresciuto all'ombra mediatica del piu' famoso Santillana del Real.


    Il centravanti è stato sequestrato verso sera

    Domenica primo marzo 1981. Enrique Castro Gonzaléz, meglio conosciuto come Quini, ha da poco concluso e vinto la partita interna contro l’Hercules. Ora è atteso all’aeroporto dalla famiglia. Sono le 21:00 quando il bomber, che sta guidando il Barcellona verso la vetta della Liga, scompare. È stato, infatti, rapito dal “Battaglione Catalano Spagnolo”, un gruppo di estrema destra. In realtà, come si scoprirà più tardi, sono semplici balordi. Ecco una vicenda clamorosa che sa di romanzo giallo.
    È il 6° goleador nella storia della Liga con 219 reti. 154 con il Barcellona. Le altre 165 con l’amato Real Sporting di Gijón, club di cui dirige ora l’area tecnica. Nel 1970 e nel 1977 è stato il miglior cecchino nella Segunda División, la nostra Serie B. Nel suo palmarés ci sono una Coppa delle Coppe, una Coppa della Liga de una Copa del Rey vinte in blaugrana. Oltre a 35 presenze e 5 reti in Nazionale. Con cui ha vissuto le pallide partecipazioni all’Europeo del 1980 in Italia (con goal rifilato al Belgio), al Mondiale d’Argentina 1978 ed a quello casalingo del 1982.
    Eppure Enrique Castro Gonzaléz, sessantuno anni, alias Quini o Quinigol, a livello internazionale, è ricordato soprattutto per il rapimento patito nel marzo del 1981. Un anno violento. Ovunque. Lo scandalo della P2 e la tragica fine di Alfredino Rampi in un pozzo di Vermicino, gli attentati a Ronald Reagan e a Giovanni Paolo II, quello mortale ad Anwar el Sadat ne sono il sinistro ricordo.
    Anche in Spagna, dove la dittatura franchista è terminata da un lustro. Ma le (fragili) istituzioni democratiche devono guardarsi dai nostalgici del regime. A Madrid, il 23 febbraio, Re Juan Carlos di Borbone e l’esercito hanno stroncato il golpe di un reparto della Guardia Civil agli ordini del tenente colonnello Antonio Tejero Molina. Ed il 28 febbraio, sempre nella capitale, i terroristi baschi dell’Eta hanno liberato (dopo otto giorni) i consoli di Austria, Uruguay ed El Salvador.

    La Liga 1980/81, però, continua. Dopo 26 turni il Barcellona è a due punti dall’Atlético Madrid, in testa da 19 gare. E nella giornata seguente c’è lo scontro diretto. Decisivo per lo scudetto.
    Uno scudetto che manca ai blaugrana da sette stagioni. Troppe, se rapportate ai 6 titoli nazionali vinti nel frattempo dal Real Madrid. Tant’è che il presidentissimo Josep Lluís Nunes nel maggio 1979 ha riportato Helenio Herrera in Catalogna. Strappandolo alla B italiana ed al Rimini. È lui, il Mago, il nuovo consulente tecnico. Il primo rinforzo di qualità è stato il danese Allan Simonsen, attaccante esterno veloce, agile e con un ottimo fiuto del goal. Qualità che gli sono valse il Pallone d’Oro 1977. Ma che non sono bastate.
    Tant’è che Nunes ha voluto il ritorno in panchina di Herrera, ormai sessantanovenne, al posto di Joaquim Rifé Climent, per centrare il quarto posto ed accesso alla Coppa Uefa. La campagna acquisti dell’estate 1980 è stata tra le più dispendiose. Herrera è di nuovo dietro le quinte. La panchina è stata affidata all’ungherese László Kubala. In regia c’è il tedesco Bernd Schuster, rivelatosi giovanissimo con il Colonia. Per puntellare la difesa, è giunto, dall’Athletic Bilbao, José Ramón Alexanko, attuale tecnico della “cantera” blaugrana.
    Quini è arrivato per guidare l’attacco, al quale l’austriaco Hans Krankl, spesso infortunato, non è più riuscito a dare certezze. È stato scelto per prendere a spallate le difese avversarie. L’asturiano di Oviedo si è meritato a suon di reti il soprannome di Brujo (poeta o stregone). È già stato per tre volte il “Pichichi”: nel 1974 con 20 centri, nel 1976 con 21, nonostante la retrocessione dello Sporting Gijón, e nel 1979/80 con 24. Nonché l’artefice delle fortune dei “Rojiblancos”, come il secondo posto nella Liga 1979, tutt’ora il miglior piazzamento della storia.

    Insomma il Brujo è l’idolo dello stadio El Molinón. E lo Sporting si è rassegnato a cederlo solo per 100 milioni di pesetas (circa 1 miliardo e 200 milioni di lire nel 1981, ovvero 2 milioni e 270.000 euro attuali secondo l’indice Istat). Soldi ben spesi. Quini ha continuato a segnare. Di destro. Di sinistro. Di testa. In dribbling. In acrobazia. Si è confermato il Poeta (o Stregone) delle aree di rigore. Ma le sue prodezze, 16 sino alla sfida con I’Hercules di Alicante, non hanno evitato l’ennesimo cambio tecnico. Perché dopo l’avvio stentato, Nunes ha deciso di congedare Kubala pregando per la seconda volta il Mago di tornare in panchina. Herrera e Quini si sono subito intesi. Sono i leader di una squadra che a fine inverno sta per coronare l’inseguimento all’Atlético Madrid capolista.
    È domenica 1° marzo 1981. Barcellona e Hercules si affrontano in uno stadio stracolmo. Che assiste a un 6-0 da sballo. Il Poeta realizza due goal, il secondo e il terzo. Rafforza il primato tra i cannonieri (18). E lancia la sfida ai “Colchoneros”, prossimi avversari, che sono a più due.
    Sono le 19:30 quando Quini lascia il Nou Camp. L’ultimo a parlargli è il portiere di riserva, Amador. Alle 21:30 deve essere all’aeroporto. Lo attendono la moglie Maria las Nieves Canaras ed i due figli, Lorena ed Enrique, in arrivo da Oviedo per vivere con lui la settimana che porta al match del Vicente Calderón.
    Quini raggiunge casa. Telefona al suocero: sarà puntuale all’appuntamento. Non lo sarà. Un vicino di casa lo vede alle 21:00 con tre sconosciuti. Poi Quini scompare. All’ora di pranzo di lunedì la sua Ford Granada, con sportelli aperti e chiavi nel cruscotto, viene ritrovata a 200 metri da casa. I rapitori si fanno vivi solo alle 5:00 della sera.
    Sono i sedicenti membri del “Battaglione Catalano Spagnolo”, gruppo di estrema destra, e scrivono in un comunicato che il giocatore sarà liberato solo l’11 marzo. Dopo la sfida contro l’Atlético: «La squadra di Herrera è separatista e non vogliamo che vinca lo scudetto».
    Due ore dopo, un membro del movimento “Pre” rivendica l’azione telefonando a un giornalista del quotidiano “La Vanguardia”. Chiede al Barcellona 350 milioni di pesetas (4 miliardi di lire, 7 milioni e mezzo di euro attuali). Nella notte seguente, il Brujo chiama la moglie: «Sto bene, state calmi».
    L’Atlético Madrid si offre di rinviare la partita. Herrera vuole giocarla «per dedicargli la vittoria. Noi siamo in gran forma. Loro tremendamente giù».
    Il club blaugrana avvia una trattativa segreta per il riscatto. Ma è più concreta l’ipotesi, poi rivelatasi esatta, che i colpevoli siano dei criminali comuni. Altro che “Eta” o “Pre” o “Bcs”.
    È la domenica della grande sfida. Che, ovviamente, si gioca. Quini non c’è. E nemmeno il Barça, battuto 1-0. Cede poi al Salamanca (2-1) e non supera il Saragozza (0-0). Addio sogni di gloria.
    I giorni passano. Il 25 marzo è un mercoledì. La Spagna vince 2-1 a Wembley contro l’Inghilterra. E interrompe un sortilegio cominciato il 15 maggio 1960. È una notte storica per il calcio iberico che si prepara ad ospitare il Mondiale. La festa è completata dalla liberazione di Quini. A Saragozza.
    I poliziotti arrestano subito uno dei tre (maldestri) sequestratori: quello che è con lui in un’officina meccanica. Al numero 13 della calle Geronimo Vicent. Decisive le intercettazioni telefoniche e la vigilanza sul conto bancario per versare il riscatto. Le foto di un Quini provato che abbraccia il presidente Nunes e la moglie Maria Nieves («La vera eroina di questo allucinante dramma», dice il marito) fanno il giro del mondo.
    Il giorno dopo il Brujo è in campo. Fa due goal nella partitella che precede il “Clasico” con il Real Madrid. Herrera però non lo rischia al Santiago Bernabéu. Anzi, chiede (invano) che si ripetano le tre gare precedenti. I “Blancos” di Vujadin Boškov, che di lì a poco faranno fuori l’Inter di Eugenio Bersellini nella semifinale della Coppa dei Campioni, stravincono: 3-0.
    Il Real piomba in zona scudetto con la Real Sociedad di San Sebastian. Mentre l’Atlético comincia a cedere e il Barcelona molla. Nonostante il ritorno di Quini, 35 giorni dopo il rapimento. Il 5 aprile gioca 10’ finali nel 2-1 in casa al Valladolid: «Chiedo scusa ai tifosi se ho giocato male», dice, «ma non ho potuto fare di più».
    La Liga termina il 26 aprile. Real Madrid e Real Sociedad sono a 45 punti. Un goal di José Maria Zamora a 27 secondi dal termine allo Sporting Gijón permette ai baschi di vincere lo scudetto per la miglior differenza reti negli scontri diretti (3-1 e 0-1). Il Barcellona è quinto. Dopo Valencia e Atlético Madrid. Si consola con il quarto titolo di “Pichichi” conquistato da Quini: 20 reti. due nelle ultime tre gare.
    C’è però la Copa del Rey. A Madrid, il 18 giugno nel catino del Vicente Calderón, Quini segna i primi due goal del 3-1 al “suo” Sporting. La stagione è salva per il Barcellona di Herrera, fuori al secondo turno dalla Coppa Uefa.
    La carriera del Brujo prosegue per 6 stagioni. Tre in blaugrana. Le ultime con i “Rojiblancos”. Nel 1982 si conferma “Pichichi” per la terza volta (26 goal) e firma il 2-1 che vale la Coppa Coppe contro lo Standard Liegi. Ma non convince il Commissario Tecnico José Santamaria. Che nel Mondiale di casa gli concede tre spezzoni. Quello iniziale solo contro la Germania Ovest. Un’amarezza, vissuta senza drammi. Comincia da lì la parabola discendente.
    Il sipario cala il 14 giugno 1987 nel Molinón: Sporting-Barça 1-0. Lascia a trentacinque anni dopo 448 gare nella Liga. È stato cinque volte “Pichichi”. Come Alfredo Di Stéfano e Hugo Sanchez. Solo Telmo Zarra ha fatto meglio. Ma negli anni quaranta.
    Eppure, se Quinigol è ricordato all’estero lo deve a quei 24 giorni di trent’anni fa. Il destino, a volte, sa essere crudele.


    ilpalloneracconta.blogspot.it/20 ... trato.html
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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    ShearerWHC
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    00 13/12/2018 21:31
    Su Netflix c'è un bellissimo documentario su Bobby Robson... Pochi altri personaggi hanno attraversato il calcio degli ultimi 40 anni lasciando così tante tracce, spesso poco visibili ma profonde (Mourinho e Guardiola sono sue creature)
    Poi si parla di uno che ha vinto in quattro paesi diversi coppe nazionali e non, gli è mancato l'acuto europeo ma erano tempi diversi, e l'unica corazzata da lui allenata (il Barcellona) decise di puntare su Van Gaal nonostante tre coppe in un anno
    ......
    "In my 23 years working in England there is not a person I would put an inch above Bobby Robson."
    Sir Alex Ferguson.
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    jandileida23
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    00 13/12/2018 23:52
    Qual è il titolo?
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    Sono la rovina della Roma


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    ShearerWHC
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    00 14/12/2018 14:35
    Re:
    jandileida23, 13/12/2018 23.52:

    Qual è il titolo?




    "Bobby Robson: More than a manager"

    A tratti anche toccante, specie quando sullo schermo c'è uno di quelli che avrebbero potuto essere e non sono mai stati, Gascoigne
    ......
    "In my 23 years working in England there is not a person I would put an inch above Bobby Robson."
    Sir Alex Ferguson.
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    jandileida23
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    00 14/12/2018 16:25
    Durante le prossime vacanze di Natale sedo moglie e figlio e me lo vedo. Grazie per la dritta.
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    Sono la rovina della Roma


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    Sound72
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    00 12/02/2019 11:05


    la parata del secolo su Pelé..RIP
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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    Giacomo(fu Giacomo)
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    00 17/02/2019 13:28
    Bella intervista a Robben poco prima del suo addio al Bayern e a proposito di Liverpool.

    www.theguardian.com/football/2019/feb/16/arjen-robben-liverpool-bayern-munich-champions-league...
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    Sound72
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    00 22/02/2019 18:35
    Attaccante imita belva feroce: il raccattapalle è terrorizzato

    La tipica esultanza di Bafetimbi Gomis dopo un gol ha spaventato un giovane raccattapalle. L'attaccante francese di origine senegalese dell'Al-Hilal, durante la sfida contro l'Al-Ittihad, valida per la massima serie del campionato saudita, si è inginocchiato sotto la curva occupata dai propri tifosi e ha mimato l'attacco di una pantera. Al termine della partita, per 'rimediare' al suo gesto, si è avvicinato al raccatapalle e gli ha regalato la sua maglia.
    Video: Ksa Sports

    www.lastampa.it/2019/02/22/sport/calcio-bEIauyNtJeQp1mIeLUFgEI/pag...

    ahaha davvero era terrorizzato
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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    lucaDM82
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    00 01/06/2019 13:17
    è morto Reyes, terribile [SM=g27993] [SM=g27993] [SM=g27993]
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    Sound72
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    00 13/08/2019 13:11
    Scomparso dopo lunga malattia José Brown nazionale argentino anni '80..segno' nella finalissima di Città del Messico del 1986 alla Germania Ovest l'unico gol in carriera con l'Albiceleste.
    Un record o quasi.

    Anche Bilardo non se la passa benissimo.
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    “La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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    lucaDM82
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    00 13/08/2019 21:21
    Uno dei nomi che ricordo dell'infanzia tra figurine e almanacchi.
    Mi spiace
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    ShearerWHC
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    00 17/10/2019 16:24
    Del trio d’attacco del Liverpool, forse Sadio Manè è il calciatore meno appariscente. Ma non per questo il meno importante. Il senegalese è riuscito in un vero e proprio miracolo, quello di non farsi mettere in ombra da due compagni di reparto come Salah e Firmino. In campo lo si nota molto, ma fuori difficilmente fa notizia. Forse la questione è che Manè è…meno glamour e meno social, non solo dei calciatori del Liverpool, ma in generale di tutti i suoi colleghi.

    LUSSO? NO, GRAZIE – Anzi, la maggior parte di quello che fa non finisce sui giornali, a meno che non ci sia qualcuno che lo ritrae in una foto, come quando lo hanno immortalato mentre aiutava a pulire una moschea a Liverpool. Già, perchè in fondo Manè è quanto di più lontano possa esistere rispetto allo stereotipo del calciatore. Niente lusso e tanto impegno sociale, come spiega nelle dichiarazioni a nsemwoha.com, riportate da Marca. ” Perchè dovrei volere dieci Ferrari, venti orologi di diamanti e due aerei? A cosa servono queste cose per il bene del mondo?”. Domande che probabilmente la maggior parte dei suoi colleghi non si pone.

    AIUTARE GLI ALTRI – Ma l’esperienza di vita ha segnato Manè. Che per questo, con i soldi che guadagna, preferisce aiutare chi è stato meno fortunato di lui, che nel calcio ha trovato una via di fuga dalla povertà. “Ho sofferto la fame, sono sopravvissuto a tempi difficili, ho giocato scalzo e non sono andato a scuola. E oggi, con quello che guadagno, posso aiutare gli altri”. Come? In tutte le maniere possibili. “Ho costruito scuole, uno stadio, abbiamo dato vestiti, scarpe e alimenti a persone in stato di estrema povertà. E poi dono 70 euro al mese a tutti gli abitanti di una zona molto povera del Senegal, per contribuire all’economia familiare”. Non proprio il calciatore che ti aspetti. Ma semplicemente, Sadio Manè.

    [SM=g10633] [SM=g10633] [SM=g10633]
    ......
    "In my 23 years working in England there is not a person I would put an inch above Bobby Robson."
    Sir Alex Ferguson.
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    Giacomo(fu Giacomo)
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    00 17/10/2019 18:35
    Ho visto una foto in cui c'erano insieme Giannini e Giordano, e ho scoperto con stupore che Giordano è più basso del Principe.
    Era decisamente basso, ecco.
    Giordano è uno che, pur cantando qualche volta il coro Di Bruno ce n'è uno, non sono mai riuscito a detestare. Gran tecnica, gran tiro, personaggio simpatico e me sa che è pure della Roma.
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