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Arte

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2022 10:44
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Città: ROMA
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Sesso: Maschile
10/02/2011 14:18
 
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Anni 70, teste di punk
contro il sistema


Musica, grafica, abbigliamento: una mostra a Roma rilancia il movimento dei Sex Pistols e sostiene che non era moda ma arte vera

Nostalgia? Feticismo? O una sorta di catalogo di modernariato? Niente di tutto questo, assicura Eric de Chassey, direttore dell'Accademia di Francia a Roma, a proposito della mostra «Europunk - la cultura visiva punk in Europa, 1976-1980». De Chassey, che della rassegna a Villa Medici è curatore con la collaborazione di Fabrice Stroun del Mamco di Ginevra, ha raccolto per la prima volta un notevolissimo catalogo di oltre cinquecento «residuati», come direbbero i Sex Pistols, provenienti da collezioni private: T-shirt della premiata ditta Malcolm McLaren-Vivienne Westwood al tempo in cui quest’ultima disegnava i capi fetish venduti nel negozio Sex al 430 di King's Road e non era ancora una stilista di fama internazionale elevata al rango di Dama dalla regina Elisabetta; serigrafie e illustrazioni e manifesti disegnati dall’artista-pubblicitario anarchico-situazionista Jamie Reid e destinati a provocare nel giro di pochi mesi una vera e propria rivoluzione estetica in ogni angolo del globo; fanzine ciclostilate o fotocopiate all’insegna del più rigoroso Do-It-Yourself come per esempio la storica Sniffin' Glue, che fin dalla testata («sniffando colla») omaggiava gli apripista newyorkesi Ramones; copertine di dischi di gruppi che di lì a poco sarebbero diventati leggendari, si pensi ai Clash di Joe Strummer poi contestati dagli anarchici Crass in quanto «merce» al soldo del capitalismo, oppure destinati a coltivare nel corso dei decenni un seguito di pochi ma entusiasti aficionados, come i pordenonesi Tampax.

Già, perché la mostra ha appunto un respiro europeo, e comprende anche materiali provenienti da Paesi come il nostro, oltre che dall’Olanda e dalla Francia, dalla Germania e dalla Svizzera. Se dunque il punk era già diventato oggetto di una cosa all’epoca semplicemente impensabile, ovvero di una sorta di musealizzazione, vedi la retrospettiva «Punk» tenutasi alla galleria The Hospital di Londra nel 2004, nessuno aveva ancora mai guardato a ciò che venne prodotto in quegli anni contrassegnati da un’incredibile urgenza comunicativa anche al di qua della Manica. Quanto al messaggio che proviene da Villa Medici, è chiaro: non si tratta di reperti attinenti alla moda o al design di quel tempo, e neppure di esempi di grafica di rottura o di materiali pubblicitari, ma di vere e proprie opere d’arte, benché i rispettivi creatori abbiano sempre rifiutato l’idea di considerarle tali e soprattutto di ottenere una qualche legittimazione da parte dei critici o del circuito di gallerie e musei a cui invece ambiscono tanti street-artist di oggi. Del resto, è sufficiente pensare alle caratteristiche intrinseche del punk delle origini: non solo il caos e l’anarchia e quindi il rifiuto delle regole, ma anche la derisione, lo sberleffo, l’ironia, la parodia.

Dada, Costruttivismo, Situazionismo: l’estetica e gli slogan del punk discendono direttamente da queste avanguardie del Novecento. Ed è con la prima apparizione televisiva dei Sex Pistols nell'agosto del 1976 nel programma So It Goes che la violenza come canone estetico del punk arriva a contatto con un pubblico diverso da quello che affolla i primi concerti della band, e non a caso è da questo filmato che la mostra prende il via. Quelle immagini rendono evidente come al di là delle apparenze non si tratti soltanto di un fenomeno musicale. La rivolta contro l’ipocrisia che permea la società e la vacuità del pop, poi destinata a riprodursi in tanti altri contesti, dalle proteste dei chaoten tedeschi contro il nucleare ai concerti a favore dei minatori inglesi in sciopero alle marce contro l’installazione dei missili Cruise, passa anche per il sovvertimento dei codici estetici tradizionali. Simboli nazisti e pornografia, topi e scarafaggi diventano a un tratto «armi usate contro l’ordine stabilito».

Per sistematizzare materiali e linguaggi tanto eterogenei, Eric De Chassey e Fabrice Stroun hanno individuato otto percorsi: oltre alla miccia che innescò il tutto nell'estate del 1976, ossia i Sex Pistols, ecco il collettivo francese Bazooka, che in luogo della musica scelse proprio le arti grafiche e il fumetto, puntando a invadere i mezzi di comunicazione; poi ecco l’arte del Do It Yourself, applicata alle riviste come ai vestiti, usati anch'essi per comunicare; quindi, le contraddizioni di un movimento che «non disprezza di mostrare simboli e loghi provenienti da diverse fonti, come la disillusione nei confronti delle pretese rivoluzionarie, l'apologia della violenza, il fascino del terrorismo, il compromesso e il radicalismo». E ancora la regressione come strategia di comunicazione, e infine il ritorno all’ordine con la New Wave. Nel mezzo, una sezione ci riguarda da vicino, ed è quella dedicata al caso italiano. Mentre in Inghilterra molti giovani sceglievano di esprimere la loro rabbia e la loro frustrazione attraverso il punk, in Italia questo stesso sentimento si sarebbe espresso in forme diverse, compresa la scelta tragica e senza ritorno del terrorismo.

Mentre la casa editrice Arcana rimanda in libreria la versione aggiornata e comprensiva di interviste inedite di Il Grande Sogno Inglese di John Savage, «il più bel libro scritto sul punk» secondo il New Musical Espress (e lo stesso Savage è autore di uno dei testi del catalogo della mostra), colpisce trovarsi di fronte a questi «residuati» della fine degli Anni Settanta dovendo fare i conti con il fatto che in fondo si tratta, oltre che di opere d’arte, delle testimonianze di un’avventura in un certo senso profetica. Che cosa c'è di più di attuale per i ventenni di oggi, non solo europei ma anche tunisini, egiziani, albanesi, dello slogan «No Future» e degli autobus disegnati da Jamie Reid e diretti rispettivamente a «Nowhere» e «Boredom»?


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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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