00 16/10/2011 11:42
Roma, un giorno di guerriglia a San Giovanni. Gli Indignati restano ostaggio della violenza


Una Capitale blindata ha accolto il corteo dei "draghi ribelli". Un gruppo di 200 persone con il volto coperto ha preso di mira vetrine e auto, ma i manifestanti hanno cercato invano di fermarli. Il bilancio della giornata è di almeno 70 feriti
Luglio del 2001. Genova. Sembra di essere tornati ad allora. Invece siamo a Roma ed è sabato 15 ottobre 2011. Dieci anni dopo. Oggi non c’è nessun palazzo da raggiungere, nessun G8. C’è invece, ed è ciò che riporta ad allora, il corteo nazionale degli Indignati italiani che, come nel resto del mondo, scende in piazza per dire basta: basta alla crisi economica, alla disoccupazione, al precariato. Parole d’ordine che scompaiono inghiottite dalle pietre, dalle fiamme e dai bastoni. Dalla violenza di quelli che per comodità o per necessità vengono chiamati black bloc.

I fatti. Il corteo parte da piazza Esedra. Ci sono tutte le sigle del mondo sociale, dai comitati dei migranti, ai Cobas, ai precari, no-tav, collettivi studenteschi fino ai gruppi che chiedono diritti per il mondo omosessuale. E poi ci sono “loro”. Nemmeno un centinaio di persone, alcuni molto giovani, 15-16enni, altri tra i 30 e i 50. Vestono di nero, indossano caschi, protezioni e passamontagna. Si tengono uno stretto all’altro, imbracciano bastoni. Sono una macchia scura in mezzo a un fiume di colori. Nascondono il volto, ma sono al centro del corteo. Pochi, anzi pochissimi rispetto al fiume umano che investe le vie della Capitale. Non vogliono essere ripresi o fotografati. Aggrediscono chiunque ci provi: “Che cazzo fai? Che cazzo riprendi? Per fare lo scoop mi metti nei guai?”. Ma nei guai ci si mettono loro, da subito, in via Nazionale, quando assaltano l’Elite market, un alimentari che di elitario ha solo il nome. E’ un negozio qualunque, ma è il primo catalizzatore della violenza che da lì a un paio d’ore devasterà tutta la città.

Ascolta gli audio dalla manifestazione

I “neri”, quelli che ricordano tanto i black bloc che nel 20o1 misero in ginocchio Genova, cominciano così, distruggendo ogni pallido simbolo di quello che chiamano – con una terminologia antica – “il capitale”: banche, uffici postali, sedi distaccate dei ministeri. Ma anche macchine, semplici vetrine, motorini, cassonetti finiscono in fiamme senza un perché. Non rappresentano nulla. Anzi. Ed è proprio questa rabbia senza senso a far implodere il movimento stesso. Perché gli altri manifestanti a passare per violenti proprio non ci stanno. E allora accade quello che raramente si vede in un corteo: scontri interni, tra una “fazione” e l’altra, tra “pacifici” e “casseurs” italiani. Anche perché nessuno sa da dove vengano gli “sfasciatutto”. Non hanno né bandiere né simboli di riconoscimento: la prima fila tiene un solo striscione con una scritta nera su fondo arancione: “Non ci interessa il futuro, ci prendiamo il presente”. E’ però una frase che parte del camion dello “sciopero Precario” che lascia interdetti: “I giornalisti domani non dicano che gli episodi di violenza sono stati isolati o che sono accaduti a margine del corteo – spiega una ragazza con il microfono – Noi rivendichiamo quello che sta accadendo, non abbiamo più niente da perdere.
Altri la pensano diversamente. “Fascisti! Rovinate tutto”". E’ un coro per niente sommesso quello che la maggior parte dei manifestanti rivolge ai “neri”. La gente lancia secchiate d’acqua dalle finestre, qualcuno scende per strada per proteggere quello che ha: la macchina, il negozio, il portone di casa. Ma il vortice non si ferma. Prima le vetrine sfondate con i cartelli stradali sdradicati da terra, poi le fiamme che avvolgono le automobili, i cassonetti, gli sportelli dei bancomat. Ci vogliono due ore prima che la polizia intervenga. E quando interviene, è la guerra. Anzi, è la guerriglia che riporta ancora lì, a Genova.
Ora però i neri non sono più una centinaio. Sono migliaia. Il corteo, in via Labicana, è ormai spezzato dall’arrivo delle forze dell’ordine. Si cerca di chiudere al centro i violenti, come una tenaglia. Ma la resistenza contro la polizia è serratissima. Per un’ora, all’incrocio con via Merulana, lo scontro è diretto. E non si sa se temere di più le pietre dei manifestanti o i lacrimogeni delle forze dell’ordine. Si va avanti e indietro, con piccole incursioni, la polizia non riesce a dominare quello che si trova di fronte. Eppure, il peggio, la debacle totale arriva in piazza san Giovanni. Quando la polizia è costretta a scappare sotto il lancio dei sanpietrini. Quando un ragazzo viene investito da un blindato dei carabinieri in retromarcia. E’ una lotta metro per metro. Gli incappucciati sono ovunque, il gas urticante stringe lo stomaco, le cariche sono continue. Si andrà avanti fino alle 19. Manganelli e pietre, benzina e idranti, rabbia contro rabbia. E alla fine rimane solo devastazione. Chissà se qualcuno, dal camion dello sciopero Precario, sta ancora pensando che non ci sia niente da perdere.

( ilfattoquotidiano )
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola