00 24/02/2011 10:08
La rivolta guarda al passato: ora il popolo sventola la bandiera dell’ex monarchia

Il vessillo issato sugli edifici governativi conquistati dai manifestanti nelle città dell'Est. Nella Cirenaica si inneggia ancora a Mukhtar, il Leone del deserto che lottò contro gli italiani

(Egitto, confine libico) - Il confine nord tra Egitto e Libia è in queste ore un luogo molto trafficato: da una parte ci sono i lavoratori egiziani che vogliono disperatamente lasciare il Paese del colonnello Mu’ammar Gheddafi, dall’altro ci sono decine di giornalisti che tentano di passare la frontiera e i convogli in arrivo dal Cairo per portare gli aiuti agli ospedali delle città più colpite dove, secondo i dottori sentiti anche dal Giornale, mancano medicine e sangue per i feriti. Il paese è nel caos, spiega chi ha appena attraversato la frontiera. «E noi non abbiamo più un lavoro, anche per questo rientriamo», dice un ragazzo egiziano di Port Said mentre aggiusta le valigie sul tetto di un pullmino.

I suoi compagni di viaggio accendono i computer e tirano fuori i telefonini per mostrare video di mercenari linciati dalla folla, delle violenze che si sono lasciati alle spalle. I mini bus si fermano per una pausa lungo la strada che dalla frontiera porta alla località balneare di Marsa Matruh, in un piccolo caffè di Sidi Bayrana, cittadina beduina nel mezzo del deserto. Molti degli uomini a bordo arrivano dalla città di Al Baida, in cui gli scontri sono stati più brutali. Hanno visto violenze e saccheggi. Mahmoud al Masri racconta di aver assistito all’assalto del quartier generale dei comitati rivoluzionari. «L’edificio è stato dato alle fiamme».

Gli eventi degli scorsi giorni in Libia più che semplici scontri tra forze dell’ordine e manifestanti sono paragonabili a una guerriglia urbana. Nelle città dell’est - dice però Mohammed Abdou - ormai è la popolazione a essere in controllo. E i primi giornalisti che hanno attraversato il confine due giorni fa - accolti con entusiasmo dai libici - hanno trovato i civili armati a pattugliare le strade. Su molti edifici governativi ora controllati dalla popolazione, in città come Tobruk, Darnah e Al Baida, i rivoltosi hanno issato la bandiera della monarchia di Mohammed Idriss Senoussi. E lo stendardo è stato usato anche nelle manifestazioni anti-Gheddafi che si sono tenute in molte capitali europee in queste ore.

La bandiera è diventata il simbolo della contestazione di una parte della popolazione che si rifà a un passato mitico per i libici: è stata usata infatti per la prima volta nel 1951, quando il Paese ottenne l’indipendenza. I ribelli della Libia dell’est - raccontano i video amatoriali messi online dagli attivisti in queste ore - si arrampicano sui pali per far sventolare l’antico simbolo: una mezzaluna e una stella bianche su sfondo nero e sui lati due bande, una rossa e una verde. Nei mesi prima dell’indipendenza, la Cirenaica, regione che oggi guida il dissenso anti-regime, aveva già adottato questa bandiera.

Il re Idriss aveva la sua capitale a Benghazi, città che in queste ore è stato teatro di grandi battaglie tra le forze vicine a Gheddafi e i rivoltosi. E la Cirenaica è anche la regione in cui per venti anni Omar Mukhtar, l’eroe della lotta libica contro gli italiani, guidò la resistenza. E oggi, sono in molti nella Libia dell’est a ricordare il suo nome: sui blog, al telefono con i giornalisti dall’estero, c’è chi dice che i giovani che sono scesi in strada contro il colonnello siano i «nipoti» di Omar Mukhtar, il Leone del Deserto. È questo il nome di battaglia del guerriero che per anni ha attaccato di sorpresa militari e convogli italiani, con piccoli gruppi di miliziani, per poi ritirarsi velocemente nel deserto.

Il Leone del Deserto è anche il titolo di un film del 1981 sulla sua vita, interpretato da Anthony Quinn e finanziato dal governo libico. Omar Mukhtar fu ferito e catturato in battaglia nel 1931 dagli italiani. Fu impiccato. Prima di ucciderlo, gli fu chiesto quali fossero le sue ultime parole: «Apparteniamo a Dio e a Dio torniamo». Mentre l’est della Libia, controllata dalla popolazione, riscopre i simboli del suo passato, la regione di Tripoli resta sotto il controllo del regime. Dopo il minaccioso discorso del colonnello Gheddafi, poche persone ieri hanno lasciato le loro case nella capitale, per terrore di essere uccisi dalle forze di sicurezza.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola