00 20/12/2011 13:32
Kim Jong Il, il clown grottesco e astuto
che beffò Clinton e Bush


Ha sfruttato la rivalità fra Usa e Cina per arrivare indisturbato a fare la Bomba
GIANNI RIOTTA

Era molto facile considerare Kim Jong Il, il leader nordcoreano scomparso il 18 dicembre a 70 anni un clown grottesco. Il suo cuoco giapponese ha raccontato in un best seller firmato con lo pseudonimo di Kenji Fujimoto di ballerine nude raccolte nella militare Brigata Della Gioia, di voli con il jet fino a Hokkaido per comprare ricci di mare, mentre milioni di coreani morivano nella carestia.

In realtà il «Caro Leader» Kim Jong Il, figlio del fondatore della dinastia comunista Kim Il Sung, è stato uno scaltro broker del regime, che ha giocato sulla rivalità contrapposta tra Stati Uniti e Cina per rafforzare l’esercito e ottenere fino a otto testate nucleari, pur rozze. Hanno pagato il prezzo del suo potere contadini affamati in campi incolti, bambini denutriti, prigionieri in gulag dal rigore feroce, dove si finisce relegati per una svista o una battuta.

Con il ciuffo alla Elvis Presley, occhiali da sole a calotta, tacchi per rialzare la statura, le manifestazioni pubbliche con coreografie alla Mao Ze Dong e canti ritmici di fanciulle sorridenti - tra cui si racconta, per capriccio, Kim Jong Il scegliesse le nuove reclute della Brigate della Gioia- davvero il «Caro Leader» coreano sembrava un «cattivo» dei film di James Bond, il Dottor Julius No, Auric Goldfinger, Emilio Largo. E nella collezione personale di 20.000 film di Hollywood e europei che Kim Jong Il aveva ammassato, i video tratti dai romanzi di 007 di Fleming erano al centro. I coreani? Potevano guardare nelle feste qualche vetusta pellicola di propaganda del regime.

Al tavolo della trattativa però, quando le ragazze della Brigata della Gioia erano tornate nei loro dormitori, Fujimoto in cucina preparava sushi e sashimi, Kim Jong Il era giocatore raffinato. «Aveva idee chiare e duttilità» ricorda l’ex presidente sudcoreano Roh Moo-hyun, che l’incontrò nel 2007. E gli americani, preoccupati oggi per un possibile vuoto di potere che possa crearsi tra l’erede designato, Kim Jong Un (pare ventottenne) e i vertici militari, riconoscono che nei suoi anni al potere, Kim Jong Il ha beffato prima Bill Clinton e poi George W. Bush. L’ambasciatrice Usa Wendy Sherman, che trattò nella capitale Pyongyang nel 2008 lo giudica «intelligente, concentrato, informato sui dossier, sicuro di sé e regista dei propri burocrati. Di politica e diplomazia capiva più della media dei leader occidentali». Graham Allison, che studia la possibilità di un attentato terroristico con materiale nucleare, non ha dubbi nel saggio «How to stop nuclear terror»: «Quando scriveranno la storia del nostro tempo il punteggio sarà Kim 8, Bush 0».

Succedendo nel ’94 al padre, uno stalinista della vecchia guardia addestrato in Siberia alla guerriglia contro i giapponesi durante la II guerra mondiale, Kim Jong Il, a detta di alcuni analisti, avrebbe fatto delle timide avance agli americani, pur di allentare l’influenza della Cina che mantiene con il petrolio in vita il regime come cuscinetto contro la Corea del Sud. Pare che, piccato per la mancata reazione di Washington, abbia deciso di farsi valere con un programma nucleare. Altri esperti dissentono, persuasi che la presunta «apertura» fosse un bluff. Una terza scuola è invece convinta che ogni tentativo di giudicare la strategia di Pyongyang con razionalità diplomatica occidentale è destinata alla frustrazione: Jennifer Lind del Dartmouth College ha scritto sulla rivista Foreign Affairs che gli occidentali sopravvalutano sempre la propria capacità di penetrare il mistero nordcoreano. Pare, per esempio, che Kim Jong Nam, fratello maggiore dell’erede designato Kim Jong Un, fosse contrario al nuovo passaggio dinastico che l’escludeva, ma il padre lo avrebbe scartato senza pietà.

