00 20/09/2011 15:26
sinceramente non conoscevo la zona " quartiere " Bastogi ed in effetti non èproprio un posticino tranquillo..


Residence Bastogi: un quartiere difficile
Due registi ci girano un documentario. Ma, uno a uno, "gli attori" finiscono dentro. Adesso la storia arriva su RaiTre. Perchè fuori qualcuno c'è: le donne.



Tempo fa, in agosto, nella città svuotata, due signori col pallino dei documentari andarono a sedersi sul muretto di un quartiere che a Roma gode di pessima reputazione. Qualcuno lo dipinge come un Bronx. Gli affibbiano i nomi più truci, ma il postaccio un nome tutto suo già c'è l'ha: gli è rimasto appiccicato quello della società che lo costruì nei primi anni 80: Bastogi. Su quel quartiere di Roma Nord, tra Torrevecchia e il Quartaccio, i due signori volevano sapere e capire di più, entrandoci dentro magari per raccontarlo, seguendo con le telecamere le vite dei ragazzi che ci abitano.

Tutto è andato secondo i piani dei «registi»? Non proprio. La realizzazione del filmato è una piccola stroria nella storia. E per capirlo basta l'antefatto: a settembre stanno iniziando le riprese, la polizia irrompe nel comprensorio con gli elicotteri, le fotoelettriche, i cani lupo. Alla fine della maxi-retata il documentario piglia un'altra piega.
È da riscrivere. Perchè tutto il «cast» maschile è finito in manette. I ragazzi di Bastogi di cui si dovevano raccontare le giornate non ci sono più. Se li sono portati via dentro le volanti con l'accusa di rapina.«Se li so' bevuti» come dicono in zona. A casa restano solo le fidanzate. Giocoforza, diventeranno loro le protagoniste della serie tv.
Sul motorino a manetta Chicca, 18 anni, schizza in quindici minuti da Bastogi a Regina Coeli dove sta rinchiuso il suo ragazzo: Emiliano, 21 anni, parecchi dei quali passati ietro le sbarre. Davanti alle relecamere lui racconta di quando, a 15 anni, se ne andò tutto solo in Perù e tornò con una caterva di cocaina, che per un po' lo fece vivere alla grande, come un baby Scarface. Ricorda di quando sua madre scoprì la roba nell'armadio e per la rabbia sparse tutto all'aria: la polvere e gli annessi guadagni per centinaia di milioni. In Sudamerica Emiliano credeva di aver trovato davvero l'Eldorado. E la coca non gli piaceva solo venderla. Ma già al secondo «viaggio d'affari» le cose girano storte. Lo pizzicano ad Amsterdam. Nelle carceri olandesi c'è rimasto 2 anni. Adesso sta a Regina Coeli. Gli addossano una serie di rapine maldestre compiute l'estate scorsa poco fuori Bastogi. Lui, come bandito, ormai si smitizza: «so' un cojone», dice. È in attesa di giudizio. Rischia di non uscire tanto presto. Qualche volta pensa che Chicca non avrà la pazienza di aspettarlo. È un peperino lei, i ragazzi se li mette in tasca. Di Emiliano però è innamorata. Ci stava male quando lui si faceva di coca. Si tagliuzzava un braccio col coltello per dimostrargli quanto gli era attaccata. A lei la roba non è mai piaciuta. Le piaceva solo la bella vita che con la roba ti puoi comprare.

E la «pacchia» durata poco piaceva anche a sua sorella Maria, 20 anni, già due figli da Alessandro, anni 18, uno di poche parole. Passa la giornata davanti alla Playstation perchè è agli arresti domiciliari. Sempre per rapina. Sempre in attesa del processo. Maria, la sua compagna, di Bastogi dice: «Altro che tutti amici. Qui te vengono appresso solo quando c'hai li sordi». E Chicca, la sorella: «Si, vabbè, però dentro a 'sto posto ce so' tutti li ricordi». Non parlategli male di Bastogi. Solo loro, al limite, possono dirne peste e corna. Carlotta invece dal quartiere se ne vuole andare. Specie adesso che le è nato un figlio, il primo col suo compagno Gianni. Ma lui (40 anni, venti più di lei) non c'era. Sta in carcere. Dentro per avere assaltato una banca armato di un solo coltello.
È innamoratissimo pure lui. Sempre in bilico fra tenerezza, rabbia e gelosia. Quando uscirà troverà ancora Carlotta ad aspettarlo a Bastogi?
E poi c'è la storia di Titina, 40 anni che non abita nel comprensorio ma ci va per vedere gente. E si presenta al volante di una Smart con gli occhiali scuri da diva. Per un po' ha gestito un pub a Torrevecchia e ci faceva lavorare qualche scapestrato di Bastogi. Ma il locale è stato più chiuso che aperto perchè la polizia lo considerava una specie di ritrovo per gang.

Il quartiere lo si potrebbe chiamare «Fortezza Bastogi». Perchè assomiglia davvero a una cittadella arroccata: sei palazzine sopra il cocuzzolo di una collinetta. Vent'anni fa le hanno costruite per farci un residence univeritario (con tanto di piscina e campi da tennis) ma la destinazione è cambiata quasi subito. Il comune ha riscattato gli edifici per parcheggiarci gli «assegnatari», quelli che aspettano di ricevere una casa popolare. Oggi qui sono il settanta per cento della popolazione. Il resto è costituito da occupanti abusivi. «In queste palazzine vivono 1500 persone, 400 famiglie. Moltissimi sono nomadi diventati stanziali: slavi, zingari napoletani, camminanti siciliani» spiega Albino Gesmundo un operatore sociale che con i (pochi) soldi del Comune e tra mille ostacoli cerca di far nascere qualcosa nel quartiere: una serigrafia, una polisportiva. Si, perchè a Bastogi non c'è niente. Il supermarket ha chiuso per il semplice motivo che la gente si riempiva i carrelli ma usciva senza passare per le casse. Un bar ha abbassato le saracinesche più o meno per le stesse ragioni. Resiste solo una palestra, gestita, o meglio difesa, da maestri col fisico a due ante. Strano posto, Bastogi. In certe strade si inciampa nei rifiuti: materassi marci, divani sventrati, citofoni strapati dai muri con tutti i fili appresso (qui la nettezza urbana non c'entra). Ma magari dietro l'angolo c'è un corridoio lucido di varechina, un'aiuola con le piantine tutte in riga, un pezzo di prato vero.

Di adulti se ne vedono pochi. Anzi quando entri, sembra una piccola città in mano ai ragazzini. Scorazzano dappertutto, smanettando sui motorini senza targa, sparando pallonate nel recinto del calcetto, facendo a lotta su quel che resta dei prati. I genitori molto spesso non ci sono proprio. Morti, o in galera, o finiti chissa dove. Nelle case, che non superano mai i 50 metri quadri, i figli ci vanno solo a dormire. Riempiono di spray i muri dei palazzi. «Siamo la mafia» ci leggi. Oppure sono scritte d'amore e d'amicizia. E in fondo sono tutte storie d'amore quelle restituite da residence Bastogi. Storie passionali, euforiche, struggenti, spezzate e riannodate. Per mesi gli autori del documentario Maurizio Iannelli e Claudio Canepari, le hanno seguite in presa diretta con le telecamere e poi le hanno montate come un racconto di vicende intrecciate. A Bastogi loro sono andati praticamente a viverci. «All'inizio inserirsi è stato duro», raccontano. «La diffidenza si tagliava col coltello. Sospettavano che fossimo guardie, infiltrati. Ci tiravano le uova». Adesso nel «postaccio» sono diventati di casa.
La domanda è: alla fine, che effetto ha prodotto l'arrivo delle telecamere a Bastogi? «Qualcuno rivedendosi in tv è diventato più consapevole, forse è cresciuto un po'», dice Canepari. «Anche se nessuno di loro ha il "mito" della televisione» aggiunge, Maurizio Iannelli, «La tv non la guardano quasi mai». Loro quelli di Bastogi, paradosso di vitalità, violenza e cemento.
------------------------------------
“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola