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Politica internazionale

Ultimo Aggiornamento: 25/03/2024 17:50
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lucaDM82, 06/03/2013 23:27:

conoscendone la libertà e l'onestà intellettuale sicuramente non avrà problemi a criticarlo.



Democrazia diretta. Perchè il sogno di Grillo è irrealizzabile
di Massimo Fini - 10/03/2013

Fonte: Massimo Fini [scheda fonte]


Beppe Grillo vorrebbe abrogare l'articolo 67 della Costituzione che cosi' recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Capisco le preoccupazioni del leader di 5Stelle non solo alla luce dei recenti casi (Scilipoti, Razzi, De Gregorio) ma dell'inveterato malcostume dei partiti di far scorribande in campo altrui. Un campione di queste razzie era Clemente Mastella che pero' aveva perlomeno l'onesta impudicizia di ammetterle e una volta che Cossiga lo rimproverava per una di queste campagne-acquisti rispose candidamente: «Non capisco perchè quando faccio queste cose per il mio partito sono mascalzonate, mentre quando le facevo per Cossiga andavano bene».

Tuttavia non sono d'accordo con Grillo
. Bisogna infatti chiedersi perchè i nostri Padri costituenti introdussero questa norma. Perchè con il vincolo di mandato il parlamentare sarebbe completamente alla mercé, più di quanto non lo sia già ora, delle segreterie dei partiti, non avrebbe più alcuna libertà di voto, ogni dibattito interno sarebbe abolito dato che il reprobo non avrebbe altra possibilità che di lasciare il Parlamento. Inoltre è un diritto di libertà quello di mutare opinione. Naturalmente cosa diversa è se il passaggio di casacca avviene in cambio di denaro o altre prebende. Questo è un reato, si chiama corruzione e va perseguito sia chi si fa corrompore sia il corruttore (è l'ipotesi De Gregorio-Berlusconi).

In ogni caso il vero problema non è l'articolo 67. (La dignità, come il coraggio, se uno non ce l'ha non se la puo' dare e anche col vincolo di mandato si troverebbe la maniera di 'tradire' l'elettorato con escamotage ancora più subdoli e ancora meno trasparenti). Il vero problema sono i partiti e l'evidente e profonda crisi della democrazia rappresentativa. Grillo, sulle orme di Rousseau, pensa di sostituirla con la democrazia diretta, via web. Tutti i cittadini potrebbero pronunciarsi su tutto e una volta stabilita, a maggioranza, la volontà popolare i parlamentari non sarebbero più dei 'rappresentanti' del popolo ma, come li chiama Rousseau, dei suoi 'commissari' privi di volontà e di iniziative proprie. Ma Rousseau elaborava la sua teoria per una piccola città come Ginevra e per una società molto meno complessa dell'attuale. Oggi i cittadini, a a parte casi specifici e ben individuati, non possono conoscere veramente, a fondo, le questioni su cui dovrebbero pronunciarsi. La gente, come canta il menestrello Jannacci, «l'ha gà i so' impegn» e non puo' occuparsi di tutto. La democrazia diretta è possibile solo in piccole realtà. E per la verità una democrazia del genere è esistita quando non sapeva di chiamarsi tale. Nell'Europa pre Rivoluzione francese l'assemblea dei capifamiglia decideva su tutto cio' che riguardava il villaggio. Ma decideva con cognizione di causa perchè in quel villaggio ci abitava, su quella terra ci viveva. Mentre il cittadino-web, per forze di cose, è quasi sempre lontano dalle questioni su cui sarebbe chiamato a decidere.

Ci sono vie d'uscita? Un localismo talmente estremo da ridurre al minimo le funzioni dello Stato (sostanzialmente la Difesa e la politica estera) ? Ci credo poco. E' più probabile che col collasso – che prima o poi ci sarà- dell'attuale modello di sviluppo, del mondo del denaro, dell'industria, di quello stesso virtuale su cui Grillo tanto conta e la contemporanea disintegrazione del mondo globale, ci si troverà in una realtà molto simile a quella che si creo' dopo il tracollo dell'Impero romano e delle sue strutture giuridiche, quando la gente si raccolse in feudi e monasteri autosufficenti. Insomma un ritorno al feudalesimo, senza Stato, senza partiti, senza rappresentanti ma anche senza feudatari, come immaginano, o sognano, alcune correnti di pensiero americane.

