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Personaggi internazionali

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2024 18:24
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08/11/2012 13:57
 
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Ieri, dopo la partita con la Juve ho assaporato la sfida tra Celtic e Barcellona senza commento, con il rumore del tifo e del Park a tutto volume rimpiangendo di non aver avuto tempo e modo di essere là anche io a vivere un momento comunque storico. Il Celtic che batte una delle squadre più forti del mondo, in un momento del genere e con un gol di un ragazzo di soli 18 anni come Tony Watt, arrivato alla prima squadra dal piccolo Airdrie su segnalazione di un allenatore, Jimmy Boyle, che lo segnalò a Lennon dopo averlo coccolato e cresciuto per due anni.
La storia di Watt è singolare: l'Airdrie aveva pochi giocatori e pochissimi soldi. Quindi la sua dirigenza mise un annuncio sul giornale locale per reclutare talenti, o atleti che volessero provare con il calcio. Ricevettero circa 30 risposte una delle quali era di Tony, ragazzo che giocava a pallone solo al parco, con gli amici, e la cui esperienza si era limitata a poche e disorganizzatissime leve giovanili locali. Nessuna cultura di squadra, nessuna esperienza tattica: Watt si era presentato al provino in scarpe da calcetto… Boyle lo vede e lo manda in campo due settimane dopo con l'Under17. Watt segna subito due gol e viene promosso prima ancora di compiere i sedici anni nella Under19 continuando a segnare ininterrottamente. Poi fa il suo esordio in prima squadra, una prima squadra di appena tredici giocatori: Tony entra e segna due gol contro il Cove, poi altri due contro il Partick.
"Caro ragazzo — gli dice Boyle dopo un anno e tre mesi — qui non abbiamo nulla da darti, né da insegnarti. Ti faccio andare al Celtic, buona fortuna". L'Airdrie per il disturbo guadagna 100mila sterline e Watt, che ancora non ha la patente, ottiene uno stipendio da 1200 sterline la settimana (circa 1500€) e un'utilitaria per giocare nella squadra per la quale la sua famiglia fa il tifo.
Tony fa il suo esordio con il Celtic e segna contro il Motherwell (due gol in cinque minuti entrando dalla panchina), poi torna tra i giovani e gioca scampoli di gara, segnando ancora, ogni volta che entra dalla panchina. Ieri, al suo esordio in Champions League, firma un gol in contropiede su pallone gentilmente concesso dalla difesa blaugrana.
Un ragazzo di 18 anni che fino a due anni e mezzo fa giocava nel parco cittadino di un sobborgo del North Lancashire, scende in campo di fronte a 55mila persone con la maglia della squadra per la quale tifa da quando è nato, e che festeggia il suo 125esimo anniversario, segnando un gol al Barcellona al proprio esordio in Champions League.
Indipendentemente da chi vince e da chi perde il calcio sa ancora offrire qualche splendida storia…

Twitter @stefano_benzi

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"In my 23 years working in England there is not a person I would put an inch above Bobby Robson."
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20/11/2012 21:17
 
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E’ un Andy Van Der Meyde scatenato quello che ha scritto l’autobiografia “Nessuna Pietà” dove critica tutto e tutti.


I TEMPI ALL’AJAX - ”Mio padre era un alcolizzato e un giocatore incallito. Con lui ho rotto ogni rapporto, tanto che quando entrai nelle giovanili dell’Ajax chiesi di giocare con il cognome di mia madre. Mi dissero di no. L’Ajax è stata l’unica squadra in cui mi sono divertito. Legai con Ibrahimovic e Mido: si sfidavano in folli corse notturne sull’anello della A10 attorno ad Amsterdam. Zlatan aveva una Mercedes SL AMG, Mido alternava Ferrari e BMW Z8. Tomas Galasek invece mi iniziò alle sigarette”.
L’ARRIVO ALL’INTER -“Accettai, nonostante l’allenatore, Ronald Koeman, non mi ritenesse ancora pronto per l’estero. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell’Ajax, ndr) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Mi consumava la nostalgia. Passare dal club olandese ai nerazzurri è come “asciare un negozio di paese per una multinazionale. Tutto estremamente professionale, un giro di soldi pazzesco, il presidente che dopo ogni vittoria allungava ai giocatori 50 mila euro a testa”.
LA VITA MILANESE – “Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Dyana, la mia prima moglie era la vera malata. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Una sera scesi in garage, al buio, intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello”.
IL PASSAGGIO ALL’EVERTON – “Mi proposero uno stipendio di 37mila euro a settimana, più del doppio di quello che percepivo all’Inter. Ci andai di corsa. La prima cosa che feci fu comprare una Ferrari e andare a sbronzarmi al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. La mia giornata terminò in uno strip-club. Andavo pazzo per le spogliarelliste. Lì conobbi Lisa e me ne innamorai subito. Nel suo mondo bere e sniffare cocaina era una cosa all’ordine del giorno”.
IL DIVORZIO - ”Mi sarei preso a pugni in faccia quando mi elencò tutte le prove che aveva raccolto. Una volta passai una serata a gozzovigliare a Manchester, mi scolai un’intera bottiglia di rum e andai direttamente agli allenamenti. Ai test registrai il mio miglior tempo di sempre, ma non riuscii a nascondere la sbronza”.
L’INIZIO DELLA FINE - “Il tecnico Moyes pensava fossi un viziato, in realtà stavo accanto a Dolce, la bambina che avevo avuto da Lisa. Soffriva di una rara malattia all’intestino, è stata operata otto volte in due anni. Non volevo lasciarla sola. Ma ero fuori controllo; non riuscivo a dormire se non prendendo pillole. Era roba pesante, di quella da prendere con la prescrizione del medico. Quindi le rubavo dallo studio del medico del club. L’ho fatto per più di due anni. Poi è arrivata la cocaina, insieme a Bacardi, vino e feste in quantità. Capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto”.
L’APPRODO AL PSV – “Ma è stato come tentare di mettere in moto un’auto ferma da troppo tempo: i ritmi del calcio pro non facevano più per me”.
LA SUA VITA ATTUALE - ”Sono in attesa del quinto figlio, il secondo dalla mia attuale compagna, Melissa. Non sono milionario ma vivo meglio di prima. Col libro ho voluto chiudere un capitolo della mia vita. Adesso voglio allenare nelle giovanili. Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?”.


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21/11/2012 11:45
 
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Re:
lucaDM82, 11/20/2012 9:17 PM:

E’ un Andy Van Der Meyde scatenato quello che ha scritto l’autobiografia “Nessuna Pietà” dove critica tutto e tutti.


I TEMPI ALL’AJAX - ”Mio padre era un alcolizzato e un giocatore incallito. Con lui ho rotto ogni rapporto, tanto che quando entrai nelle giovanili dell’Ajax chiesi di giocare con il cognome di mia madre. Mi dissero di no. L’Ajax è stata l’unica squadra in cui mi sono divertito. Legai con Ibrahimovic e Mido: si sfidavano in folli corse notturne sull’anello della A10 attorno ad Amsterdam. Zlatan aveva una Mercedes SL AMG, Mido alternava Ferrari e BMW Z8. Tomas Galasek invece mi iniziò alle sigarette”.
L’ARRIVO ALL’INTER -“Accettai, nonostante l’allenatore, Ronald Koeman, non mi ritenesse ancora pronto per l’estero. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell’Ajax, ndr) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Mi consumava la nostalgia. Passare dal club olandese ai nerazzurri è come “asciare un negozio di paese per una multinazionale. Tutto estremamente professionale, un giro di soldi pazzesco, il presidente che dopo ogni vittoria allungava ai giocatori 50 mila euro a testa”.
LA VITA MILANESE – “Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Dyana, la mia prima moglie era la vera malata. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Una sera scesi in garage, al buio, intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello”.
IL PASSAGGIO ALL’EVERTON – “Mi proposero uno stipendio di 37mila euro a settimana, più del doppio di quello che percepivo all’Inter. Ci andai di corsa. La prima cosa che feci fu comprare una Ferrari e andare a sbronzarmi al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. La mia giornata terminò in uno strip-club. Andavo pazzo per le spogliarelliste. Lì conobbi Lisa e me ne innamorai subito. Nel suo mondo bere e sniffare cocaina era una cosa all’ordine del giorno”.
IL DIVORZIO - ”Mi sarei preso a pugni in faccia quando mi elencò tutte le prove che aveva raccolto. Una volta passai una serata a gozzovigliare a Manchester, mi scolai un’intera bottiglia di rum e andai direttamente agli allenamenti. Ai test registrai il mio miglior tempo di sempre, ma non riuscii a nascondere la sbronza”.
L’INIZIO DELLA FINE - “Il tecnico Moyes pensava fossi un viziato, in realtà stavo accanto a Dolce, la bambina che avevo avuto da Lisa. Soffriva di una rara malattia all’intestino, è stata operata otto volte in due anni. Non volevo lasciarla sola. Ma ero fuori controllo; non riuscivo a dormire se non prendendo pillole. Era roba pesante, di quella da prendere con la prescrizione del medico. Quindi le rubavo dallo studio del medico del club. L’ho fatto per più di due anni. Poi è arrivata la cocaina, insieme a Bacardi, vino e feste in quantità. Capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto”.
L’APPRODO AL PSV – “Ma è stato come tentare di mettere in moto un’auto ferma da troppo tempo: i ritmi del calcio pro non facevano più per me”.
LA SUA VITA ATTUALE - ”Sono in attesa del quinto figlio, il secondo dalla mia attuale compagna, Melissa. Non sono milionario ma vivo meglio di prima. Col libro ho voluto chiudere un capitolo della mia vita. Adesso voglio allenare nelle giovanili. Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?”.


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e perché mai r.i.p?
mica è morto! (grazie a chi di dovere!)

sembra comunque essere iniziata una nuova stagione di autobiografie di calciatori sregolati.

alcune settimane fa, infatti, è stata pubblicata l'autobiografia dell'indimenticabile uli borowka.
amorevolmente soprannominato "die axt" (l'ascia), borowka è stato un difensore tecnicamente più che limitato ma difficilmente superabile. per quindici anni ha rappresentato l'impersonificazione del male nel calcio tedesco. la sua carriera professionistica inizia con il borussia mönchengladbach e raggiunge il culmine con il werder brema di otto rehhagel, nel quale milita per dieci anni, spargendo terrore sui campi della bundesliga.
borowka era un luminare delle entrate omicide sulle gambe, dispensava morte e dolore tra i centravanti avversari, e si ergeva, satanico e trionfante, in mezzo all'infuriare delle battaglie di quegli anni, quando i mercoldedì di coppa sembravano dirette dal fronte afgano.
numerosi gli anedotti che quasi sempre lo vedono proferire minaccie agli attaccanti dall'altra squadra.
un esempio: dopo essere stato eletto dai suoi colleghi per l'ennesima volta "il giocatore più antipatico della bundesliga", in occasione di un werder brema-stoccarda, nel tunnel prima dell'ingresso in campo si avvicina a jürgen klinsmann per chiedergli se questi per caso lo avesse votato. il pavido klinsmann risponde: "ma stai scherzando, uli? certo che no!" l'ascia replica: "per il culo mi ci posso prendere anche da solo, klinsmann! da dove sarebbero dovuti venire tutti i voti per me? oggi ti massacro il doppio!"

borowka ha sofferto gravemente di alcolismo per tutta la sua lunga carriera che si concluse dopo quasi vent'anni nel 1998.
nel 2000 fu letteralmente raccolto da sotto un ponte da christian hochstätter, bandiera del mönchengladbach, nipote di helmut haller e allora direttore sportivo del club, che lo ricoverò in una clinica salvandolo dalla morte certa. da allora borowka non ha più toccato l'alcol e si è rifatto una vita, a quanto pare modesta, tranquilla e serena, e ha fondato un'associazione che sostiene calciatori con problemi di dipendenza.

il più sregolato di tutti, invece, fu un inglese. come potrebbe essere altrimenti?
e non intendo né george best ("i spent a lot of money on booze, birds and fast cars. the rest i just squandered"), né paul gascoigne.
mi riferisco all'attaccante robin friday, "the greatest footballer you never saw".
questo è il titolo della sua biografia, scritta paul mcguigan, il bassista degli oasis.

la carriera di questo fenomeno durò circa sei anni. tre anni da semiprofessionista tra la quinta e la settima divisione, poi dal 1974 al 1977 tre anni tra la quarta e la seconda divisione dove totalizzò 60 gol in 160 presenze per il reading e per il cardiff.
chi l'ha visto giocare parla di un fuoriclasse assoluto.
ma robin friday è stato anche un fuoriclasse dell'autodistruzione.
già da ragazzino, oltre all'hard rock, era dedito all'alcol e a stupefacenti di ogni genere.
raramente lo si è visto sobrio. per lui le trasferte erano occasioni da non perdere per mettere a soqquadro i pub di città sconosciute.
una delle sue bizzarie ricorrenti era un ballo da lui inventato che soprannominò "l'elefante".
consisteva nel roversciarsi i taschini e nell'aprire la patta dei suoi blue jeans.
si ritirò dal calcio all'età di 25 anni.
morì nel 1990 all'età di 38 anni. per un arresto cardiaco probabilmente causato da una overdose di eroina.
ancora oggi è un mito: in un sondaggio lanciato nel 2004 dalla bbc friday fu l'unico ad aggiudicarsi il titolo di miglior giocatore di sempre in due club, appunto il reading e il cardiff per il quale giocò solamente 25 partite.

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Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.
(Samuel Beckett, Worstward Ho)
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21/11/2012 11:53
 
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è morto come giocatore.
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22/11/2012 12:28
 
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è uscito anche "Tout seul" di Domenech..


Carino il commento su Anelka che gli disse“Razza di stronzo fattela a te la tua squadra di merda” senza mai scusarsi:

“Mi sorprese di più il fatto che Anelka mi diede del tu, rompendo la barriera dell’età, degli schemi, della gerarchia”.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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11/12/2012 16:10
 
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Neffa e la musicalità del bidone


Gustavo Neffa, comprato in fretta e furia, aspettato per tre anni, bocciato senza appello: in eredità ci lascia un nome noto ancora oggi, in altri campi

In Italia nemmeno maggiorenne per una raccomandazione pesante, smarrito nella nebbia di Cremona, lontano dal calcio in giovane età per amore, ricordato soprattutto per il nome: storia di Gustavo Neffa, l’uomo che ha ispirato un nome d’arte

SU LE MANI chi conosce il cantante Neffa. Bene. Ora su le mani chi conosce l’attaccante Gustavo Neffa. Pochini? Eppure le storie dei due sono strettamente collegate, tanto che tra loro c’è un saldo rapporto d’amicizia. Ma come può una storia di calcio (nemmeno troppo memorabile) finire in musica?

PER CAPIRE LE ORIGINI DEL MITO bisogna tornare al 1989, campionato del Paraguay. Nel glorioso Olimpia Asunción, club dominato dall’ombra discreta ma pesante di HH2, Heriberto Herrera, c’è un ragazzino. Diciassette anni, andatura dinoccolata, mancino prezioso tipico di chi ha grandi scenari davanti a sé: si chiama Gustavo Alfredo Neffa, ha segnato qualcosa come venti gol alla sua prima stagione da titolare, e HH2 si sente autorizzato a consigliare l’affare in anteprima ad una sua ex squadra. È la Juventus di Boniperti, che compra a primo incanto e parcheggia il ragazzo alla Cremonese.

Dal paese senza mare al mare di nebbia padana però il passo sembra essere troppo lungo: sbarcato nella patria del torrone Neffa non riesce più a trovare il bandolo della matassa. Non lo aiuta di certo il sarcasmo con cui lo accoglie il sempre roccioso Tarcisio Burgnich («Io avevo chiesto un mediano esperto!»), meno ancora la palese mediocrità di una squadra retrocessa senza appello con Ascoli, Verona e Udinese. I gol non ci sono, le buone prestazioni si fanno desiderare, ma arrivano al momento giusto: come a San Siro contro il Milan, sotto gli occhi dei grandi capi bianconeri.

QUANTO BASTA PER LA RICONFERMA, arrivata senza batter ciglio così come il rinnovo del prestito: il ragazzo ha qualità, ne son sicuro – dichiarò Boniperti – ha un po’ faticato il primo anno ma vedrete che in B esploderà. Qualche difetto alla miccia, forse? In quasi trenta presenze la miseria di due gol: a vent’anni però si può ancora incassare la fiducia della dirigenza e guadagnarsi un altro tentativo. Di nuovo in Serie A, dato che nel frattempo è arrivata la promozione: però è cambiato l’allenatore, e il nuovo corso coincide con il taglio del paraguayano di troppo.

PASSO INDIETRO: a Torino, sempre in quegli anni, è attiva una band punk. Si chiamano i Negazione, cambiano batterista ogni tre per due, finché non ne arriva uno con il volto vagamente simile a quello di un calciatore. Si chiama Giovanni Pellino, alias “Jeff”, e somiglia proprio a quel Gustavo Neffa che nessuno ormai si aspetta più tornare a Torino da vincitore. Simile il volto, simile il nome, da Jeff a Neffa il passo è fin troppo breve: ormai il nome d’arte di Giovanni è definitivamente diventato Neffa.

IL NOSTRO NEFFA, nel frattempo, è tornato a casa: vinto dai paragoni troppo pesanti (da Sivori fino a nientemeno che Maradona), vinto dall’ostinata nebbia cremonese, vinto dall’ostilità di un tecnico poco avvezzo alla fantasia sudamericana, Gustavo accetta l’offerta dell’Unión Santa Fe, in Argentina. Nel frattempo ha partecipato alle Olimpiadi di Barcelona, dove ha conosciuto la bella tennista Rossana de los Rios, con cui inizia una relazione: l’amore sembra giovargli, tanto che riesce a strappare un contratto con il Boca Juniors per l’anno successivo.

IN ITALIA INTANTO il Neffa cantante ha iniziato una carriera da solista, riscuotendo subito grande successo con Aspettando il Sole. Del giocatore da cui ha preso in prestito il nome non ha più notizia, però gli piacerebbe conoscerlo, confida ad un amico. Viene esaudito: dall’altra parte del mondo il Neffa calciatore scopre grazie ad un amico di aver lasciato almeno un ricordo di sé in Europa, si mette in contatto via mail, incontra l’omonimo, diventano amici. Ha ormai smesso di giocare, Gustavo: l’amore per quella che ora è sua moglie lo spinge a mollare tutto e seguirla in giro per il mondo come suo preparatore atletico, e tanti saluti a quelli del paragone facile e della critica ancor più facile. Una storia d’amore del tipo “sto con lei, e non m’importa niente”. Neffa insegna.

( calciosudamericano.it )

[SM=x2478856] ma che storia..
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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11/12/2012 16:28
 
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hanno una figlia che sta iniziando ora a giocare a tennis, pare sia molto forte tra l'altro...
conoscevo la storia comunque...
[Modificato da chiefjoseph 11/12/2012 16:28]
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me la ricordo quella cremonese ma lui no.Cmq ho letto che ha fatto tipo 6 gol in carriera a parte l'esordio... [SM=x2478856]
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Davero, braccino corto...

Ma poi non stava male, tipo che non riusciva quasi più a camminare?
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Re:
ShearerWHC, 08/11/2012 13:57:

Twitter @stefano_benzi[SM=g7348]



Bravo giornalista,me lo ricordo a sportitalia.

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Confessa l’uccisione di Eliza Samudio, Bruno condannato a 22 anni

La confessione è arrivata ieri, dopo quasi tre anni di indagini serrate della polizia brasiliana. “Eliza è stata uccisa, il suo cadavere dato in pasto ai cani”. Termina qui la macabra storia del portiere Bruno Fernandes de Souza, per tutti semplicemente Bruno, ex portiere e capitano del Flamengo, condannato a 22 anni e tre mesi di carcere per aver ucciso Eliza Samudio, 25enne modella e pornoattrice con cui aveva avuto un bambino non desiderato.

La sentenza è giunta nella prima mattinata italiana, poco dopo le 2 brasiliane. Nel tribunale di Contagem, nello stato del Minas Gerais, Bruno è stato condannato dal giudice Marixa Rodrigues per triplice crimine: omicidio (17 anni e sei mesi), sequestro di persona (3 anni e tre mesi) e occultamento di cadavere (un anno e sei mesi). La ex moglie, Dayanne Rodrigues, è stata invece assolta. A novembre l’amico di Bruno, Luiz Henrique Romão detto “Macarrão”, e l’ex fidanzata Fernanda Gomes de Castro, erano stati condannati rispettivamente a 15 e 5 anni.

L’ex portiere aveva finalmente confessato la morte della ragazza e svelato ogni macabro dettaglio, negando però di esserne il mandante. Il movente dell’assassinio è una relazione divenuta ormai insostenibile. Bruno aveva avuto un figlio da Eliza, e questo avrebbe potuto nuocere gravemente alla reputazione di un portiere che, in passato, era stato avvicinato pure al Milan. E che anzi, senza lo scoppio del bubbone si sarebbe trasferito in Italia, secondo quanto svelato qualche mese fa dal suo agente. Invece, ora, Eliza Samudio non c’è più e la carriera dell’ex numero 1 è già conclusa.

Bruno aveva confessato tutto nella giornata di ieri, affermando che la ragazza fu strangolata, squartata e poi gettata in pasto ai rottweiler. “Macarrão e mio cugino Jorge la dovevano accompagnare a prendere il taxi, perché doveva volare a San Paolo. Al ritorno, però, tornarono solo loro due. E io chiesi loro: ‘Che avete fatto a Eliza?’ Mi dissero che l’avevano fatta a pezzi e data in pasto ai cani. Mi sento colpevole, ma non sono il mandante“ ha detto. Ma non è stato creduto. E nemmeno le sue lacrime copiose sono servite a intenerire la posizione del giudice, che gli ha inflitto 22 anni di carcere.
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11/04/2013 19:54
 
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Casagrande, autobiografia-shock: "Ero tossicodipendente, in Italia tanto doping"

L'ex attaccante di Ascoli e Torino racconta la sua dipendenza da stupefacenti e alcool: "Prendevo di tutto; in Italia iniezioni dall'effetto sbalorditivo"

Ricordate Walter Casagrande? Giocò in Italia tra il 1987 e il 1993, prima nell'Ascoli e poi nel Torino; fu uno degli eroi granata nella formidabile cavalcata in Coppa Uefa nel 1992, fino alla finale persa contro l'Ajax. Un fuoriclasse senza ruolo, capace di disimpegnarsi egregiamente in qualunque zona del campo, con la sola pecca di una certa discontinuità. A vederlo giocare faceva impressione: un mix eccezionale di tecnica e vigore atletico, un calciatore meraviglioso, universale, in grado di fare reparto, anzi, squadra da solo.

Dopo l'addio all'attività agonistica (nel 1996), però, non se ne era sentito più parlare: le voci di una sua tossidopendenza circolavano, insistenti. Oggi Casagrande esce allo scoperto, e lo fa con "Casagrande e seus demonios" ("Casagrande e i suoi demoni"), un'autobiografia scritta a quattro mani con Gilvan Ribeiro in cui l'ex campione si racconta e si confessa.

Oggi cinquantenne, Casagrande racconta la sua dipendenza da alcolici e stupefacenti, cominciata all'inizio degli anni ottanta. "Iniziai in Brasile, quando giocavo nel Corinthians", scrive, "e ci andavo ancora piano: solo qualche canna e un po' di cocaina". Arrivato in Europa nel 1986 (con il Porto) smise con le droghe ma cominciò con il doping. Tanto doping, anche qui da noi: "In Italia ci obbligavano a fare delle iniezioni intramuscolari: l'effetto era sbalorditivo, ma dopo un po' decisi di smettere".

Poi il ritorno in Brasile, il ritiro e il baratro: "Sentivo una sensazione di vuoto, mi mancava l'adrenalina delle gare e degli allenamenti, e questo mi spinse all'uso compulsivo di droghe e alcool. Imitavo i comportamenti autodistruttivi dei miei miti del rock, come Jimi Hendrix e Janis Joplin: in una sera ero capace di prendere insieme cocaina ed eroina e scolarmi una bottiglia di tequila". Dopo quattro ricoveri per overdose tra il 2005 e il 2007 e una lungo periodo di disintossicazione, oggi Casagrande si sente rinato: fa il commentatore televisivo per Rede Globo e ha lasciato perdere per sempre quei demoni che lo hanno perseguitato a lungo.

www.sportlive.it/calcio/walter-casagrande-auto-biografia-doping-droga-italia-seri...

con questo libro salderà un pò di debiti..
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25/04/2013 21:26
 
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ma frei l'attaccante del basilea si è ritirato?
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Re:
lucaDM82, 25/04/2013 21:26:

ma frei l'attaccante del basilea si è ritirato?




No, è ancora lì (non più titolare, chiaramente). Gioca anche un altro Frei, più giovane
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ferguson si ritira.
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16/05/2013 16:58
 
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A fine stagione si ritira Bechkam ( 38 ).

Fine della carriera anche per Metzelder ( 32 ).
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Re:
Sound72, 16/05/2013 16:58:

A fine stagione si ritira Bechkam ( 38 )



poraccio,chissà se je bastano i soldi.


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:D


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è morto Bruno Metsu, l'allenatore del Senegal ai mondiali 2002..

[SM=g27992]

www.gazzetta.it/Calcio_Estero/15-10-2013/metsu-addio-alleno-senegal-che-stupi-tutti-mondiale-2002-2013631766...
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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