E questo culto morboso del segreto, in un paese in cui una radio a onde corte può portarvi al plotone d’esecuzione mentre Kim passava ore collegato a Internet, è stato un’arma vincente. Offeso dal silenzio degli americani o astuto nel doppio gioco, Kim Jong Il avvicina lo scienziato canaglia pachistano Abdul Qadeer Khan, che nell’ultimo decennio del XX secolo aveva creato una sorta di Ikea del traffico clandestino di materiale nucleare. La Corea del Nord aveva collaborato segretamente con vari agenti a un programma atomico clandestino a Yongbyon, lasciando che Pechino mandasse avanti con i sussidi la vita economica del paese di 23 milioni di abitanti, e irretendo Washington in un’inutile e defatigante trattativa che a un certo punto vide impegnato persino l’ex presidente, e attivissimo premio Nobel per la Pace, Jimmy Carter. Come spesso capita in America, la confusione tra un’opinione pubblica genericamente benigna e pacifica, le manovre confuse dei falchi, e i dossier contraddittori della Cia, che scoprì sì il piano nucleare nordcoreano ma non seppe individuare il sito di Yongbyon, paralizzarono l’iniziativa Usa. E mentre le colombe applaudivano la diplomazia del «raggio di sole» dei fratelli coreani di Seul, e i falchi ammonivano su una seconda guerra di Corea come quella del 1950-1953, (fino a 3 milioni di morti tra civili e militari secondo alcune stime) Kim Jong Il prima sperimentò alcuni missili, mirandone uno con effetti di terrore psicologico sul Giappone, poi ultimò nel 2006 almeno 8 testate atomiche, beffando gli amici cinesi, gli ingenui americani e i sussiegosi burocrati Onu.

Il test fu un mezzo fallimento, ma anche un arsenale nucleare a rischio cilecca fa paura, soprattutto se il regime, messo alla corde, cede materiale atomico a bande terroristiche. Mentre l’America e il mondo erano ipnotizzati dallo showdown in Iraq tra George W. Bush e Saddam Hussein, Kim Jong Il - che nel 2003 entrò in clandestinità per vari mesi - lanciò chiaro il ricatto: non ci ridurrete come Saddam, Pyongyang non sarà Baghdad.

L’eredità di Kim Jong Il è devastante. Con 1400 euro pro capite di Pil, con l’agricoltura che ogni anno perde il 10% di raccolti, con 9 milioni di cittadini denutriti su 23 milioni la Corea del Nord è uno dei paesi più poveri al mondo. Negli anni 90 2.200.000 innocenti morirono di fame. Nel frattempo il cuoco Fujimori stappava vini francesi, volava in Giappone per il sushi, in Thailandia per la frutta esotica, in Danimarca per il bacon e a Praga per la birra alla spina, che mai mancassero alla mensa del «Caro Leader». Il suo regime però potrebbe sopravvivere al vento anti despoti che ha spazzato il 2011. «Il sistema politico nord coreano ha dimostrato resistenza e stabilità - ha osservato Evans Revere del centro Korea Society - il Partito dei lavoratori, l’esercito, forte di oltre un milione di soldati, e la polizia sono i pilastri della dittatura politica ed economica». E Robert Carlin, diplomatico impegnato nelle trattative con la Nord Corea dal 1992 al 2000 conclude: «All’estero si vede il regime come uno stato canaglia, ma molti coreani ancora lo rispettano o temono, pensando agli anni della resistenza contro il Giappone dal 1905 al 1945».

Sono i cittadini poveri cui la propaganda assicura che Kim Jong Il era nato il 16 febbraio 1942, in una capanna sul magico monte del mito, il Paetku, annunciato da un doppio arcobaleno, un mistico volatile e una stella cometa. Invece il despota nacque un anno esatto prima, nel villaggio siberiano di Vyatskoye, dove il padre preparava la dinastia che tanti dolori ha causato al povero paese. Perfino la data è una bugia, tragica.

lastampa.it
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola