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Ultimo Aggiornamento: 04/02/2024 13:49
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01/10/2013 19:43
 
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io me lo ricordo piu' sulle figurine che in campo..Catanzaro..Napoli..prima in rosa c'erano 16-18 calciatori al max e lui tutto sommato era uno di categoria..
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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15/10/2013 10:42
 
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Maurizio Schillaci: "Totò, potevi aiutarmi prima"


Il cugino, senzatetto, rifiuta l'appoggio dell'ex attaccante: "Mi dava solo 300mila lire al mese. Zeman mi augura una ripartenza? Sì, chiedo solo di lavorare e vedere le mie figlie"


La sua vita aveva fatto lo stesso percorso dei treni sui quali trascorre la notte: arrivata a un binario morto. Due arresti, 4 volte in fin di vita per overdose. Abbandonato da tutti, dimenticato persino dalla figlie che lui comunque giustifica come solo l’amore di un padre può fare. Ma forse a Maurizio Schillaci, cugino del Totò nazionale, può ancora riuscire un dribbling vincente. in campo erano la sua specialità, fuori dal calcio è stata la vita a dribblarlo.

Maurizio, cominciamo dal suo gol più bello?
"Giocavo nel Licata di Zeman e vincemmo 2-1 a Siracusa, Coppa Italia: dribblai 4 giocatori, portiere compreso, e arrivai in porta con la palla"

Zeman, che l’aveva allenata nelle giovanili del Palermo, la voleva portare a Foggia, invece arrivò la Lazio.
"Avevo già firmato con la società pugliese, ma poi il presidente Casillo non si presentò all’appuntamento decisivo col Licata e s’inserì la Lazio per volontà di Fascetti. Da lì cominciarono tutti i miei guai, dopo un infortunio alla gamba non diagnosticato: scambiarono una lesione al tendine per uno stiramento. Mi credevano un debole e dentro di me montava la rabbia. Tornai in Sicilia, al Messina, ancora con Zeman dove finalmente capirono il mio vero problema e dovetti operarmi a Barcellona, ma ormai era cominciata la parabola discendente".

E da lì la droga?
"Non ho smesso di giocare per la droga. Quella è stata la conseguenza di una carriera bruciata in fretta. Prima la cocaina, poi l’eroina. Il divorzio dalla prima moglie, Rossana, una palermitana che non si comportava bene con me".

Lei aveva comprato casa a Palermo, come mai oggi è costretto a dormire sui treni?
"Perché l’appartamento di piazza Europa, acquistato per 200 milioni di lire in contanti a 24 anni, l'ho lasciato a mia figlia Giada che ha quasi 29 anni. Poi c’è Alessia di 21, nata dal secondo matrimonio, che oggi vive fuori".

Vede ancora le sue figlie?
"No, diciamo che sono anche io ad evitare, perché non posso neanche invitarle a pranzo. In realtà poi c’è stata anche un’altra donna con cui ho avuto un rapporto bellissimo di 5 anni, Francesca, ma è finita a gennaio perché i suoi hanno fatto di tutto perché ci lasciassimo".


Ha mai temuto di morire?
"Altro che, credo di essere un miracolato, una volta mi sono iniettato un grammo di cocaina in vena e sono andato in overdose. Pensavo di non farcela. Ho conosciuto anche la galera, due volte, a metà degli Anni 90, per pochi giorni".

La notte sui treni e di giorno?
"Vivo nelle strade di Palermo, per lavarmi e mangiare vado alla Casa dei Giovani dove ci sono una tv e 5 angeli (psicologi, ndr) che si prendono cura di noi. Con la droga ho smesso da un pezzo, prendo il metadone da 9 anni e quello che ora desidero è trovare un’occupazione".

Suo cugino Totò si è detto disponibile a darle una mano.
"Grazie, preferisco fare da solo, poteva pensarci 10 anni fa quando lavoravo nella sua scuola calcio e mi dava 300 mila lire al mese che non bastavano nemmeno a coprire le spese".

Zeman sulla Gazzetta le augurava una ripartenza: è pronto?
"Sì, chiedo solo di lavorare, di avere uno stipendio per affittare una stanza ma decorosa dove poter invitare a cena le mie figlie".

gazzetta.it

Beh..prendersela col cugino che pure una mano gliela aveva data non mi sembra il modo migliore per farsi un esame di coscienza e ripartire.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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15/10/2013 18:49
 
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mi sfugge proprio schillaci 2.
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27/10/2014 21:16
 
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CHE TRISTEZZA,MA SPARATE OH!!!! [SM=g9597]


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La Lupa con l'Aquila, il giallorosso col biancoceleste: ecco la favola della Lupa Roma

NON SOLO ROMA - Lupa e Aquila insieme, unite in un solo abbraccio. Stessa cosa per i colori giallorossi e biancoceleste. In pratica una fusione tra LAZIO e ROMA, in parole povere un'autentica utopia. Almeno in un contesto come quello della Capitale, ma Alberto Cerrai, 54 anni, imprenditore nel ramo informatico, ha voluto correre questo azzardo quando ha fondato la Lupa Roma, squadra del Girone C di Lega Pro che al suo primo anno tra i professionisti si sta comportando con il piglio dei veterani. Il presidente della terza squadra capitolina ha rilasciato un'intervista al sito di Sky Sport per spiegare i motivi che lo hanno spinto a scegliere un tale abbinamento cromatico:

Partiamo da qui. Perché simbolo e colori che richiamano a Roma e Lazio? Non è come mettere insieme il diavolo e l’acqua santa?

"Non volevamo e non vogliamo cancellare una rivalità, anzi. Abbiamo fatto questa scelta per tentare di raccogliere l’intera città intorno al nostro progetto. Vogliamo che guardino a noi sia i laziali che i romanisti".

Ma lei è laziale o romanista?

"Sono della Roma".

Da neo arrivato, che idea si è fatto di questa Lega Pro ?

"Da quello che ho visto finora, è molto affascinante. Per noi è la prima volta e non abbiamo termini di paragone con le stagioni passate. Ancora adesso capita di rendersi conto di dove siamo arrivati e rimaniamo un po' a bocca aperta. La Lega Pro è come un città d’arte. È tutto bello, nuovo: nel giro di poco tempo siamo passati dal giocare nei campi di calcio, come quelli dell’Eccellenza o della Serie D, a giocare negli stadi, in impianti che prima avevo visto solo in tv. Già questo è un bel colpo d’occhio. E poi noi abbiamo la fortuna di stare nel girone C, quello che in tanti hanno definito un girone infernale, con tifoserie calde e società che, in passato, hanno fatto la serie A e la B. Difficile, ma anche molto stimolante".

Ha comprato la Lupa, che allora si chiamava Frascati (cittadina sui Castelli, a pochi passi da Roma), nel 2011. Perché questo passo?

"Sono cresciuto nello sport. Sono stato pilota automobilistico. Poi ho dovuto lasciare a causa di un incidente e anche per l’età che avanzava. E siccome non volevo uscire dal mondo sportivo, con degli amici abbiamo deciso di formare una società e abbiamo rilevato l’allora Lupa Frascati, che militava in Eccellenza. E così è cominciato tutto".

In tre anni è passato dall’Eccellenza alla Lega Pro: non male per essere la sua prima volta nel calcio…

"Avevamo programmato tutto. Quando sono diventato presidente avevo promesso che entro pochi anni saremmo arrivati tra i professionisti, così è stato".

Roma è l’unica città ad avere tre squadre tra i professionisti. Prima della Lupa ci sono state la Lodigiani e l'Atletico Roma: tutte esperienze andate male. Qual è la difficoltà di essere la terza squadra in un contesto come Capitale?

"Secondo molti la colpa è di Roma e Lazio, ma io non sono d’accordo. Il vero problema, semmai, è trovare delle infrastrutture adatte. Una realtà come la nostra non può giocare all’Olimpico, ovvio. E nemmeno al Flaminio, che ha dei costi altissimi. Sembra strano, ma a Roma non c’è un impianto a norma per fare la Lega Pro. Al punto che noi siamo costretti a giocare ad Aprilia (provincia di Latina, ndr). Questo non ci consente il radicamento con il territorio ed è un handicap per i nostri tifosi che, per venirci a vedere, devono fare un sacco di chilometri. Una situazione inaccettabile".

A maggio la vittoria della Serie D. All’esordio con i Pro avete battuto il Lecce. Meglio la prima o la seconda soddisfazione?

"Se proprio devo scegliere, dico la promozione della stagione scorsa, perché è stato il coronamento di un percorso lungo e faticoso".

Per quest'anno l’obiettivo dichiarato è la salvezza. Ma ha cominciato a fare anche un pensierino alla Serie B?

"Noi vogliamo crescere. Nei prossimi tre, quattro anni voglio prima consolidare la società dal punto di vista finanziario. E poi si potranno fare altri ragionamenti, come quello di puntare alla promozione. Non sono un “decubertiano”, a me piace vincere. Abbiamo una rosa con un’età media bassissima. Sono sicuro che stiamo costruendo qualcosa di importante. Per ora va bene così. Poi chissà".
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29/10/2014 23:15
 
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Klas Ingesson: morto il calciatore, resta l’esempio. Società e tifosi italiani in lutto

A Bari, Bologna e Lecce piangono il centrocampista tutto cuore e muscoli. In maglia biancorossa la parte più importante della sua carriera: "E' lì che sono diventato un giocatore vero"
di Lorenzo Vendemiale | 29 ottobre 2014


La morte di Klas Ingesson non è un lutto qualsiasi per il mondo del calcio. Perché il “guerriero biondo” era un giocatore speciale, pur non essendo mai stato un campione. Il dio del pallone non lo aveva dotato di un talento da fuoriclasse: grandi qualità fisiche (190 centimetri per 86 chilogrammi), corsa infaticabile, un destro beneducato. Ma non certo un fenomeno. Eppure ovunque sia passato è sempre stato amato alla follia dai suoi tifosi. Che oggi sui social network piangono in massa la scomparsa di un calciatore entrato di diritto nei loro cuori non tanto (o non solo) per le imprese in campo, quanto per come quelle imprese sono state vissute. Il comunicato del Bari (la squadra di cui ha indossato più a lungo la maglia in Italia), prova a spiegare il perché, ricordandone “la serietà, l’impegno, la tenacia”. Ma è difficile con qualche parola descrivere l’esempio che ha rappresentato lo svedese.
Bari, Fascetti lo nominò capitano. Lui: “Mister, non parlo italiano”. L’allenatore: “Fa niente, fallo col cuore”

Non solo mediano di successo: nel corso della sua carriera Ingesson era stato capitano coraggioso. La fascia l’ha indossata a lungo a Bari. “È lì che sono diventato un calciatore vero”, aveva ricordato anni dopo in un’intervista. “Il momento migliore fu quando Fascetti mi diede la fascia di capitano. Io gli dissi: mister, ma non parlo l’italiano. Fa niente, mi rispose: fallo col cuore”. È quello che ha fatto: in Puglia lo ricordano ancora protagonista di mille battaglie, e in particolare di uno storico derby nel 1997 contro il Lecce (di cui pure avrebbe poi vestito la maglia), vinto grazie a una sua doppietta. Parte della spedizione di “eroi” della Svezia che arrivò terza ai Mondiali di Usa ’94, in biancorosso era stato ribattezzato “il gigante buono”, per quel fisico da vichingo abbinato a piedi non da medianaccio: il piatto forte della casa erano la corsa ma anche le geometrie in mezzo al campo. E i calci di rigore, come dimostrano gli oltre cinquanta gol messi a segno in 370 presenze in giro per l’Europa. Gelido dal dischetto e appassionato nello spogliatoio, Ingesson era nato per essere leader: lo è stato sempre in carriera, in qualsiasi squadra abbia giocato. E pure dopo, una volta appese le scarpette al chiodo a soli 33 anni (già troppi per quella struttura da corazziere, acciaccata dal tempo che passa).

Così si era trasformato in qualcosa più di un semplice idolo calcistico: un simbolo, un ricordo caro, anche un modello di vita. Quell’immagine di lui, di nuovo felice in carrozzina sotto la curva dell’Elfsborg dopo aver sconfitto il mieloma, aveva dato una speranza a chi lotta contro una grave malattia. Il tutto, grazie a quella che è sempre stata la sua qualità principale: non mollare mai. È rimasto sul campo fino all’ultimo: non lo avevano sconfitto la carrozzina su cui era costretto da tempo; né le tante fratture (si era rotto in rapida successione un braccio e un femore) riportate di recente per quelle ossa divenute sempre più fragili. Ha ceduto solo al riacutizzarsi estremo di quel male incurabile, e solo dieci giorni fa, quando ha lasciato il suo ruolo di allenatore dell’Elfsborg. “Sto troppo male, è la decisione migliore per tutti”, aveva detto. Giusto in tempo per spegnersi lontano dalle luci dei riflettori, nel cuore della notte, fra le mura della sua casa a Odeshog.

Per questo, per quanto fatto dentro e fuori dal campo, Ingesson era un esempio per tutti. Dell’Elfsborg e della sua Svezia, di cui ha portato la maglia come una seconda pelle. Del Bologna, che rimpiange il “suo guerriero” su Twitter. Dei tifosi del Bari e pure di quelli del Lecce, sua prima e sua ultima formazione italiana: squadre rivali come poche, unite nell’affetto per questo gigante dal cuore enorme venuto dalla Scandinavia. O semplicemente di chiunque amasse il calcio.
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[SM=g28000] quanta amarezza,pensavo fosse guarito definitivamente invece il male è tornato.
Comunque è stato eroico,è resistito tutti questi anni e ha affrontato la malattia con dignità continuando anche a stare nel calcio.
RIP Klas...che tristezza... [SM=g27992]
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17/11/2014 22:38
 
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Marco Amelia torna in campo con il Rocca Priora in Promozione e vince contro il Lepanto Marino [SM=x2478856]


www.gazzettaregionale.it/notizie/colpaccio-esterno-del-rocca-priora-battuta-la...

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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17/11/2014 23:09
 
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avevo letto che infatti non gli erano andate giù certe cose legate ai procuratori (oltre alla lite con bonera) ed aveva deciso di uscire dal giro (non so se per sempre o se sono mesi di attesa).
A me Amelia piaceva,anche se penso che forse questo desiderio di tornare a Roma gli si è ritorto contro.A volte ha preso dei gol assurdi,aveva proprio la testa altrove,era come se volesse dare il 10% perchè tanto sapeva che ormai era cmq un portiere nel giro buono.Forse con un altro impegno oggi davvero la Roma lo avrebbe preso.
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01/12/2014 20:52
 
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Ancelotti,la rivedremo mai al Milan, magari in un'altra veste?
"Se prima o poi tornassi in Italia, sarebbe solo al Milan. Ma per allenarlo".
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ecco,conferma quello che avevo detto già qualche anno fa;non capisco come molti potessero ancora credere nel carletto giallorosso.Carletto non è nè romano nè romanista,è milanista.
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02/12/2014 11:28
 
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NOTIZIE AS ROMA - "Mi scuso se ho offeso qualcuno, il mio post voleva essere antirazzista, con umorismo. Solo ora mi rendo conto che ho ottenuto l'effetto contrario. Non tutti i messicani hanno i baffi, non tutti gli uomini di colore possono saltare in alto e non tutti gli ebrei amano i soldi. Ho usato un cartone animato di qualcun altro, perché c'era l'immagine di Super Mario e perché pensavo fosse divertente, non offensivo. Mi scuso ancora". Così Mario Balotelli, sulla propria pagina Facebook, spegne le polemiche per il post pubblicato su Instagram che conteneva una frase giudicata offensiva nei confronti degli ebrei. Si tratta di un'immagine del personaggio dei videogiochi Super Mario Bros, con la scritta "Non essere razzista! Sii come Mario. E' un idraulico italiano, creato dal popolo giapponese, che parla inglese e sembra un messicano.Salta come un nero e arraffa soldi come un ebreo". Quest'ultima frase ha indotto la federcalcio inglese ad aprire un'inchiesta per razzismo e antisemitismo.
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stavolta sono solidale con balotelli.
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10/04/2015 13:19
 
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Bovo: "Roma sarai seconda"
10/04/2015 alle 07:54.

IL MESSAGGERO (L. PASQUARETTA) - Romano e romanista. Per Cesare Bovo quella di domenica non sarà una partita come le altre. «Roma è una seconda casa, dai 9 ai 20 anni vivevo a Trigoria. In famiglia sono tutti giallorossi sfegatati, poi facendo questo mestiere, diventi tifoso della squadra per cui giochi».

Lei ha fatto tutta la trafila delle giovanili, con chi si sente?
«Con De Rossi, siamo cresciuti insieme anche fuori dal campo. Lui è di Ostia, io di Fiumicino. Siamo sempre in contatto».

Parlate di calcio?
«Mai, l’ultima volta ci siamo scambiati le foto delle nostre bambine».

Chi è stato il suo guru?
«Mauro Bencivenga. Il mio secondo padre e tecnico nelle giovanili della Roma. Mi ha cambiato ruolo, ero centrocampista, poi mi ha reso difensore».

Il suo rapporto con la Roma?
«Ero l’unico giovane aggregato alla squadra di Capello, è stata un’esperienza fantastica. Poi ho vissuto il primo Spalletti, ho fatto spesso il terzino».

A Roma c’è la sensazione che l’ultimo miglio, quello che porta al successo, sia quasi impossibile da percorrere. Colpa di chi?
«(risata, ndr). Non lo dirò neanche sotto tortura. Mi vuole male?»

Un commento sull’ultimo striscione in curva Sud contro la mamma di Ciro
«Vogliamo parlare dei cori al Franchi sull’Heysel, Pessotto e Scirea o nel derby quando hanno insultato la memoria di Superga? Certa gente non dovrebbe entrare negli stadi».

Questo Totti è un valore aggiunto o un peso per la Roma?
«Non scherziamo, un valore aggiunto. Come persona e come giocatore è da 10. E’ tutto il contrario di come lo dipingono. Francesco è educato, semplice. Gli anni per lui non passano mai».

Le chiedo un pronostico sulla finale di Coppa Italia Juve-Lazio.
«Chiunque vinca, non mi interessa».

Chi arriva secondo?
«La Roma».

E il Toro?
«Era impensabile aspettarci un campionato così, con il doppio impegno si poteva rischiare la retrocessione, ci stiamo mantenendo sui livelli dell’anno scorso, non abbiamo nulla da perdere, giocheremo per vincere come sempre».

Il segreto?
«Il gruppo. Ci vogliamo bene. L’impronta dell’allenatore si vede. Noi lo seguiamo».

Un aggettivo per Ventura?
«E’ il miglior insegnante di calcio che ho avuto in tutta la carriera, in campo è fantastico».

Obiettivi personali?
«Sto bene a Torino, il contratto scade nel 2016, spero di rimanere e sistemarmi qui. Mi piacerebbe giocare un po’ di più, non lo dico per fare polemica, è solo un’aspirazione».

Un rammarico?
«Non essere stato più chiamato in nazionale e non aver sfruttato al massimo l’occasione di giocare in una grandissima squadra. Ero al top, l’ultimo anno al Palermo nel 2011, c’era stato qualcosa con la Juve, ma a Del Neri non piacevo e hanno preso Barzagli, il miglior difensore italiano. C’era stata la possibilità di tornare a Roma o alla Fiorentina, non se ne fece nulla. Non mi posso lamentare».

L’attaccante più forte che ha marcato?
«Tanti, purtroppo nel 2007 quando ero al Genoa per colpa di squalifica ed infortunio non ho giocato contro Ronaldo, quello vero, il più grande di tutti, secondo solo a Maradona».

Da grande cosa farà?
«Spero l’allenatore, ho preso il patentino Uefa B».

Qual è il consiglio ad un ragazzino che vuole fare il calciatore
«Di pensare a giocare, a divertirsi e non ai soldi o alla fama. A me non piace il contorno, il casino, le polemiche, le cavolate che fanno quelli che hanno cambiato 10 squadre e baciano 10 maglie. A me interessa l’allenamento, la preparazione e la partita».
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29/05/2015 13:16
 
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Cassano: “Da vecchio voglio diventare come Capello. Il mio idolo? Totti”

NOTIZIE AS ROMA – “Il mio “vecchio” ideale? Visto che ormai ha quasi settant’anni, Fabio Capello: non ha mai guardato a destra o a sinistra, ma sempre dritto. Oh, non si offenderà che l’ho definito “vecchio”, vero? No, perché l’ho già fatto incazzare abbastanza…”. Parola di Antonio Cassano che, in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, ha parlato del suo presente de del suo futuro. Una battuta anche sui suoi idoli nel mondo del calcio: “In principio è stato Maradona, poi ci fu Totti, e infatti scelsi la Roma perché c’era lui.”
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con quella capoccia difficile diventare Capello. [SM=x2478856]
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19/07/2015 21:30
 
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Cosenza piange Gigi Marulla, storico bomber rossoblù: “le bandiere non muoiono mai”

Lutto nel mondo del calcio. Si e’ spento oggi, colpito da un infarto all’eta’ di 52 anni, l’ex attaccante del Cosenza Gigi Marulla. Bandiera rossoblu’, con 330 presenze e 91 reti, nella sua carriera aveva indossato pure le maglie del Genoa e dell’Avellino.

“Marulla nella nostra città è il simbolo indiscusso del calcio. Nell’immaginario della tifoseria rossoblù, e non solo, un punto di riferimento che incarna i valori di pulizia sportiva e, oltre lo sport, un raro esempio comportamentale. Oggi, con profondo dolore, non riesco ancora a credere di doverne parlare al passato”. E’ con sincera commozione che il sindaco Mario Occhiuto, a nome suo e dell’intera collettività che si ritrova improvvisamente a piangere l’uomo e il campione, esprime cordoglio per questa scomparsa prematura.
“Si tratta di un fulmine a ciel sereno – aggiunge Occhiuto – Cosenza tutta è scossa dalla notizia di aver perso uno dei suoi figli più amati, una persona perbene, nata a Stilo ma cosentino d’adozione, un cosentino doc. Indimenticabile il suo gol-salvezza a Pescara, in campo neutro, nello spareggio contro la Salernitana per la permanenza in serie B. Aveva addirittura rifiutato la serie A pur di continuare a giocare indossando la casacca rossoblù. Un amore sempre ricambiato quello fra Cosenza e il suo calciatore-emblema per antonomasia. Alla moglie Antonella e ai figli Kevin e Ylenia, giunga il forte abbraccio di tutta la nostra città. Gigi Marulla continuerà a vivere nei ricordi di chi ha avuto a fortuna di conoscerlo perché – conclude Occhiuto – le bandiere non muoiono mai”.

RIP [SM=g27992]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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19/07/2015 23:54
 
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ricordo di infanzia [SM=g27992],era un attaccante prolifico di categoria.Me lo ricordo anche sulle figurine panini con l'avellino oltre che bandiera del cosenza,aveva già pochi capeli.
certo,leggo infarto dopo un bibita ghiacciata...che fine assurda... [SM=g27994]
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31/08/2015 16:32
 
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Antonio Ceccarini, lo splendido simbolo di un calcio che all’ansia dello stipendio fondeva l’esempio dei vecchi valori

Emozionarsi al cospetto della morte di Antonio Ceccarini non solo vuol dire evocare d’istinto le gesta di un atleta vero, professionalmente esemplare, ma significa anche provare struggente nostalgia per un calcio che sapeva fondere le esigenze dello stipendio con la dedizione ad una causa ricca di valori che, rimuginati oggi, sembrano appartenere ad una preistoria più favoleggiata che autenticamente vissuta. E’ possibile nella serie A di oggi trovare un Antonio Ceccarini che consideri l’antico ‘’attaccamento alla maglia’’ una virtù quasi pari alla concretezza del lauto contratto? I tifosi non esitarono a chiamarlo, con affetto, ‘’il tigre’, proprio rinvennero in lui la grinta felina di un terzino che sapeva sputare sangue in campo e che, al contempo, effondeva la limpidezza dell’impegno anche nel fondamentale clima dello spogliatoio e nelle relazioni con gli ambienti esterni alla squadra, Il Perugia, ‘quel Perugia’ che, da imbattuto, seppe sfiorare lo scudetto, vantava anche nel ‘’Cecco’’ il simbolo vivente della determinazione estrema posta al servizio del talento. Era tutto ben plasmato in quella creatura che, verso la fine degli anni ’70, proponeva allo stupore dell’Italia un dirigente come Franco D’Attoma, un manager come Silvano Ramaccioni, un mister come Ilario Castagner e giocatori come Frosio, Nappi, Vannini, Novellino e proprio Ceccarini intelligentemente pronto a valorizzare con la ‘ferocia’ della professionalità qualità tecniche che, pur essendo rilevanti, certo non gli avrebbero consentito di aspirare alla Nazionale. Il fatto è che Antonio voleva bene al mestiere, ai compagni, ai tifosi. A chiunque fosse in grado di accompagnare apprezzare il suo entusiasmo. Non uno, davvero neanche uno, che abbia ‘chiacchierato ‘ alle spalle del ‘tigre’. Tutti lo hanno ammirato: serio e integro a 360 gradi. E ala storia si è consegnato segnando all’Inter, addirittura al 90’, il gol che salvò l’imbattibilità della squadra.

Prima di vestire la maglia del ‘grifo’ era stato uno dei cardini del Catania condotto da Guido Mazzetti. Il loro è stato un rapporto non solo tecnico: anche umano. Di profonda e reciproca stima.
In anni recenti è stato imprenditore del tessile, affiliato alle duttilità commerciali di Brunello Cucinelli.

Poco più di due anni fa rilasciò un’intervista eloquente testimonianza del suo amore per Perugia: ‘’Ho ricevuto tanto affetto e l’ho ricambiato in ugual misura. ’Da quasi trenta anni gestisco un laboratorio che opera per la ‘’Brunello Cucinelli. Lavoro parecchio e bene. Comunque l’amore di sempre non l’ho azzerato. Quando posso continuo a essere un tipo da stadio.

– ‘’Quando posso, si. Non ho visto il Gubbio, però col Benevento c’ero. I campani sono squadra forte e quadrata: averli battuti vuol dire avere incoraggianti prospettive’’.

– Mio figlio Matteo è frequentatore assiduo della curva nord. Fa un tifo perfino fuori dalle righe. Lui è entusiasta e fiducioso’Il calcio dei nostri giorni stronca sogni non adeguatamente programmati, rifiuta i nababbi sgonfi, taglia fuori gli improvvisatori che hanno da dedicargli risorse economiche e tempo. In questo Perugia scorgo discrete premesse, tuttavia mi chiedo, anche un po’ incacchiato, perché al chiacchiericcio dei soloni di corso Vannucci non corrisponda mai la concreta adesione alle esigenze di una squadra di calcio che vuol crescere. Il medesimo rimprovero lo muovo alle Istituzioni pubbliche: tante parole, nessun fatto. Pronte a salire sul treno del vincitore. Mi chiedo perché da anni Perugia si faccia colonizzare da chi viene da fuori. Persone brave e da applaudire, ma i perugini dove sono?’’.

www.umbriadomani.it/

Era il Perugia allenato da Ilario Castagner che sfiorò lo scudetto 1978-79 alle spalle del Milan. Tra le sue file Antonio Ceccarini, terzinio chiamato il "Tigre", autore di una sola rete in serie A ma pesantissima: il gol del 2-2 contro l'Inter il 4 febbraio 1979, con i Grifoni ridotti in 9 per gli infortuni che grazie a questo pareggio mantennero l'imbattibilità. Una rete storica per molti versi, un ricordo di Antonio Ceccarini scomparso a 65 anni dopo una linga malattia




Sempre tifato un pò per il Perugia, per parenti e per il ricordo di questa squadra che chiuse imbattuta il campionato.
Ceccarini era una delle bandiere di quel Perugia. RIP.
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21/10/2015 13:45
 
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Se ne è andato Menicucci..come arbitro non mi ispirava affatto simpatia, anzi.
Riusciva ad essere piu' irritante di Agnolin.
Al Processo del lunedi invece tutto sommato era un personaggio.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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21/10/2015 15:42
 
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Re:
Sound72, 19/07/2015 21:30:

Cosenza piange Gigi Marulla, storico bomber rossoblù: “le bandiere non muoiono mai”

Lutto nel mondo del calcio. Si e’ spento oggi, colpito da un infarto all’eta’ di 52 anni, l’ex attaccante del Cosenza Gigi Marulla. Bandiera rossoblu’, con 330 presenze e 91 reti, nella sua carriera aveva indossato pure le maglie del Genoa e dell’Avellino.

“Marulla nella nostra città è il simbolo indiscusso del calcio. Nell’immaginario della tifoseria rossoblù, e non solo, un punto di riferimento che incarna i valori di pulizia sportiva e, oltre lo sport, un raro esempio comportamentale. Oggi, con profondo dolore, non riesco ancora a credere di doverne parlare al passato”. E’ con sincera commozione che il sindaco Mario Occhiuto, a nome suo e dell’intera collettività che si ritrova improvvisamente a piangere l’uomo e il campione, esprime cordoglio per questa scomparsa prematura.
“Si tratta di un fulmine a ciel sereno – aggiunge Occhiuto – Cosenza tutta è scossa dalla notizia di aver perso uno dei suoi figli più amati, una persona perbene, nata a Stilo ma cosentino d’adozione, un cosentino doc. Indimenticabile il suo gol-salvezza a Pescara, in campo neutro, nello spareggio contro la Salernitana per la permanenza in serie B. Aveva addirittura rifiutato la serie A pur di continuare a giocare indossando la casacca rossoblù. Un amore sempre ricambiato quello fra Cosenza e il suo calciatore-emblema per antonomasia. Alla moglie Antonella e ai figli Kevin e Ylenia, giunga il forte abbraccio di tutta la nostra città. Gigi Marulla continuerà a vivere nei ricordi di chi ha avuto a fortuna di conoscerlo perché – conclude Occhiuto – le bandiere non muoiono mai”.

RIP [SM=g27992]




azzo questa non la sapevo... mi dispiace.
un nome e un mito per loro, come Palanca a Catanzaro, Greco ad Ascoli e così via.

famosissimo, negli anni in cui faceva coppia in attacco con Mario La Canna e ispirava il coro forse più esilarante del quale io abbia mai avuto notizia e che sulle note di "sciolgo le trecce cavalli" di Umberto Balsamo faceva così:

Rulla Marulla La Canna / tutta la curva si sballa / non ti fermare Marulla / fino a che / non finiranno le canne / tutta la curva si sballa / non ti fermare Marulla ....
[SM=x2478842] [SM=x2478856]

un tajo ricordo che invidiavo i tifosi del Cosenza cazzo!
a quell'epoca poi a Cosenza c'era il Frate curvarolo, quello che poi mi pare hanno pure accusato di pedofilia o non ricordo che.
era pure andato al processo del lunedì.

ho tutti sti ricordi perchè se non erro all'epoca sono uscito qualche volta con la sorella (na bonazza) di Pancaro che è nato là
primo appuntamento la portai a vedere Ultrà con Claudio Amendola....
[SM=x2478856]
[Modificato da giove(R) 21/10/2015 15:47]


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21/10/2015 15:45
 
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la domanda che mi viene spontanea è:

ma come fa la sorella di Pancaro ad essere una bonazza??

[SM=g27993]

la seconda è: ma si chiamava come il fratello al femminile?

[SM=x2478856]
[Modificato da Giacomo(fu Giacomo) 21/10/2015 15:46]
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era la classica bonona mediterranea, moracciona, tanta.
ammazza se era bona.
mi pare si chiamasse Antonella.


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Re:
Sound72, 21/10/2015 13:45:

Se ne è andato Menicucci..come arbitro non mi ispirava affatto simpatia, anzi.
Riusciva ad essere piu' irritante di Agnolin.
Al Processo del lunedi invece tutto sommato era un personaggio.



Durante una gita scolastica a Firenze sempre ai tempi del processo o poco dopo (cavallo '90/'00) lo beccai al ponte vecchio,era titolare di un negozio,stava là che vendeva.
Negli ultimi anni era sparito,avevo sentito una volta in radio che per un intervento all'ernia andato male era rimasto semiparalizzato,poraccio.


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morto bronzetti.
rip
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