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Arte

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2022 10:44
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Città: ROMA
Età: 52
Sesso: Maschile
20/09/2010 14:01
 
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La notte della "Grande Barberini"
La Galleria nazionale di arte antica, finalmente padrona degli spazi che le erano destinati dal 1949, si offre al pubblico con orario notturno e gratis.



Doppia celebrazione: della Galleria, grande museo europeo, e dell'"architettura ritrovata" del palazzo. Cinque nuove sale al primo piano e nove al piano terra prima proibito. Più che raddoppiate le opere esposte, molte restaurate e uscite dai depositi. Trattamento speciale per la "Fornarina" di Raffaello .

ROMA - I raggi del sole della mattinata romana penetrano da una delle alte finestre del più barocco e immenso salone di Palazzo Barberini, affrescato sulla volta da Pietro da Cortona con più di cento personaggi (e infatti ci mise sei anni dal 1633 al '39) e un congruo numero di api simbolo della casata del papa regnante Urbano VIII. Il sole batte sulla parete dorata alta 18 metri dal disegno damascato che manda piccoli brillii. Per i fili d'oro e d'argento inseriti nel filato di seta del lampasso, il tessuto fabbricato al telaio a San Leucio proprio per Palazzo Barberini (mille metri quadri), perché il lampasso è il tessuto che più si avvicina agli antichi corami di origine veneziana o spagnola, non più in produzione, che decoravano le pareti del salone lungo venti metri e largo circa quindici . Il pavimento è di 350 metri quadri di piccole piastrelle di cotto lombardo ocra-arancio, "nessuna uguale all'altra". Come si addice a una "reggia", la reggia iniziata dal Bramente nel 1625 e che Bernini e Borromini fecero barocca nelle facciate, nei due scaloni, nei rilievi, nello stucco romano, che fu d'esempio ai più importanti palazzi e palazzi-ville d'Europa e che solo la gelosia degli architetti francesi impedì al Bernini di comprendere in questo elenco il Louvre.

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Ma come anche si addice alla prima Galleria nazionale di arte antica di Roma che domenica 19 settembre si apre al pubblico, gratuitamente, con orario notturno (19-24) insieme alla Galleria Corsini, alla villa della Farnesina, all'Orto Botanico, dal centro a Lungotevere e Gianicolo, il tutto collegato da navette.

E sotto la volta trionfante di Pietro da Cortona è presente provvisoriamente il dipinto più celebre della Barberini (e fra i più celebri della storia dell'arte), l'indifesa "Fornarina" di Raffaello, simbolo di amore (e di morte per l'autore stando al "gossip" cinquecentesco). Ambasciatrice dei capolavori che attendono nelle sale fra cui spiccano "Giuditta e Oloferne" del Caravaggio (Giuditta che prega mentre taglia la testa al generale assiro), l'"Enrico VIII" di Holbein, il ritratto riprodotto in tutti i manuali d'arte, "anche quelli inglesi".

La celebrazione è duplice. L'inizio della "Grande Barberini", grande museo europeo, finalmente padrona di tutti gli spazi a lei destinati fin dal 1949, con l'apertura di cinque sale al piano nobile (in aggiunta alle dieci aperte nel 2006) con le opere dal XVI al XVII secolo per uno spazio totale di 900 metri quadri. E di nove sale al piano terra, tutte nuove, dai primitivi, XII secolo, al XV secolo. Uno spazio di 1.200 metri quadri. I dipinti esposti sono 300, molti restaurati, contro i precedenti 115 circa. Opere esposte nella prima costipata Galleria Barberini, fatte uscire dai depositi o rientrare dai "prestiti" forzosi a ministeri, ambasciate, enti italiani sparsi nel mondo (anche dal Quirinale) e quindi mai viste. Negli anni Ottanta le opere dei cosiddetti "depositi esterni" erano state inventariate in 600 e oggi sono ridotte a 200. Le novità esposte sono 90 al piano terra e 60 al piano nobile.

La seconda celebrazione è "l'architettura ritrovata" del palazzo che si è liberato di muri, tramezzi tirati su da usi eufemisticamente impropri (quelli del "Circolo delle Forze Armate" con cucine al seguito e intensa attività economica in matrimoni, battesimi, feste varie). Del degrado, della sporcizia per la quale i restauratori hanno lavorato di bisturi su colonne, lesene, rilievi e degli interventi dettati dal cambio di gusti nei secoli per cui dipinti sui muri erano ricoperti da mani di calce e nella "Sala delle Colonne", quella con quattro colonne antiche e una fontana a parete completa di statua, sono stati ritrovati e in parte recuperati. Le pareti delle sale avevano cambiato colore e ora lo hanno recuperato secondo gli "scavi" degli archivi. Le api (tutte diverse, che volano fin sull'ultima cornice della facciata fra i mascheroni-grondaie) hanno riavuto nei rilievi le ali dorate. I 50 restauratori, un esercito, hanno applicato le antiche tecniche e relativi materiali per le quali andavano famosi gli stuccatori e i marmorari romani (che infatti Bernini si era portato a Parigi perché non si fidava di quelli locali). Lo dimostrano i 1.800 metri quadri di "stucco romano" ottenuto con calce e polvere di travertino, una tecnica sopravvissuta fino alla seconda metà dell'Ottocento. E viceversa hanno inserito gli impianti più moderni, l'intervento più ingrato e complesso in un palazzo storico.

Il palazzo ha eliminato, si è liberato dell'ascensore nel monumentale scalone con colonne doriche binate fino al primo piano, la "scala a pozzo quadrato" del Bernini che i visitatori trovano nella parte sinistra del palazzo, a fianco dell'ingresso della Galleria al piano terreno. Negli anni Cinquanta del Novecento era stato eliminato, nella parte destra, l'ascensore infilato a forza in quel miracolo architettonico che fa girare la testa che è la "scala elicoidale" del Borromini, dalle dimensioni di un pozzo, ma di equilibrio perfetto, a colonne binate (chi copiò?), che si innalzano con notevoli rampe fino al quinto livello.

Quello che colpisce è l'assoluta luminosità delle facciate che danno su via IV Fontane, come se il palazzo volesse captare tutta la luce possibile, e infatti il palazzo era considerato la "Reggia del sole", materiale e culturale. La luminosità dell'immenso atrio voltato che immette ai giardini all'italiana dalle siepi di bosso della corte dei Barberini. Da qui parte la rampa originale a gradoni di mattoni che termina davanti alla facciata ocra e cornici bianche della novecentesca Palazzina Savorgnan. Prima dell'inizio della rampa due scale elicoidali su colonne conducono a destra e a sinistra alla galleria e ai giardini.

Questa luminosità (che i visitatori trovano nelle sale dove massima è stata la cura dell'illuminazione delle opere), è data dal travertino pulito: il marmo di cui i Barberini si sono serviti con abbondanza negli antichi monumenti romani e lo stucco mischiato a granelli di travertino con calce. Ma ci sono due particolari che danno il senso della potenza politica, diplomatica, economica e culturale dei Barberini, la famiglia con il papa che nei 21 anni di pontificato (1623-1644) ha "voluto restituire a Roma quella posizione dominante che aveva occupato per secoli", con l'irradiazione e diffusione europea dello "stile barberiniano". Ai lati del portico dell'atrio ci sono due pilastrini, volgarmente dei paracarri. Sono due paracarri in porfido, il marmo esclusivo per le statue degli imperatori romani, qualcosa che non si ritrova in nessun altro palazzo romano (e forse del mondo).

La doppia celebrazione segna anche la fine di una delle "guerre" più defatiganti, vergognose, che lo Stato (ministero della Difesa) ha condotto per più di cinquant'anni (dal 1949 ai primi anni del 2000), contro lo Stato (ministero della Pubblica Istruzione e poi Beni culturali). Il palazzo, acquistato proprio per farne la Galleria nazionale d'arte antica che la Galleria Corsini non poteva più contenere, doveva subire la presenza del "Circolo ufficiali" con una attività incompatibile, che occupava chi dice la metà chi quasi il trenta per cento delle superfici (e di altri meno ingombranti inquilini di cui alcuni sopravvivono, ma con buone prospettive di esodo). Il "Circolo" si è trasferito nella Palazzina Savorgnan e alla fine sono stati mantenuti, solo per il ministro della Difesa, per compiti di rappresentanza internazionale, circa 600 metri quadri del palazzo con due grandi sale, ma senza dipinti. "Ora i rapporti sono molto più amichevoli - osserva Anna Lo Bianco, direttrice della "Barberini" - Il mio obiettivo è di arrivare ad un uso condiviso di questi spazi".

La doppia celebrazione è stata giustamente sottolineata al massimo livello dai Beni culturali. Col ministro Sandro Bondi che non si è dimenticato dei tanti, precedenti colleghi, a cominciare dallo scomparso Alberto Ronchey, che si sono battuti per la "Grande Barberini" e ha annunciato la volontà di "rendere autonomi dal punto di vista finanziario e gestionale i grandi musei e i poli museali ora diramazioni delle soprintendenze". Il sottosegretario Francesco Giro: il prossimo museo a diventare "Grande" saranno a Venezia le Gallerie dell'Accademia che dopo cinque anni di lavori consegneranno nel prossimo dicembre "l'intero piano terra". A livello tecnico. Col direttore generale Mario Lolli Ghetti, il direttore regionale Federica Galloni, le varie direttrici della Barberini, molte diventate soprintendenti come Lorenza Mochi Onori, come Rossella Vodret che ora è a capo della soprintendenza speciale per il patrimonio storico-artistico e il polo museale di Roma, quindi responsabile della "Grande Barberini", Anna Lo Bianco, Angela Negro. La progettista e direttore dei lavori Laura Cherubini, soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, che non ha terminato il compito perché al completamento della "Grande Barberini" mancano il restauro delle facciate (in condizioni disastrose) lato giardini; le dodici sale del secondo piano, non monumentali, senza affreschi e stucchi, che presenteranno i dipinti dal Seicento inoltrato al Settecento, a Canaletto e Batoni; l'appartamento settecentesco abitato dai Barberini fino al 1964 "miracolosamente intatto". L'intervento sui prospetti impegnerà tre milioni e mezzo di euro, una cifra analoga il secondo piano che è già ad un punto avanzato, complessivamente "circa dieci milioni". Durata dei lavori "otto-dodici mesi". L'investimento (non il coso) sulla "Grande Barberini" supera i venti milioni di euro.

Al primo piano, nelle cinque nuove sale , il maggiore fascino dei nomi è quello di Caravaggio e dei primi caravaggeschi di cui la Barberini possiede la maggiore concentrazione. Alla "Giuditta ed Oloferne" è riservata tutta una parete (di rosso scuro). Caravaggio non si libera del suo maggior avversario, Giovanni Baglione, che sulla parete opposta inalbera l'"Amor sacro e amor profano". Fanno compagnia il "Narciso", il "San Francesco in meditazione" di Carpineto, sempre del Caravaggio, il "San Francesco" di Ribera, il "San Francesco sorretto da un angelo" di Orazio Gentileschi, Bartolomeo Manfredi inventore di un metodo per dipingere quadri più caravaggeschi del Caravaggio. Nel "Paesaggio e figura" "ci sono dipinti che si possono vedere da vicino, nei dettagli, come i piccoli animali" osserva Anna lo Bianco: un "Pietro da Cortona che non si vedeva da dieci anni come 'Villa Sacchetti a Castelfusano', opere provenienti dai depositi come il 'Paesaggio con Agar e l'angelò di Poussin". Ancora "invisibili" erano il "Giudizio di Salomone" di Valentin de Boulogne, la "Vanitas" del Maestro della luce di candela, la "Macelleria" di Bartolomeo Passerotti nella sezione "Dalla Maniera alla natura".

Anche le nuove sale del piano terra hanno un titolo che cattura l'attenzione, le didascalie sono in italiano e inglese, ma continuano ad essere scheletriche senza un minimo di elementi artistici, storici o di curiosità, delle dimensioni, che eviti lo spostamento del visitatore dall'opera al pannello molto più elaborato sulla parete. Spettacolare la prima sala dell'"Icona e le Croci". Qui è l'opera più antica della Barberini, l'icona di "Santa Maria in Campo Marzio" datata al 1075. Di fronte a lei l'ultima opera entrata nella galleria, la grande "Croce dipinta" di un seguace di Alberto 'Sotio', fra la fine del XII e gli inizi del XIII, importante documento della scuola pittorica di Spoleto. La testa del Cristo è avanzata rispetto al resto del corpo, a fissare con più intensità l'osservatore. La denominazione è "Croce Jacorossi" perché l'opera è stata concessa in comodato per cinque anni dalla famiglia Jacorossi. E adesso che c'è la "Grande Barberini" ci si può attendere altri atti generosi da parte dei privati. Un'altra enorme "Croce dipinta" opera di Bonaventura Berlinghieri è uno dei restauri (Sandra Pesso) più difficili realizzato grazie all'Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano.

Nei "Colori e ori del Trecento" un pannello di dossale anticipa la pala di altare. Nella sala "Fra tardo-gotico e primo Rinascimento" si vede per la prima volta l'Annunciazione di Maria e due donatori" di Filippo Lippi. Nell'"espressività e la forza serena dei pittori umbri e marchigiani" il "San Filippo Benizzi" del Perugino al quale è attribuito anche il "San Girolamo penitente con Gesù Bambino e San Giovannino" come a Raffaello è attribuita una piccola testa di giovane su affresco staccato. Nei "mille volti della scuola romana" e laziale del Quattrocento dominano Antoniazzo Romano (Madonna col Bambino in trono fra Paolo e Francesco) e Lorenzo da Viterbo (Madonna con Bambino in trono fra l'arcangelo Michele e Pietro).

"Tutta l'arte fino al Quattrocento è un settore di cui la galleria è carente" e dovrà quindi essere rafforzata, ha osservato la soprintendente Rossella Vodret. Fra i fiorentini e altri toscani colpisce Gherardo di Giovanni, pittore, miniatore, musico, amico di Leonardo che lo ispira negli effetti atmosferici del paesaggio e nell'angelo della "Madonna in adorazione del Bambino".

"Luci e colori fra le nebbie. Pittori, veneti, lombardi ed emiliani" riservano due straordinari ritratti di giovani di dimensioni ridotte. Uno, "Ritratto virile", uscito dai depositi, era attribuito alla scuola di Giovanni Bellini, ma secondo Anna Lo Bianco esprime la poetica del maestro. Il secondo è un sofisticato giovane attribuito a Lorenzo Lotto. Il "Rinascimento girovago e visionario di Pedro Fernandez", pittore di Murcia di inizio Cinquecento, si è guadagnato una parete tutta per lui. Con una monumentale tavola dai vivaci colori divisa fra una parte terrestre dai fantastici paesaggi che ricordano i "camini" di Cappadocia, ma di materia plastica. E la parte superiore, la "Città celeste" su di una piattaforma rotonda in navigazione sulle nuvole. Le due parti sono unite da una lunga scala a pioli che sembra partire, quasi in "trompe-l'oeil", da fuori del quadro. Fernandez ha raffigurato la visione del francescano beato Amedeo Menez da Sylvia e la tavola proviene dalla chiesa dell'eremo di Montorio Romano in Sabina dove il mistico ebbe alcune visioni.

Chiudono i "pittori nordici" fra "dettagli della realtà e dell'anima" con l'impressionante, cruda, agitata tavola dei "Pellegrini alla tomba di San Sebastiano" (anche di defunti), opera di Josse Lieferinxe. L'opera è importante perché testimonia l'esistenza nella basilica romana sulla via Appia di un elaborato ciborio duecentesco sulla tomba del martire che non c'è più.

Per la "Grande Barberini" il direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, Mario Resca, ha fissato come obbiettivo il radoppio dei visitatori, da 100 mila a 200 mila nel 2011 in un filone di crescita dei musei statali che nei primi otto mesi è stato del 13 per cento (sei per cento per gli incassi). E Anna Lo Bianco ha commentato: "A 100 mila visitatori siamo arrivati in tre anni partendo da 50 mila, con sole dieci nuove sale".

Per Resca uno strumento per il raddoppio dei visitatori sarà la "Fornarina" che dovrà diventare ancora più l'"icona" mondiale della Barberini, con un allestimento particolare per il quale sarà indetta una gara fra giovani artisti. Intanto sono state venti le richieste per partecipare al bando per i nuovi servizi aggiuntivi che prevedono anche un ristorante. La nuova galleria avrà spazio per le mostre che sono i fari che si accendono sui musei. Chi è spaventato dalla mancanza di sedili nelle sale si tranquillizzi: arriveranno anche quelli, insieme a speciali sedili mobili per le persone con problemi di deambulazione.

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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