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Cinema

Ultimo Aggiornamento: 17/04/2024 11:19
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20/01/2011 16:26
 
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Francesco Montanari, il Libanese a teatro
Un recital su Lester Bangs il maledetto



ROMA - Deliri, desideri, distorsioni.

Il suo recital romano al Circolo Degli Artisti, con l’etichetta della casa editrice “Minimum Fax”, ha rimesso in primo piano Lester Bangs, ovvero Leslie Conway Bangs, nato nel 1948 a Escondido in California e morto a New York ad appena 32 anni, probabilmente a causa di una dose eccessiva di tranquillanti. Giornalista già famoso, si lasciava alle spalle una serie di articoli caustici, originali, coraggiosi, fra i quali storici una stroncatura degli intoccabili Motor City Five e diverse professioni di rifiuto nei confronti di un artista che pure amava moltissimo, Lou Reed. Francesco Montanari, il Libanese di Romanzo Criminale, ci sta bene, nella pelle di Lester il “maledetto”. Teatro oggi e teatro subito dopo, al Piccolo Eliseo di Roma, dal 15 febbraio al 6 marzo, nel cast di un miniclassico italiano, Piccoli equivoci di Claudio Bigagli, regia dell’autore e colleghi quali Diane Fleri, Mauro Meconi, Stella Egitto, Francesco Martino, Daniele De Martino. Teatro anche ieri: la scorsa stagione ha interpretato Killer Joe di Tracy Letts, storia di un giovane spacciatore che decide di far uccidere la madre per intascare il premio di un’assicurazione sulla vita. Montanari ha il teatro in testa, nonostante la grande popolarità che “Libano”, dopo Romanzo criminale in tv, gli ha dato, in particolare presso i giovani.

«Ho fatto l’Accademia d’Arte drammatica dice , la “Silvio D’Amico”. Ne sono orgoglioso. Una scuola non facile, molto formativa. La consiglio a chiunque scelga la carriera dell’attore. Ti dà i primi strumenti per lavorare, per frequentare tutti i settori, il palcoscenico, il cinema, la televisione, come succede negli altri Paesi, quelli che vengono tirati in ballo quando si tratta di additarli agli artisti italiani. Insomma, potremmo, prima o poi, esorcizzare i paragoni». Nei panni di Lester Bangs, accompagnato dai blues della chitarra di Bruno Marinucci, esalta l’incredibile fisicità che si ritrova in dotazione, la faccia da Oscar, la voce bene impostata, quel tanto di snobismo scenico che serve a rendere credibili i gentiluomini e, con uguale efficacia, i tipi stracciati, drogati, aggressivi, i poeti della sregolatezza. «Lester Bangs è il massino della critica rock militante, un rivoluzionario nel mondo ingessato di chi scriveva di rock, tra New York e Detroit, alla fine dei Sessanta. Uno capace di farsi conoscere, nel decennio successivo, addirittura in tutto il mondo. Scriveva senza remore, come quelli della Beat Generation, Kerouac, Burroughs, Gregory Corso. Stile diretto, disinibizione assoluta, nessuna soggezione ai miti, dissacrazione sistematica». Montanari si sente un divo futuro? «Mi sento pieno di vita, di voglia di fare le cose, di amore. Sono appena tornato da New York, dove ho visto Al Pacino in teatro nel Mercante di Venezia: uno Skylock pazzesco, indimenticabile. Mi sono portato a casa una scena in particolare: lui di spalle al pubblico che recitava “senza faccia”, eppure ci faceva piangere. Davvero. Ho visto gli spettatori con le lacrime agli occhi». Shakespeare. Montanari, romano, classe 1984, diplomato all’unica scuola di Stato per attori, ha gusti fini, propensioni sofisticate che la platea televisiva faticherebbe a indovinare fra le pieghe nere di un delinquente come Libano. «Bisogna saper fare questo e quello dice, senza ostentare . E intanto viaggiare, studiare, conoscere. Un’eterna questione d’amore».

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il libro è molto interessante..personaggio unico Lester Bangs...da fare mi sa un salto al Circolo..
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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25/01/2011 10:17
 
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Re:
Sound72, 13/07/2010 22.06:

Il Vallanzasca di Placido
"A Venezia farà polemica"


I primi 12 minuti del film sul "Bel René", il bandito che seminò il terrore negli Anni 70, sono stati presentati a Lipari. Il regista: "Non è una pellicola a suo favore, ma su una mente criminale"

- Michele Placido lo sa o forse lo spera. “Il mio Vallanzasca farà polemica, perché è un film onesto”, dice il regista che torna a occuparsi di una celebre vicenda di cronaca nera dopo il successo di “Romanzo criminale”, la trasposizione cinematografica delle gesta criminali della Banda della Magliana. Placido ha mostrato a Lipari i primi 12 minuti della pellicola con Kim Rossi Stuart nel ruolo del “bel Renè”, che negli Anni 70 si macchiò di sette omicidi, tre sequestri di persona e un numero impressionante di rapine a mano armata.


Condannato a quattro ergastoli, per complessivi 260 anni di detenzione, Renato Vallanzasca è entrato per la prima volta in galera nel 1972 ed è evaso quattro volte: nel 1987 scappò perfino dalla nave che lo stava portando nel supercarcere dell’Asinara. All’inizio dello scorso marzo, invece, è uscito per la prima volta regolarmente dal carcere Bollate per andare a lavorare in una cooperativa milanese che fabbrica cinture, borsette e portafogli a basso prezzo ed è stata fondata dalla moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, per recuperare i detenuti. Sembra, però, che non abbia perso certe abitudini. Proprio oggi, dopo l’anteprima del film, il sindacato autonomo ha chiesto al capo dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, di intervenire a tutela della dignità e della professionalità dei secondini. “Ci è stato riferito – scrive il segretario generale del Sapp, Donato Capece – che a suo carico sono stati elevati diversi rapporti disciplinari, causati proprio dal suo continuo rapportarsi con i poliziotti in modo irriverente, senza che sia mai stato sanzionato, visto che Vallanzasca continua a fruire dei benefici concessi”.

L’opera di Placido (ispirata al libro “Il fiore del male”, scritto dallo stesso Vallanzasca con Carlo Bonini, edito da Marco Tropea), dal titolo “Gli angeli del male”, sarà alla Biennale del Cinema di Venezia, ma non in concorso, per volere della 20th Century Fox, co-produttore con la Cosmo, e dovrebbe uscire nelle sale il 17 dicembre. Il regista, preoccupato dal rischio di creare un caso simile a quello della miniserie “Il capo dei capi” su Totò Riina che a novembre del 2007 ottenne un successo inatteso su Canale 5, avverte subito: “Questo non è un film a favore di Vallanzasca, ma su una mente criminale. Il problema è che Vallanzasca è ancora vivo. In Italia è difficile fare film su criminali vivi: per paura delle polemiche, perché le associazioni delle vittime ostacolano, Medusa e Rai non hanno neanche voluto leggere la sceneggiatura”.






Ho visto il film. Il vero problema secondo me è a monte ..ovvero l'opportunità di realizzare un'opera del genere su un personaggio che era stato già romanzato in corso d'opera tra un assassinio, un'evasione e un rapimento..Se poi avevi già giocato in modo simile sulla banda della Magliana, l'operazione è ancora piu' inopportuna..Peccato perchè Placido lo ritengo uno preparato, ma di certo lo preferivo nella Piovra..In ogni caso avrebbe potuto dare un taglio piu' oggettivo e asettico alla ricostruzione dei fatti..di film su terroristi e criminali ne circolano a dismisura..Puoi pure fare un film denuncia ( penso a quello sulla banda Baader meinhof ) però mi devi sempre ricordare che questo è prima di tutto un assassino..-E invece cosa emerge?il taglio quasi buonista o cmq la ricerca sempre di un movente ( e implicitamente di un'attenuante ) dato alla ricostruzione di tutti i crimini ( il bandito che mette il cinturone da cowboy per gioco, il fratellino tossico che fa la spia che costringe vallanzasca a giustiziarlo, la polizia che spara sempre x prima etc ) e la bravura di Kim Rossi Stuart che va oltre la somiglianza e la capacità di assorbire il personaggio interpretato, ...
Anche perchè senza scadere troppo nella morale per quanto può essere stato un criminale col senso dell'umorismo nn puoi far ridere la gente al cinema per le battute di Vallanzasca o passare Francis Turatello solo come il rivale che poi diventa l'amico sorridente e il testimone di nozze..
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27/01/2011 18:22
 
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Re: Re:
Ho visto hereafter, di Eastwood....peccato, perchè l'inizio delle storie, che dopo si intrecciano durante il film è creato bene....dopo però la sceneggiatura è lenta e i collegamenti sono forzati.
Finale scontato...e tirato a campà ....da Eastwood mi apsettavo qualcosa di più.....certo con Matt Damon inespressivo come 'na statua non è che mi attendessi st'interpretazione eccelsa...
mah? Sento che è piaciuto a tanti...sarò strano io?
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27/01/2011 23:28
 
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Me ne hanno parlato bene.
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03/02/2011 18:16
 
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E'morta Maria Schneider, la protagonista di Ultimo tango a Parigi..

RIP..
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18/02/2011 17:24
 
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If not us, who di Andres Veiel:
alla Berlinale la Germania
fa autocritica sul terrorismo


La follia terrorista osservata al microscopio, partendo dai legami familiari e dai rapporti amorosi per arrivare a descrivere il terreno in cui maturò e prese piede, alla fine degli Anni 60 in Germania, l’ideologia della lotta armata. Con If not us, who di Andres Veiel, ieri in concorso alla Berlinale, il cinema tedesco torna a parlare di eversione e passato recente concentrando l’attenzione sulle figure di Gudrun Esslin, fondatrice con Andreas Baader della Raf, e di Bernward Vesper, scrittore ed editore figlio del poeta e critico letterario filo-nazista Will. Legati da una passione potente e tormentata, fin dal primo incontro all’università di Tubinga, nel 1961, Gudrun e Bernward condividono interessi letterari e lavorano fianco a fianco per creare una casa editrice che dia voce a idee progressiste e controcorrente. Ma i traumi che hanno segnato le loro infanzie, le aspirazioni sempre più radicali, i tradimenti di lui, l’autolesionismo di lei, le illusioni dell’amore libero senza sofferenza, li condurranno alla frattura finale, sentimentale prima che ideologica. Gudrun abbandona Bernward e il figlio Felix, si lega a Baader, sceglie la clandestinità e corre veloce verso il finale tragico della propria esistenza, nella prigione di Stammheim, con un cavo intorno al collo.

Spiega Veiel: «Non è la prima volta che il cinema tedesco affronta questo tema, eppure sono convinto che, per trovare spiegazioni a ciò che è accaduto, sia necessario esplorare le biografie dei protagonisti di quel crescendo di violenza. Per questo ho voluto indagare nel background delle vicende familiari e descrivere l’impatto emotivo che in quegli anni ebbero eventi come il processo al criminale nazista Adolf Eichmann e i bombardamenti in Vietnam». La lunga pratica di documentarista ha messo Veiel al riparo dal pericolo di idealizzazione dei protagonisti. Affidare (in modo anche un po’ troppo meccanico) la scansione degli eventi storici ai materiali di repertorio, dalla crisi dei missili di Cuba alla visita di Kennedy in Germania, è un modo per prendere le distanze, per rendere al massimo l’oggettività dei fatti: «Prima di If not us who ho girato un documentario dedicato alle vittime dei terroristi, nessuno può accusarmi di essere dalla loro parte». E poi c’è la volontà di guardare al passato per riflettere sul presente: «Volevo misurare la temperatura di quei tempi per capire quello che potrebbe succedere adesso, anche se le situazioni sono differenti».

Intorno ai due protagonisti, interpretati con profonda aderenza da August Diehl e Lena Lauzemis (tutti e due papabili per un premio), ci sono le esperienze dell’epoca, i viaggi psichedelici, le comuni, la musica rock, la nascita del movimento delle Pantere nere, i discorsi di Marthin Luther King, l’entusiasmo per i Vietcong che combattevano e vincevano contro il gigante Usa: «Molti sostengono che, quando si racconta una storia politica, non è possibile raccontarne anche una amorosa, ma, almeno in questo caso, è una sciocchezza. Allora si diceva "il privato è politico", e infatti, nelle vite dei miei personaggi, le due cose non sono scindibili». Nel rapporto tra Gudrun e Bernward si specchiano le incongruenze e gli errori fatali che portarono al fallimento del sogno rivoluzionario: «Potrei dire che questo film demistifica un’icona, che Gudrun Ensslin non è stata una Giovanna d’Arco in lotta per la causa in cui credeva, ma piuttosto una specie di Medea che è arrivata a sacrificare la vita di suo figlio dicendo a se stessa che era suo dovere offrirgli un mondo migliore. Insomma, il sacrificio ea così grande che bisognava trovare una ragione altrettanto grande per compierlo». Dopo la morte di Gudrun e l’esplosione della follia di Bernward, il piccolo Felix, si legge nei titoli di coda, venne affidato a un famiglia di sconosciuti. Basterebbe questo per levare all’avventura dei due protagonisti qualunque alone di fascino romantico.


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a me anche quello sulla la banda Baader Meinhof nn era dispiaciuto pure se il migliore sul genere credo resti Anni di piombo
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15/03/2011 11:50
 
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IL WEB BOICOTTA 'AMICI MIEI':
"NON PROFANATE MONICELLI"




ROMA - Alla vigilia dell'uscita di «Amici miei - Come tutto ebbe inizio», arriva a quota 90 mila iscritti il numero degli utenti internet che hanno manifestato la propria intenzione di disertare le sale dove verrà proiettato il film di Neri Parenti con Christian De Sica, Ghini e Panariello. Iniziative di protesta sono previste anche a Firenze e in Toscana. «In 57 mila si sono iscritti al gruppo principale di Facebook, più 34 mila in costante aumento sull'evento d'appoggio dedicato al boicottaggio, con qualche inevitabile doppione», commenta Franco Bagnasco, il giornalista che ha fondato il gruppo di Facebook 'Giù le mani da Amici miei', rilanciato dal blog www.lospettacolodevecontinuare.com. «Ma è la prima volta in Italia -aggiunge Bagnasco- che dal basso, dal web, parte una sorta di crociata per difendere dalla 'profanazione' cinepanettonesca un titolo oggetto di culto, e la memoria di artisti come Monicelli, Tognazzi, Celi, Noiret, Montagnani, Del Prete e Moschin, l'unico ancora in vita. I veri 'Amici miei' contro quelli tarocchi, insomma. A prescindere da quello che sarà il risultato del film al botteghino -aggiunge Bagnasco- l'incredibile successo di questa obiezione di coscienza di massa è un test, che potrebbe forse in futuro cambiare alcune regole del gioco nel mondo del cinema, troppo spesso impegnato a prendersi gioco degli spettatori con dubbie operazioni». Un'iniziativa contro «l'utilizzo -conclude Bagnasco- di un titolo cult del calibro di 'Amici miei', per un prequel che non c'entra niente con l'originale e con i suoi protagonisti».

IL PREQUEL DI NERI PARENTI C'erano una volta l'ironia graffiante di Philippe Noiret, la cattiveria di Ugo Tognazzi, l'ingenuità di Gastone Moschin e l'astuzia del dottore Adolfo Celi. Era il 1975 e quel formidabile quartetto (Duilio Del Prete il quarto, Celi si aggiungeva cammin facendo) era protagonista di un film culto diretto da Mario Monicelli. A distanza di 36 anni arriva in sala (16 marzo, distribuzione Filmauro) «Amici miei... come tutto ebbe inizio», la commedia firmata da Neri Parenti e ambientata nel 1487, prequel dell'originale di Monicelli. Siamo a Firenze, alla corte di Lorenzo il Magnifico, e nel palazzo dei Priori si discute di allume e di come inventare una guerra per arraffare le miniere di Volterra. Uno di loro dice: 'Che importa? Il popolo è grullo, tutto quello che gli si racconta se lo beve'. Parole profetiche, mentre una voce fuori campo aggiunge: 'Tanto a che serve? Dopo che hanno votato, il Magnifico fa di testa sua. Bella Repubblica non c'è che dire…Savonarola e le sue tirate a desinare e il Magnifico a cena'. In questo contesto poco allegro, Messere Duccio (Michele Placido) si annoia ad ascoltare i colleghi che parlano di guerra, tasse e morale, aspetta il momento giusto per scappare ed ecco che i suoi compagni d'avventura si materializzano uno dopo l'altro: i nuovi personaggi hanno le facce di Christian De Sica (che cerca di gabbare la moglie che a sua volta però gli riserva una sorpresa), Giorgio Panariello, Massimo Ghini (l'eterno spiantato con sei figli) e Paolo Hendel.
« Lo scenografo Francesco Frigeri - dice Neri Parenti - ha fatto un lavoro incredibile: è riuscito a restituire le atmosfere rinascimentali della corte di Lorenzo il Magnifico (che ha il volto di Alessandro Benvenuti)». Ma la sfida (e il tranello) di una storia in costume era in primis la ricostruzione: «Non abbiamo trascurato nessun particolare - racconta Luigi De Laurentiis, produttore con il padre Aurelio -. Dalla prospettiva di ogni ambiente alla luce per la fotografia. Mettere in piedi un set così oggi è un'esperienza incredibile». A questo progetto Parenti ci stava pensando da un pezzo, dal '96 quando gli sceneggiatori Leo Benvenuti e Piero De Bernardi (entrambi scomparsi e a cui il film è dedicato insieme a Tullio Kezich) con cui stava girando 'Fantozzi - il ritorno', ebbero l'idea di fare un prequel di 'Amici miei'. «Realizzarlo - spiega Parenti - per me è stato il sogno di una vita. E se qualcuno ancora se lo chiede, il collante, lo spirito che li lega, è la cattiveria del gruppo, qui ancora più 'spiccata'». Uno dei punti in comune con 'Amici miei' di Mario Monicelli, racconta Christian De Sica non è solo nello spirito della goliardia e della zingarata: «Il significato vero delle azioni dei protagonisti è lo stesso dell'originale, ossia farsi beffa della maturità, dell'età adulta. Attraverso gli scherzi cerchiamo di prolungare lo stato della fanciullezza, esorcizzando così la morte, la malattia, la paura di invecchiare». Aggiunge Michele Placido: «Poco dopo aver accettato la parte, mi chiamò Monicelli e mi disse: 'Se è divertente fai bene ad accettare'». Anche Hendel racconta di aver parlato con il grande regista scomparso da pochi mesi e gli ribadì che ciò contava era realizzare un'opera allegra, che strappasse risate anche amare. I numeri del prequel sono da capogiro: più di 6 mesi di lavoro e oltre 3500 comparse per costruire il set, di cui solo 1000 per girare a Pistoia la partita di calcio storico fiorentino, 50 controfigure acrobatiche hanno garantito le scene stunt a piedi e cavallo (vedi il Corteo Papale). Ogni giorno all'opera 110 persone di troupe tra elettricisti, macchinisti, attrezzisti, fonici, assistenti alla regia, truccatori, parrucchieri, costumisti e sarte e assistenti alla scenografia, effetti speciali, cavallerizzi, addetti agli animali. Insomma: un'impresa davvero colossale

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15/03/2011 14:15
 
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coma daje torto...
monicelli, tognazzi, celi, noiret, montagnani(moschin è ancora vivo se non erro...)
staranno proprio a fa' le capriole nella tomba...
[Modificato da gianpaolo77 15/03/2011 14:15]
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Re:
gianpaolo77, 15/03/2011 14.15:

coma daje torto...
monicelli, tognazzi, celi, noiret, montagnani(moschin è ancora vivo se non erro...)
staranno proprio a fa' le capriole nella tomba...



pure Del Prete si starà rigirando nel loculo..
Moschin ancora vive, io l'ho incontrato 4 anni fa in una trattoria nel viterbese..stava con una bella biondina..spero per lui che se la continui a passare bene
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De Sica figlio è dannoso.
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Si è spento Enzo Cannavale: con lui se ne va un pezzo del grande teatro napoletano

Attore di teatro dalla comicità e dell’ironia tipicamente napoletane, abile caratterista, Vincenzo Cannavale, detto Enzo, ha calcato per l’ultima volta il palcoscenico della sua vita: si è spento oggi 18 marzo a Napoli all’età di 83 anni.

Nato a Castellmare di Stabia il 5 aprile 1928, Cannavale è stato un attore che si è formato e forgiato recitando in teatro lavorando accanto a mostri sacri quali Eduardo De Filippo e Aldo Giuffrè. Era, infatti, uno degli ultimi esponenti del grande teatro napoletano.

‘Fortunato…!’, ‘Miseria e nobiltà’ e ‘La festa di Montevergine’ sono solo alcuni tra gli spettacoli di successo in cui ha recitato. Tantissimi i suoi ruoli al cinema, grande il successo nel cinema di genere tra anni settanta e ottanta, periodo in cui ha fatto coppia con Bombolo (nome d’arte di Franco Lechner, attore italiano di cinema e varietà) che gli faceva da spalla. Ha recitato accanto a nomi illustri del panorama italiano come Troisi, De Crescenzo, Salemme, Nanny Loy, Marco Ferrei e la Wertmuller.

Impossibile dimenticare la sua interpretazione nel 1988 in ‘Nuovo cinema Paradiso’, pellicola di Giuseppe Tornatore vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1989 e dell’Oscar per il miglior film straniero. Sempre nello stesso anno reciterà in ’32 dicembre’ di Luciano De Crescenzo vincendo il prestigioso Nastro d’Argento come ‘Miglior attore non protagonista’.





RIP
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23/03/2011 18:53
 
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è morta Elyzabeth Taylor..RIP..
praticamente l'ultima diva di Hollywood..
ed in effetti..non è rimasto piu' nessuno di quella generazione di cinema..
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08/04/2011 10:09
 
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a proposito di "e sti cazzi" ... ieri ho visto Boris ,il film.
Qualche buono spunto ma insomma ,niente di che ,alla fine è un puntatone del telefilm.
Che poi anche la terza serie era andata a picco come idee secondo me
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si.. è un puntatone.
(devo però dire che anche se non ti sbellichi dalle risate per tutto il film - risate che però ci scappano eccome - mi hanno preso tutti per matto appena iniziato il film: quando ho letto il nome della fiction che stavano girando giuro che non mi riuscivo a fermare!)

ed è vero che la terza serie non ha il ritmo delle prime due.
però le ultime tre puntate della terza serie fanno ride na cifra.

nel complesso ci sta tutto, dai.
non sono di quei tipi che diventano cultori ma quando vedo Boris (sopratutto un'episodio, una scena mai vista) ho come quella sensazione di sentirmi a casa.

e dai! dai! dai!
[Modificato da giove(R) 08/04/2011 16:13]


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18/04/2011 13:50
 
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Questo Moretti non parla
di Vaticano ma di solitudine


Stampa.it- «Non è un film sul Vaticano» ha detto Nanni Moretti presentando Habemus Papam, e ha aggiunto: «E’ un film sulla difficoltà di essere all’altezza delle aspettative degli altri». Che non sia un film sul Vaticano è abbastanza chiaro, nonostante sia ambientato nella Cappella Sistina e nelle stanze del palazzo papale: basta osservare come lo sguardo di Moretti è sì rivolto ai cardinali e al loro modo di essere e di vivere, ma più per costruirci una commedia di costume che per analizzarne criticamente la natura.

Che sia invece un film sulla difficoltà di essere all’altezza di ciò che gli altri si aspettano da noi, c’è qualche dubbio. Nel senso che, se lo si segue nelle sequenze migliori e più intense, cioè in quelle in cui è presente Michel Piccoli nel ruolo del papa appena eletto, il contenuto di fondo appare essere la solitudine e la vecchiaia. Come se il protagonista - lo sconosciuto cardinale Melville divenuto pontefice dopo non poche fumate nere - rappresentasse emblematicamente la crisi esistenziale che può colpire chi è solo e chi è vecchio.

Si osservi come si muove, solitario, per le vie e i locali di Roma dopo che è riuscito a fuggire dal Vaticano: come guarda la realtà che lo circonda, come si intrattiene con le persone che incontra. E’ una presenza che ci tocca nel profondo, che ci pone non poche domande sulla vita del singolo e della collettività. E’ un momento di grave crisi che Moretti riesce a presentarci attraverso uno sguardo cinematografico di rara intensità drammatica, grazie anche alla recitazione sublime di Piccoli.

Da quest’ottica narrativa e rappresentativa, inframmezzata da una serie di sequenze di diversa natura, ambientate nelle stanze del Vaticano, la realtà appare complessa, di non facile soluzione. E non tanto per il fallimento dell’azione dello psicanalista, costretto a rimanere con i cardinali, dal momento che il nuovo papa è scomparso, quanto piuttosto per la difficoltà a risolvere il problema di fondo che il film presenta. Che è il sentirsi soli e chiusi in un mondo astratto. Se si tralasciano le scene comiche e divertenti, ma un po’ scontate e ripetitive, è il dramma a essere il filo conduttore del racconto.

Un racconto che inizia con la straordinaria sequenza del conclave e dell’elezione del papa e si conclude col suo breve discorso finale, in cui annuncia il «gran rifiuto». Ma in mezzo ci sta la contrapposizione fra la vacuità della vita dei cardinali e quella che possiamo definire l’«intensità indiretta» con cui il nuovo papa va alla ricerca di una ragion d’essere, in mezzo alla gente comune che vive la vita di tutti i giorni senza porsi domande. Ed è una contrapposizione che dà al film un significato ulteriore e ne fa un dramma esistenziale di rara efficacia.

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19/04/2011 09:24
 
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È morto Osamu Dezaki, il regista
dei cartoni Lady Oscar e Remì



Ha diretto anche episodi di «Lupin III» e «Astro Boy» Tra gli altri titoli Jenny la tennista» e «Il tulipano nero»




MILANO - Il regista giapponese Osamu Dezaki, che ha legato la sua carriera alla regia di popolari cartoni animati come «Lady Oscar», «Remì» e «Lupin IIII», è morto domenica a Tokyo all'età di 67 anni per le complicazioni di un tumore ai polmoni. Il suo nome è parte della storia degli «anime» giapponesi. Pur lavorando sempre su soggetti scritti da altri autori («Jenny la tennista», «L'isola del tesoro», «Astro Boy» tra gli altri), Dezaki è riuscito ad imprimere un segno caratteristico a tutta la sua opera, sia per lo stile, caratterizzato da inquadrature «oblique» ed angolate dal basso nella maniera espressionista, sia per il tipo di storie, spesso permeate di un certo nichilismo di fondo. A lui si deve l'introduzione negli "anime" di soluzioni registiche innovative come lo split screen e l'uso di fermi immagine su disegni particolarmente curati, da lui stesso definiti «cartoline ricordo». Dezaki è stato anche il primo regista a sperimentare l'animazione digitale generata da un computer in una scena panoramica nella serie «Golgo 13». Nato a Tokyo il 18 novembre 1943, dopo il diploma presso il liceo Kitazono, Dezaki entrò nella Mushi Productions di Osamu Tezuka dove si formò come disegnatore e direttore dell'animazione di alcuni episodi delle serie «Astro Boy» (1963), «Kimba il leone bianco» (1965) e «Monkey» (1967)


LA CARRIERA - Il primo passo da regista avvenne solo nel 1970, quando gli venne proposta la direzione della trasposizione sul piccolo schermo del manga di Takamori Asao e Chiba Tetsuya «Rocky Joe», che divenne immediatamente un cult per i ragazzi degli anni Settanta, i quali si rividero particolarmente in quell'orfano che, per riscattare la propria esistenza, vuole diventare un campione della boxe. La serie venne interrotta anticipatamente per gravi incomprensioni con Osamu Tezuka che portarono poi Dezaki a lasciare definitivamente la sua casa di produzione e a fondarne un'altra, la Madhouse, e diventando uno dei più importanti registi della Tokyo Movie Shinsha, avversaria della Toei. A volte noto anche con gli pseudonimi di Testu Dezaki e Makura Saki, passò da una serie animata all'altra: da «Jenny la tennista» (1973) allo storyboard de «Il tulipano nero» (1975) di Masaaki Osumi e Yoshiyuki Tomino, lavoro che poi replicherá anche per la nuova serie di «Astro Boy» (1980) e per una versione della Fox di Peter Pan dal titolo «Peter Pan and the Pirates» (1990) -, da «Giatrus il primo uomo» (1974) a «Le avventure di Gamba» (1975), passando per «Le più belle favole del mondo» (1976), «Capitan Jet» (1977) e «L'isola del tesoro» (1978).

L'AIUTO - Ma i suoi più indelebili e universalmente conosciuti cartoni animati rimangono «Remì» (1977), tratto dal romanzo «Senza famiglia» di Hector Malot, e «Lady Oscar» (1979), ma solo a partire dal 19° episodio in poi, proprio perché la serie era in calo di ascolti durante i primi episodi e per Tadao Nagahama fu necessario un aiuto per risollevare l'audience: quell'aiuto era appunto Osamu Dezaki. A cavallo fra gli Anni Ottanta e Novanta, si trasferì negli Usa, insegnando tecnica dell'animazione alla Fox, realizzando serie tv e pellicole per un gusto più adulto come: gli «SF Space Adventure Cobra» (1982) e «The Mighty Orbots» (1984) e i suriraa «Golgo 13» (1993, molto amato da Quentin Tarantino) e «Golgo 13 - Queen Bee» (1993). (fonti: Adnkronos e Wikipedia)

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RIP..

Remi era un pò triste cmq..Astro boy nn me lo ricordo..io conoscevo Astroganga e Astrorobot.. [SM=g7554]
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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20/04/2011 16:32
 
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Lady oscar era fatto bene.Cmq mitici i cartoni anni'80,sia le storie che le sigle e i doppiatori. Nostalgia[SM=g7542]
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30/04/2011 10:06
 
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un mio amico cinefilo mi ha prestato questo DVD



Il film è diretto da Edgar Wright ed interpretato dagli attori Simon Pegg e Nick Frost, trio reduce dal successo milionario de L'alba dei morti dementi. Mentre quest'ultimo ricreava in chiave parodistica le scene dal mondo dei B-movie anni settanta-ottanta, Hot Fuzz prende di mira il mondo del cinema d'azione e omaggia con citazioni anche esplicite i titoli classici dell'action come Point Break, Bad Boys e i vari Die Hard sempre tingendo la pellicola di humor inglese.
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30/04/2011 13:41
 
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Bel film, ma "Shaun of the dead" è il loro capolavoro!
[Modificato da ShearerWHC 30/04/2011 13:42]
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20/05/2011 10:28
 
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Re:
ShearerWHC, 30/04/2011 13.41:

Bel film, ma "Shaun of the dead" è il loro capolavoro!




l'ho visto e mi ha deluso molto, l'idea è bella ma secondo me non è stato sviluppato bene ed ho riso molto di più con Hot Fuzz.

Ieri sera invece ho rivisto "quel pomeriggio di un giorno da cani" (rivisto per modo di dire mi ricordavo vagamente di averlo visto da ragazzino poi non l'hanno più passato in tv)
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