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Arte

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2022 10:44
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01/02/2011 14:56
 
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Sound72, 21/12/2010 9.37:

La gentildonna è un bel rebus


A Roma 5 secoli di "enigmistica" tra divertimento e arte: anche un ritratto di Lotto è una sfida a trovare la soluzione

ROMA
«Ah, che rebus!» è il titolo tra allegria e esasperazione di una mostra curiosa e piena di sorprese appena aperta a Roma a Palazzo Poli (fino al prossimo 8 marzo). «Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia», spiega poi il sottotitolo, e si scopre percorrendo le sale che il rebus - quel rompicapo dove il decifratore è sfidato a trovare la frase-chiave racchiusa in una vignetta spruzzata con qualche lettera dell’alfabeto - non è solo un passatempo per enigmisti, ma uno scherzo d’artisti, un arcano araldico, un divertimento scientifico (le «cifre figurate» elaborate da Leonardo, per esempio).

Tanto per partire alla grande, ecco in apertura un magnifico ritratto di gentildonna di Lorenzo Lotto ritrovato nel 1913 a Bergamo, quasi un hors d’oeuvre della grande mostra dell’artista veneto imminente alle Scuderie del Quirinale, e la gentildonna, non bella ma vestita fastosamente, sarebbe rimasta una sconosciuta non fosse stato per un rebus inserito dal pittore nel quadro. È una piccola mezzaluna nell’angolo in alto a sinistra, e dentro la falce sono inscritte le lettere maiuscole CI. Si tratta di un rebus a incastro, spiega chi se ne intende: le lettere, cioè, si inseriscono, spezzandolo, nel nome della cosa. Qui la cosa è la luna, le due lettere ci si infilano in mezzo formando così il nome Lucina. Via con lo sfoglio degli archivi coevi ed ecco saltar fuori l’identità della signora, l’aristocratica Lucina Brembati.

Col suo piccolo enigma Lorenzo Lotto presuppone uno spettatore «amante dei giochi a chiave e degli esercizi di intelligenza», suggerisce il critico Mauro Lucco. E in verità simili giochi erano nel Cinquecento diffusi, e ben più ricchi e vasti del rebus lucinesco. Basta guardare il Libro d’arme & d’amore di Andrea Baiardo, per esempio, che è una specie di rebusistica graphic novel rinascimentale, per farsene un’idea. Anche se, va detto, fino all’Ottocento il rebus, e la mostra lo illustra con abbondanza d’esempi, era più un’esibita capacità di «tradurre» parti delle parole di un testo in immagini costruendo così testi «misti» facilmente intelligibili che l’elaborazione di una vignetta misteriosa fregiata di lettere qua e là, del tutto impenetrabile a prima vista.

È dall’Ottocento in poi che il rebus s’accampa sui giornali, si fa gioco di massa ed elabora un linguaggio enigmistico suo, con convenzioni e regole per gli adepti, ignorando le quali è spesso impossibile scioglierlo. Ah, che rebus! Ma intanto, scusate, perché questo tipo di gioco tra natura e scrittura, tra mimesi e simbolo si chiama «rebus», adottando come nome l’ablativo plurale del sostantivo latino «res» che significa «cosa»? Sul catalogo bello e dotto della mostra (Mazzotta editore) si occupa della questione Franco Bosio. Tra le spiegazioni proposte: rebus perché si tratta di un discorso fatto con le cose (complemento di mezzo, in latino si rende con l’ablativo), non con le parole; rebus come corruzione del francese «à rebours», a rovescio, e sarebbe un’allusione ai depistaggi contenuti nelle immagini (Bosio: «Il rebus trasmette il suo messaggio nascosto... attraverso una o più figure che non significano mai quello che rappresentano apparentemente»). A sostenere questa seconda tesi il piemontese «alla rebusa», alla rovescia appunto.

Ma accanto ai rebus veri e propri, la mostra allinea rebus spuri, opere che adottano la cifra del rebus dentro un contesto altro, artistico, e lì spesso il depistaggio sta nell’illudere lo spettatore che il rebus sia risolvibile e invece è solo uno stilema: si allude all’enigma ma non lo si costruisce. Un esempio per tutti: il Personaggio in grigio di Osvaldo Licini, un dipinto del 1944 esposto astutamente davanti al quadro del Lotto, e anche Licini dipinge una mezzaluna che contiene in sé una lettera - la forma è una G - e sul corno della luna-G si erge un omino, ma il rompicapo è irresolubile, perché non esiste. C’è solo «la pura assonanza con la forma del rebus», commenta Antonella Sbrilli, curatrice della mostra con Ada De Pirro.

Il rebus, con le opere d’arte «assonanti», è dunque anche capire se si tratti o no di un rebus: quello di Balestrini per Sanguineti lo è, quello di Cangiullo per Marinetti lo è a metà, quelli di Tano Festa non lo sono affatto anche se copiano i rebus di Maria Ghezzi, la decana degli illustratori rebusistici della Settimana Enigmistica. Ma a Festa del rebus interessa l’aspetto pop, li usa come Lichtenstein i fumetti. Tra tanti nomi famosi e opere «alte», ecco in mostra anche la sconosciuta - ai non specialisti - Maria Ghezzi e le sue chine su carta, gli originali dei rebus che per quarant’anni ha disegnato per la Settimana Enigmistica. Con sorpresa, avulse dall’abituale contesto, quelle chine acquistano peso, spessore artistico, grazia surrealista, metafisica. A 83 anni, in queste sale è nata un’artista.
( lastampa.it)




molto carina questa mostra nel palazzo dietro Fontana di Trevi. 3 sale miste, senza un particolare percorso da seguire, un quadro di Lotto con il ritratto di Lucina Brembate con rebus ( le lettere CI sulla Luna ),i bagni misteriosi rifatti da De Chirico, immagini video delle cifre figurate di Leonardo da Vinci, e diversi schizzi e disegni di autori moderni, riviste di fine '800, un drappo con rebus in omaggio di Pio IX per la concessione dell'amnistia..una serie di quadri contemporanei ispirati addirittura dalle vignette dei rebus della Settimana enigmistica e alcune opere molto originali tipo un mosaico " Lave nere di Milo" raffigurante un vulcano in eruzione isipirato la La venere di Milo..o ancora un omaggio a Feuerbach realizzato sezionando il nome del filosofo ..feuer ( fuoco ) e Bach..rappresentato con spartiti del musicista in parte bruciati da alcuni fiammiferi..
Mostra interessante, gratuita e quindi come succede spesso in questi casi semideserta.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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