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L'Italia, l'India e i 2 marò


In attesa della legittima reazione indiana, gustiamoci l’ennesima brutta figura internazionale. L’onere dell’ennesima figura da peracottari se lo assumono Monti e il ministro Giulio Terzi, ormai in uscita, che così tolgono le castagne dal fuoco al prossimo governo, sempre che il calcolo non si riveli miope e da Dehli non finiscano per conciarci per le feste. Invocare ora “il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982″ dopo aver assecondato per mesi gli indiani, ben sapendo che quei soldati non possono e non potranno essere riconosciuti in missione militare coperta dall’immunità, ha l’esclusivo sapore del tradimento e della presa in giro.
Alla scadenza del permesso concesso loro dalle autorità indiane diventeranno quindi evasi, per ordine del governo, dalle carceri di un paese alleato, con il quale il nostro paese è sì in lite giudiziaria, ma con il quale Terzi & co. avevano preso accordi proprio per permettere ai nostri militari di non passare un solo giorno in carcere in attesa di giudizio e per potere addirittura tornare a casa, prima per le elezioni e poi per un mese di vacanza.
In India non ci torneranno più, dice oggi Terzi, che per portare a casa i marò pregiudica inevitabilmente tutto l’insieme dei rapporti diplomatici con l’India e, soprattutto, mette in grandi difficoltà gli italiani detenuti o in attesa di giudizio in India, i quali prevedibilmente ora non godranno di una particolare benevolenza da parte della giustizia indiana, figurarsi poi se si tratta di alleviarne condizioni di detenzione o conceder loro permessi. Ma non si potevano lasciare i due marò a marcire in un hotel di lusso, bisognava liberare i “nostri ragazzi”, lo chiedeva a gran voce la destra e lo chiedeva l’esercito, che nei due vede solo i suoi uomini prigionieri per colpa di un governo che li aveva mandati in missione senza la sufficiente copertura legale. Sì, perché se qualcuno è colpevole della detenzione dei marò. questi sono quanti li hanno mandati senza avere il senso di responsabilità di dare loro copertura politica e legale, gli stessi che poi si sono affrettati a strillare all’abuso degli indiani, che non esiste.
Il valore della parola del nostro governo è quella che è, non è che passando da Frattini a Terzi le cose siano migliorate molto e così non possiamo nemmeno dare la colpa a quell’estroso di Berlusconi e ai suoi cammellati. Non ci resta che ringraziare Terzi per l’ennesima figuraccia internazionale e vedere quali saranno le conseguenze a venire, per ora si può solo registrare che agli indiani è stato assestato uno schiaffo a tradimento, che la parola dei nostri marò e del nostro governo non vale un fico secco, e che il ministro si è dimenticato persino di chiarire se i due saranno processati in Italia o se possono già considerarsi eroi della patria a prescindere.
Resta solo da capire, e si capirà nelle prossime ore dalla relazione indiana, se almeno è stato preso qualche accordo sotterraneo che ha soddisfatto i due governi e che ad ora appare abbastanza inverosimile, perché non si vede proprio che interesse dovrebbe avere l’India a farsi trattare a pesci in faccia da Roma. Che peraltro pur in caso di una soluzione negoziata riservatamente, si sarebbe comunque assunta l’onere di apparire arrogante, irrispettosa e incapace di mantenere la parola data. That’s all folks, almeno fino alla prossima figuraccia internazionale.



www.giornalettismo.com/archives/821565/i-maro-evadono-con-il-consenso-del-...


www.giornalettismo.com/archives/823049/maro-quello-che-giulio-terzi-n...
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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12/03/2013 20:59
 
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Referendum per la sovranità delle Falkland.
Votano solo i britannici, pressione sugli Usa
Oggi e domani meno di duemila elettori chiamati alle urne nelle isole dell'Atlantico al centro della disputa territoriale tra Regno Unito e Argentina. Risultato scontato in favore di Londra: lo scopo è mettere alle strette Washington per ottenere un appoggio ufficiale al controllo britannico sull'arcipelago.

Il governo delle Falkland (che gli argentini chiamano con il nome locale di Malvinas) è impegnato a far sì che l'affluenza sia la più alta possibile tra i 1650 elettori registrati chiamati a pronunciarsi sul destino amministrativo delle isole, alcune delle quali molto remote. Veicoli, aeroplanini e navi sono stati mobilitati per aiutare gli elettori che vivono nelle aree più distanti a raggiungere i seggi elettorali. E ci saranno osservatori internazionali a vigilare sulla correttezza di un quesito molto preciso: "Volete che le Isole Falkland mantengano il proprio status di Territorio d'Oltremare del Regno Unito?". L'aspettativa è che i sì prevalgano in maniera massiccia, un grimaldello importate di fronte a ogni futura rivendicazione territoriale del governo argentino. Ma soprattutto uno strumento di pressione nelle mani di Londra per convincere la comunità internazionale, gli Usa in primo luogo, a schierarsi ufficialmente nella disputa. Una mossa che finora gli americani hanno sempre evitato di compiere, da ultimo il neosegretario di Stato Usa John Kerry durante la sua recente visita a Londra. "Gli Usa riconoscono l'amministrazione de facto delle isole - ha detto Kerry - ma non prendono posizione sulle rivendicazioni di sovranità delle parti".

La "sovranità" sul territorio delle isole è un argomento spesso invocato dal governo argentino che accusa gli abitanti di essere popolazioni "trapiantate" nel territorio di un altro Paese e sostiene che le risoluzioni dell'Onu obblighino la Gran Bretagna a risolvere in modo bilaterale la disputa. Mentre Londra utilizza sempre il termine "autodeterminazione", che si concentra più sulla popolazione che non sul territorio in cui essa vive.

Gli argentini accusano la Gran Bretagna di aver loro sottrato le Falkland due secoli fa, e nel 1982 - sotto il governo Thatcher - i due Paesi combatterono una guerra che durò oltre due mesi e costò ai due eserciti quasi mille vite.

Il governo delle Falkland è una democrazia diretta in gran parte autonoma, che delega al governo di Londra la difesa e gli affari esteri. Il rappresentate della regina ha potere di veto sulle decisioni del governo locale. La popolazione è rimasta, per scelta, molto ridotta: esclusi i militari e i contractor britannici, vivono sulle isole 2563 persone e solo 1973 hanno lo status di "isolano". Il referendum esclude tutti coloro che non hanno passaporto britannico e che non vivono nelle isole da almeno un anno. Un bacino elettorale dunque molto ridotto per il referendum, il cui esito apparte scontato. Subito dopo il voto una delegazione del governo partirà per Washington per fare opera di lobby presso il Congresso.
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che buffoni gli inglesi [SM=g27996]
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19/03/2013 22:31
 
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il fatto
Crisi, Germania accusata di dumping sociale davanti all’Unione europea

I ministri belgi dell’economia e del lavoro Johan Vande Lanotte e Monica De Coninck, dopo che alcune aziende del loro paese sono state costrette a chiudere per concorrenza sleale, hanno deciso di denunciare Berlino che sfrutta lavoratori immigrati pagandoli 3-4 euro l'ora senza contributi e in condizioni sanitarie disastrose


Dumping sociale. L’accusa è arrivata direttamente sul tavolo della Commissione europea. E’ il Belgio a denunciare la Germania di sfruttare i lavoratori immigrati, principalmente romeni e bulgari, assunti da società fittizie e costretti a lavorare per 3-4 euro l’ora per 10 ore al giorno, senza sicurezza sociale, in condizioni sanitarie disastrose. Con la conseguenza che le imprese belghe sono costrette a chiudere o a delocalizzare.

I ministri belgi dell’economia e del lavoro Johan Vande Lanotte e Monica De Coninck, dopo una visita ad Hannover dove hanno discusso con le autorità tedesche della questione, hanno annunciato che scriveranno all’esecutivo Ue “per chiedere di mettere fine a queste pratiche”. “Non cerchiamo il confronto con un paese ma si tratta qui di mettere fine a pratiche indegne” hanno affermato i ministri, spiegando di aver deciso di agire dopo essere stati messi al corrente che alcune aziende belghe nel settore della macellazione hanno cominciato a chiudere, ristrutturare o delocalizzare proprio verso la Germania, non riuscendo più a far fronte alla concorrenza sleale dei suoi bassi costi.

“Aspettiamo di ricevere la lettera e vedere nel dettaglio le accuse”, ha dichiarato il portavoce del commissario Ue agli affari sociali Lazslo Andor, che ha riconosciuto come in Germania ci sono “7,5 milioni di persone che svolgono mini-lavori il cui salario mensile arriva al massimo a 450 euro senza contributi né sicurezza sociale”. Non esiste, infatti, un salario minimo per queste categorie di lavori. E quindi, ha accusato il ministro Lanotte, “tutto è permesso perché non si infrange nessuna legge dal momento che non ce ne sono”. L’anno scorso, ha ricordato la Commissione, tra le raccomandazioni rivolte a Berlino c’erano proprio l’aumento dei salari in parallelo con la produttività e l’uscita dei lavoratori dalla “trappola dei mini-lavori”, come quelli su cui punta il dito il Belgio, verso impieghi più stabili.
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06/04/2013 11:22
 
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ma come stanno al tgcom? [SM=x2478856]

www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/1089068/corea-del-nord-il-dilemma-kim-jong-ul-bimbominkia-o-genio-del-ma...
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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07/04/2013 20:45
 
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bimbominkia
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Re:
lucaDM82, 06/03/2013 23:27:

).Ma conoscendone la libertà e l'onestà intellettuale sicuramente non avrà problemi a criticarlo.



La follia di continuare a votare Rodotà

Per motivi legati ai tempi di una rubrica scrivo prima che sia iniziata la quarta votazione per il Quirinale (quella che potrebbe essere la decisiva perchè richiede la maggioranza assoluta e non dei due terzi), ma quando il Pd si è ufficialmente ricompattato sul nome di Romano Prodi. E' la fine del 'grande inciucio' che Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi avevano tentato accordandosi sul nome di un frusto e sbiadito notabile dell'antico regime come Franco Marini. E probabilmente è anche la fine di Silvio Berlusconi che nei giorni scorsi aveva arrogantemente dichiarato: «Se fanno Prodi ce ne andiamo tutti all'estero». E che ci vada (lui, non i suoi elettori che meritano rispetto), alle Bermude, possibilmente nel Triangolo. Perchè l'energumeno, con la sua violenza in doppiopetto, col dispregio di ogni forma di legalità («delinquente naturale» lo ha definito il Tribunale di Milano che lo ha condannato a quattro anni per il truffone sui diritti televisivi di Mediaset) è stato per quasi vent'anni un macigno sulla politica e la vita del nostro Paese, togliendo, fra le altre cose, alla maggioranza degli italiani quel poco di senso dell'onestà che gli era rimasto.

Sarebbe semplicemente pazzesco che i 5Stelle non votassero Prodi per insistere su Rodotà. E' vero che nelle loro 'quirinarie' Rodotà è arrivato terzo e Prodi nono. Ma non si puo' essere cosi' meccanici. E qui viene a galla la debolezza della democrazia diretta via web, che va bene, forse, per la scelta dei parlamentari o per l'approvazione di una legge, ma è troppo astratta per una partita a scacchi cosi' complessa come quella del Quirinale. Del resto Grillo avrebbe già potuto risolvere la questione se invece di avanzare i nomi dell'inutile Gabanelli o dell'improbabile Strada avesse puntato fin da subito sulla terna inizialmente proposta da Bersani (Zagrebelsky, Caselli, Rodotà) che stavano pure nella 'decina' scelta dagli elettori 5Stelle. Il segretario del Pd non avrebbe potuto dirgli di no perchè erano i 'suoi' candidati. Invece ha perso due giorni dando modo a Berlusconi e Bersani di tentare l'inciucio, per fortuna fallito.

Adesso per Rodotà è troppo tardi. Perchè Bersani dopo aver ricevuto uno schiaffone non potrebbe accettare un candidato che, con i suoi sponsor, gli si è messo di traverso. Del resto fra Prodi e Rodotà c'è un abisso. Rodotà, deputato 'indipendente' del Pci nel '79, del Pds nel '83 e nell'87, presidente del Pds nel '91 -'92, è un tipico esponente della sinistra radical-chic che tanto piace alla Repubblica e a Scalfari. Basta vederlo in bermuda nell'isola esclusiva di Alicudi per capire chi è Stefano Rodotà. Che ci hanno a che fare i grillini? Prodi ha tutt'altra caratura. Ma anche se non ha 80 anni non è nemmen lui di primo pelo. Era ministro dell'Industria già nel 1973, è stato un boiardo di Stato, due volte presidente del Consiglio. Non è certamente 'il nuovo che avanza'. Ma per intanto cominciamo a far fuori Berlusconi. Poi verrà la volta anche del Pd. Alle prossime elezioni. Allora la sarà finita, una volta per tutte, con una partitocrazia che per trent'anni ha rubato, taglieggiato, come la mafia, costituendosi in una oligarchia clientelare che ha umiliato il cittadino che ha voluto conservare la propria dignità rimanendo un uomo libero.

Massimo Fini



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07/05/2013 16:53
 
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però poi l'inciucio è riuscito....

:)

la verità è che c'è da 30 anni, l'inciucio.

a meno di pensare che in 30 anni qualunque Leader, semileader, pagliuzza, granello, del PD (e suoi nomi e forme passate) siano dei totali idioti e noi dei furboni che gli diamo una pista.

ecco... tutte queste strategie sbagliate, queste mancate occasioni, questi inciampi, ecc... lo esclude la matematica e la logica che siano frutto di semplice "stupidità".

la ragione, allora, è molto più semplice.
ed è una...
[Modificato da giove(R) 07/05/2013 16:54]


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21/11/2013 19:19
 
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Kennedy, 50 anni dopo Dallas non è più l’eroe tragico del sogno americano

La figura di JFK e la sua presidenza hanno perso negli ultimi tempi il carattere di promessa magica mantenuto per decenni e sono alla fine sfociati in una ben più sfumata, e realistica, considerazione di quel periodo. La storia d'amore tra il presidente e l'America è finita da tempo. Restano i tanti misteri

In un recente incontro a Pittsburgh, un gruppo di esperti e studiosi di John F. Kennedy si sono trovati d’accordo nel criticare le conclusioni della Commissione Warren, che nelle 889 pagine del suo rapporto finale (1964) stabilì che Lee Harvey Oswald agì da solo il giorno in cui uccise a Dallas il presidente Usa. Tra i presenti c’era uno dei più eminenti sostenitori della tesi del complotto, il regista di JFK Oliver Stone, che in un appassionato intervento non se l’è presa tanto con chi continua a sostenere la tesi di “Oswald unico omicida”, quanto con l’assuefazione e l’oblio che ormai circondano uno degli eventi più importanti e tragici della storia americana. “La cospirazione del disinteresse è la più terribile di tutte”, ha detto Stone.
50 anni fa l’omicidio a Dallas. Con l’avvicinarsi del cinquantesimo anniversario della morte di Kennedy – il 22 novembre – gli Stati Uniti riflettono sull’eredità culturale e politica di uno dei loro presidenti più celebri – un presidente la cui salita alla Casa Bianca coincise con una fase storica di rilancio economico e sociale. Killing Kennedy, il film che ricostruisce le vite parallele di JFK e del suo assassino Oswald nei quattro anni che condussero all’omicidio di Dallas (tratto dal best-seller di Bill O’Reilly) ha totalizzato ascolti record domenica sera sul National Geographic Channel. Una serie di libri – tra i migliori, End of Days di James Swanson e If Kennedy Lived di Jeff Greenfield – ricostruiscono per l’ennesima volta vita, opere e tragedia finale del presidente. E tutti i maggiori network lanciano “speciali” dove il bianco e nero delle immagini si mischia alla nostalgia e al rinnovato dolore per quei giorni.
JFK, dall’esaltazione alle critiche. E’ comunque vero, come dice Oliver Stone, che la nota che sembra dominare, oltre le celebrazioni televisive ed editoriali, è quella di una certa indifferenza. La figura di JFK e la sua presidenza hanno perso negli ultimi tempi il carattere di promessa magica mantenuto per decenni e sono alla fine sfociati in una ben più sfumata, e realistica, considerazione di quegli anni. La morte del senatore Ted nel 2009, l’ultimo dei Kennedy ad avere un ruolo visibile e determinante nella politica americana, ha ulteriormente abbattuto il mito della “famiglia reale” Usa che per anni ha avuto libero corso su giornali, televisioni e nell’opinione pubblica. Sono altre, a questo punto, i Clinton, i Bush, i Paul, le famiglie che riescono a collegare politica, visioni sociali e aspirazioni di vita.

Un esempio abbastanza significativo di questo ribaltamento è un’inchiesta uscita alcuni giorni fa sul “New York Times”, che mette a confronto i modi in cui i libri di testo hanno raccontato in questi anni la figura di JFK a milioni di giovani americani. Si passa dall’esaltazione quasi incondizionata degli anni Sessanta e Settanta alle critiche anche esplicite a partire dagli anni Ottanta. Il testo per le superiori del 1975 di Clarence Ver Steeg e Richard Hofstadter, A People and a Nation, esaltava l’azione di Kennedy a favore del disarmo nucleare e raccontava, in modo piuttosto in accurato, che durante la sua presidenza “bus, hotel, motel e ristoranti vennero desegregati” (in realtà gran parte della legislazione a favore dei diritti civili venne approvata sotto il suo successore Lyndon Johnson). Nel 1982 un’altra storica, Mary Beth Norton, mostrava invece la “considerevole mancanza di vigore” con cui Kennedy perseguì una politica anti-segregazione e biasimava il presidente per la folle gestione della crisi missilistica con l’Unione Sovietica. Secondo la Norton, l’eredità più forte di Kennedy fu “un’enorme espansione militare che accelerò la sfida con i russi”.
Restano i tanti misteri della morte. La “storia d’amore” tra l’America e il suo presidente è dunque finita tempo fa e la tesi del giovane e tragico eroe che nei suoi 1000 giorni alla Casa Bianca rilanciò l’idea di un’America giovane e progressista non ha retto a quanto successo dopo: l’enorme e tragico sforzo militare del Vietnam e la sua ingloriosa conclusione; il declino economico americano e le sfide alla superpotenza Usa; l’integrazione difficile che nemmeno l’elezione del primo presidente afro-americano è riuscita a far avanzare. Quello che resta oggi – e gran parte dei libri usciti in questi anni e gli stessi “speciali” trasmessi dalle TV americane lo rivelano – è dunque soprattutto il mistero della morte, l’incapacità a distanza di cinquant’anni di ricostruire in modo certo e definitivo quanto successo a Dallas il 22 novembre 1963. Ancora recentemente T. Jeremy Gunn, direttore esecutivo dell’“Assassination Records Review Board” (l’agenzia istituita nel 1992 con il compito di raccogliere e pubblicare tutti i documenti governativi relativi all’assassinio di JFK) ha detto di “non essere un complottista”, ma di “non sapere cosa successe quel giorno”.
“Nelle storie senza finale subentra l’assuefazione”. Gunn si riferisce ovviamente alle tante, forse troppe, contraddizioni e incongruenze che avvolgono l’assassinio di Kennedy e le indagini successive. James Joseph Humes, uno dei medici responsabili dell’autopsia, rivelò soltanto nel 1996 che una parte consistente del suo rapporto fu bruciata e riscritta da lui stesso “perché le pagine originali erano macchiate del sangue di Kennedy”. Non si è mai saputo se il nuovo rapporto riflettesse in modo esatto quello originale. Altre incongruenze riguardano le foto scattate al momento dell’autopsia, che secondo alcuni testimoni non sono quelle conservate ora agli Achivi Nazionali (Sandra Spencer, responsabile del servizio fotografico di allora, dice di ricordare che il cadavere di Kennedy era composto e privo di ematomi; mentre quello che appare dalle foto degli Archivi è coperto di sangue e con un grosso buco in testa). E sotto la lente di ingrandimento, in questi anni, sono finiti i rapporti di Oswald con l’Fbi, un suo viaggio a Mexico City, oltre all’eterna questione di quante pallottole vennero sparate contro il presidente (secondo lo “United States Select Committee on Assassinations”, gli spari furono quattro, non tre, e un libro del 1992, Mortal Error, ipotizza che almeno un colpo – quello che trapassò il cranio – venne accidentalmente sparato da un agente dei Servizi Segreti che si trovava alle spalle di Kennedy).

“Non so quello che successe ed ora è troppo tardi per scoprirlo”, afferma Jeremy Gunn e le sue parole sono davvero il triste sigillo sul caso. Forse è per questo che l’anniversario dei cinquant’anni suscita interesse ma non vera partecipazione. Kennedy e la sua presidenza si sono trasformati da racconto del sogno americano in una spy story di cui non si intravvede soluzione. E alla fine nelle storie senza finale subentra, come lamenta Oliver Stone, l’assuefazione.

( ilfattoquotidiano )
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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è sempre bello vedere la trasformazione che i media hanno fatto di uno come Mandela: da combattente per la libertà a vecchietto rincoglionito che ballava e rideva.

Anche volendo soprassedere sui caratteri politici dell'ANC: ovviamente non una parola è stata spesa per, ad esempio, sottolineare quanto Mandela avesse a cuore la causa palestinese (guarda caso Israele ha mandato un bigliettino per i funerali). E non nel '73 ma nel 1997 Mandela faceva questo discorso qui:

anc.org.za/show.php?id=3384
[Modificato da jandileida23 12/12/2013 14:21]
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Sono la rovina della Roma


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a conferma che sono in compagnia di ottimi uomini che fanno certi discorsi/ragionamenti non necessariamente (come fui semplcisticamente quanto superficialmente tacciato qui in un certo discorso) "razzisti".
perchè oh io magari sò razzista senza manco rendermene conto e a me del "razzista" me lo si può dare anche a cuor leggero.
per Mandela magari mi farei due riflessioni su...


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Uganda: passa legge anti-gay, ergastolo agli omosessuali "recidivi"

Fermo in Parlamento dal 2010, soprattutto per la minaccia Usa di un taglio agli aiuti, il provvedimento è infine passato. Rimossa dal testo la pena capitale. Il legislatore giustificò il disegno di legge con la "minaccia" dei gay occidentali per i bambini ugandesi. L'ultimo ostacolo è la firma del presidente Museveni. L'Ue: "Attacco ai diritti umani".

Mentre il mondo si schiude al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con il Messico che ieri ha aggiunto la sua tessera al domino dei paesi che lo hanno ufficialmente approvato, in Uganda è alla fine passata una contestatissima legge anti-gay rimasta a lungo in Parlamento. Una legge davvero oscurantista e dalle conseguenze terribili, perché punisce l'omosessualità anche con l'ergastolo.
Per l'entrata in vigore resta un solo passaggio: la firma del presidente, Yoweri Museveni. Che non è scontata: se dai governi occidentali, innanzitutto dagli Usa, arrivasse una ferma condanna accompagnata da una rinnovata minaccia di chiudere il rubinetto degli aiuti, il capo di Stato ugandese avrebbe più di una ragione per pensarci.
Il provvedimento approvato dal Parlamento criminalizza l'omosessualità drasticamente: per i recidivi è previsto il carcere a vita. Inoltre, diventa reato anche discutere in pubblico di omosessualità, anche tra i gruppi di attivisti per i diritti civili. Detenzione prevista anche per chi non denuncia i gay alle autorità.
Da oggi "sono ufficialmente nell'illegalità", ha osservato Frank Mugisha, direttore dello Smug (Sexual Minorities Uganda) dopo il voto. Pepe Julian Onziema, transessuale e figura di spicco del movimento gay ugandese, ha preferito non commentare l'approvazione della nuova legge affermando che gli serve tempo per riflettere.
La legge è stata approvata questa mattina, come riferisce un portavoce dell'Assemblea, Helen Kawesa. Al momento del voto, il primo ministro Amama Mbabazi ha cercato di opporsi affermando che non era stato raggiunto il numero legale di parlamentari in Aula. Nulla da fare.
A parzialissima consolazione, dal testo è stata esclusa la pena di morte, che invece figurava nelle intenzioni del legislatore quando il progetto di legge fu presentato in Parlamento nel 2010. Testo che all'epoca dovette incassare la dura condanna dei leader mondiali. In particolare dagli Stati Uniti, con il presidente Barack Obama a parlare di atto "odioso", con il corollario della minaccia di un drastico taglio ai finanziamenti Usa all'Uganda.
Lo scorso anno, proprio alla vigilia di Natale, un nuovo polverone fu sollevato dalla speaker del Parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, che parlò della possibile approvazione della legge anti-gay come di un "regalo nataliazio" per tutti gli ugandesi. Va detto che, a dispetto della condanna internazionale, la legge anti-gay raccoglie grande consenso presso l'opinione pubblica ugandese, convinta che il Paese abbia tutto il diritto di approvare una legge che protegga i suoi bambini.
L'omosessualità era già al bando in Uganda per una legge risalente al periodo coloniale che la condannava in quanto "contraria all'ordine naturale".
Il deputato che più ha voluto il nuovo disegno di legge, David Bahati, ne giustificò la presentazione affermando che si rendeva necessaria maggiore durezza perché gli omosessuali provenienti dall'Occidente rappresentavano una minaccia per le famiglie ugandesi "reclutando" bambini africani al loro "stile di vita".
Dopo l'approvazione, lo stesso Bahati ha esultato parlando di "un voto contro il male" da parte di "una nazione timorata di Dio. E' una vittoria per l'Uganda, questi sono i nostri valori, non importa cosa pensino nel resto del mondo".
Il riferimento agli "occidentali" trova in questi giorni anche un nome e un cognome: Bernard Randall, cittadino britannico ritiratosi in Uganda, sotto processo per "traffico di pubblicazioni oscene". Vicenda che ha riportato sotto i riflettori anche un altro protagonista, il pastore evangelista Solomon Male, infaticabile e controverso promotore di una crociata per "liberare" l'Uganda dai gay.
L'attivismo di Solomon Male riporta direttamente alle accuse mosse dai gay ugandesi ai loro leader politici e religiosi, irretiti dalla pesante influenza dei predicatori evangelisti americani e del loro disegno, diffondere in tutta l'Africa la lotta all'omosessualità. Nel mirino degli attivisti gay, soprattutto Scott Lively, evangelista del Massachusetts, citato nel marzo 2012 tramite l'Alien Tort Statute, che consente a chi non è cittadino americano di sporgere denuncia presso le corti americane nei casi in cui sia manifesta la violazione del diritto internazionale.
Scott Lively si è difeso negando di voler perseguire la "severa punizione" dei gay, ancor prima aveva dichiarato di non voler incitare alla violenza contro gli omosessuali, consigliando loro piuttosto di sottoporsi a una "terapia". Per tutta risposta, nel corso degli ultimi anni era cresciuta la speranza dei gay ugandesi sulle possibilità di difendere i propri diritti in un paese preda dell'omofobia. Arrivando a sfidarla apertamente nel 2012 con il loro primo Gay Pride. Oggi è arrivata la risposta del Parlamento: essere gay in Uganda potrebbe voler dire rischiare l'ergastolo.
Ancora Frank Mugisha ha dichiarato che la sua organizzazione proverà a mobilitare gli attivisti per contrastare la nuova legge nei tribunali. Ma, ha spiegato alla Reuters, "la comunità gay adesso è nel panico, si ha paura ad andare in strada perché si sa bene come agli ugandesi piaccia farsi giustizia da sè".
Maria Burnett, ricercatrice presso il dipartimento Africa di Human Rights Watch, ha spostato l'attenzione su quanto farà Museveni. "Evidentemente, il presidente ugandese può respingere la legge e mandare un chiaro messaggio: che l'Uganda non ci sta a questo genere di discriminazione e intolleranza. Il fatto che sia stata cancellata la pena di morte è già una buona cosa, ma il carcere a vita e altre allarmanti disposizioni restano, molte delle quali sono del tutto inapplicabili".
Per Amnesty International, la nuova legge contro l'omosessualità approvata in Uganda "ostacolerà in modo significativo il lavoro dei difensori dei diritti umani e delle altre persone che, semplicemente eseguendo il loro lavoro, si troveranno in conflitto con il provvedimento". Secondo un rapporto di Amnesty International pubblicato quest'anno, sono 38 le nazioni africane in cui l'omosessualità è considerata un reato, circa il 70% del continente.
L'Unione europea ha "deplorato" il via libera del Parlamento dell'Uganda alla legge sugli omosessuali ed ha esortato le autorità di Kampala a "rispettare il principio della non discriminazione". "Deploro l'adozione della legge anti-omosessualità in Uganda - ha detto il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton - . Va contro i principi della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici e nella Carta africana dei diritti umani".

( repubblica.it )


staremmo quasi tutti dentro per omessa denuncia [SM=x2478856]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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oh ma la Germania che sfila alle Olimpiadi con la bandiera arcobaleno per i diritti dei gay?


www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/sochi-germania-sfiladivisa-bandiera-arcobaleno-pro-gay-foto-...

senza offesa per nessuno..ma l'ho trovata un pò una carnevalata.
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Cuba, media Usa ipotizzano la fine di Fidel Castro

www.repubblica.it/esteri/2015/01/09/news/cuba_media_usa_ipotizzano_la_morte_di_fidel_castro-10...
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Vabbè ma sarà morto da sei anni. Lo tenevano nel congelatore e qualche volta lo ritiravano fuori per fare delle foto in tuta.

Se risparmierà il ritorno de un simil Batista.
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Sono la rovina della Roma


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Re:
Sound72, 10/02/2014 18:07:

oh ma la Germania che sfila alle Olimpiadi con la bandiera arcobaleno per i diritti dei gay?


www.blitzquotidiano.it/foto-notizie/sochi-germania-sfiladivisa-bandiera-arcobaleno-pro-gay-foto-...

senza offesa per nessuno..ma l'ho trovata un pò una carnevalata.




ammazza no.. io l'ho vista bene. [SM=x2478842]


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Tsipras premier.

Greci indipendenti antieuro pronti a sostenerlo.
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06/07/2015 12:36
 
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La Grecia esulta, Tsipras batte Merkel, grande risposta all'Europa, prova di dignità etcetc..

Ok..Ma perchè Varoufakis se dimette?

E soprattutto i soldi chi li mette se l'UE te scarica?
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07/07/2015 00:02
 
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un economista che seguo spesso,al nord lo conoscono tutti,qui no.Questo articolo era di qualche mese fa,poi ne ha scritti altri.

www.eugeniobenetazzo.com/waiting-for-athens/
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20/07/2015 13:18
 
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In Grecia, i cittadini ci hanno messo due mesi scarsi a smascherare Tsipras quale Ennesimo Pagliaccio di Sistema, il VOlto Buono dello Status Quo, l'Insider inviato a rassicurare con il coltello nascosto dietro la schiena.

In Italia dopo due anni a Renzi ancora non lo hanno sgamato.
E dopo due anni è ancora lì a raccontare le sue palle Berlusconiane senza che nessuno fiati.

In Grecia dopo due mesi stanno già tutti in piazza. Gli hanno fatto "TANA!" dopo le prime 2-3 mosse.

Poi dici perchè da noi stiamo così.

A proposito: non c'entra con Tsipras, MA C'ENTRA UNA CIFRA con il discorso in generale.

Sapete tutti degli incredibili scioperi e disordini sulle Metro romane... il più delle volte come ben saprete, in occasione di cose del genere, la gente si scatena in reprimende, tutti lì a dirsi "è tutto un magna magna!", e tutto il campionario di frasi fatte, luoghi comuni, TUTTI TESI, ANZI PROTESI a dire che in sostanza "io sò intelligente, onesto, svejo, lavoratore, preciso, bravo, caruccio e pettinato", e "gli altri so stronzi, tutti disonesti, tutti ladri, ecc.".

Guarda caso... si svilupapno cento di queste discussioni all'interno di un solo, singolo convoglio... e guarda caso... TUTTI BRAVI! ONESTI! PULITI! il male sta sempre di là, dall'altra parte....

e nelle more di queste LIMPIDE Autocelebrazioni.... la frase più gettonata è "Tanto sti politici SO' TUTTI UGUALI!"... una roba che basta solo pronunciarla per avere un tributo di consensi da tutti quelli che hai intorno....

"Tanto i politici sono tutti uguali"...

poi vai a vedere.... e trovi CENTO PARTITI... uguali da 70 anni di Repubblica, che hanno cambiato nomi, sigle, simboli ma sono sempre lì, con gli stessi politici, gli stessi legami, le stesse catene di comando...
PD, SEL, FI, LEGA... tutti i sottoprodotti del partito di Berlusconi, dei suoi alleati, ex alleati, CO-governanti, ex amici, ex accoliti e dall'altra parte tutti i sottoprodotti di D'Alema e Prodi, dei Magna Magna ovunque ti giri dal momento che non c'è scandalo in cui certi partiti di sinistra siano assenti....
nomi nuovi, una rinfrescatina ai volti, ma la SOLITA STORIA di latrrocinii, ruberie, abbuffate...

...POI ... scrutando l'orizzonte, si vede un Partito NUOVO, recente, COMPOSTO DA GENTE ONESTA, che ha come VADEMECUM un CODICE, infranto il quale si VIENE CACCIATI, un partito i cui membri NON PRENDONO RIMBORSI ELETTORALI PER MILIONI DI EURO... i cui eletti RESTITUISCONO LA META' DEI LORO STIPENDI... un partito in cui NON C'E UN ELETTO CHE SIA UNO che sia stato pizzicato con un pacchetto di caramelle in mano, mentre in TUTTI gli altri partiti è un'ecatombe di arresti, avvisi di garanzia, scandali, indagini, processi, carcerazioni...

beh...in questo panorama, PIU' CHE EVIDENTE A NON VOLER ESSERE CIECHI, in cui a fronte di TUTTI I PARTITI "tradizionali" CHE RUBANO, c'è ne è uno di gente onesta che i soldi non se li ruba, MA ANZI LI RESTITUISCE ALAL COMUNITA'.....

tu senti la gente dire "Tanto i politici sono tutti uguali".

NO, caro mio, cara mia.... SEI TU CHE SEI TUTTO/A UGUALE.
UGUALI A LORO, AI LADRI DI CUI SEGUIRESTI LE ORME SE SOLO FOSSI ANCHE TU AL LORO POSTO.
UGUALI A TE.

che non ti accorgi di ciò che NON SAI NEPPURE vedere (perchè caro "cittadino medio" sei uno ZOZZONE anche tu, anzi sei tu il PRIMO):
che c'è qualcosa di diverso.

ma a te caro "cittadino italiano medio" fa troppo comodo non vedere.

ecco perchè ti ritrovi alla posta, in metro, sull'auto, in fila, a lamentarti di ciò che tu stesso perpetri.
la Disonestà di chi comanda. Perchè in fondo quelli li, SONO TE, solo che loro sono arrivati dove tu non hai potuto.
Sei un disonesto schifoso Italiano medio. E ti fa tanto, troppo comodo, poter passare la tua "pialla civica" su tutto e tutti.
[Modificato da giove(R) 20/07/2015 13:21]


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