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Popolo... religione... o comunque si voglia definirli.

Ultimo Aggiornamento: 04/04/2018 13:05
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15/10/2010 13:47
 
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Sondaggio in Germania: via gli immigrati, i tedeschi rivogliono Hitler

Preoccupa l’avanzata in Germania del fanatismo di destra, che ormai conquista anche le classi medie. Uno sconvolgente studio della “Friedrich-Ebert-Stiftung” mette in evidenza che un tedesco su dieci sogna un “Fuehrer” che guidi di nuovo la Germania “con una mano di ferro”, mentre un altro 15,9% afferma di condividere in parte questa opinione. Un altro allarmante risultato dello studio mette in evidenza che oltre un terzo dei tedeschi (35,6%) chiede di espellere gli extracomunitari, arrivati in Germania solo “per sfruttare lo Stato sociale”, e concorda sul fatto che “la presenza di troppi stranieri ha stravolto in maniera pericolosa la Bundesrepublik”.

Nel presentare lo studio a Berlino, gli autori hanno sottolineato che “nel 2010 si devono registrare posizioni decisamente razziste e antidemocratiche” all’interno della societa’ tedesca, poiche’ ormai ci si trova davanti ad un “mutamento di tendenza”. L’estremismo di destra ha contagiato il ceto medio, poiche’ secondo gli autori lo si riscontra “in tutti i gruppi sociali, in tutte le classi di eta’, a prescindere dal tenore di vita e dal livello di istruzione, ed in entrambi i sessi”, compresi gli ambienti “tradizionalmente di sinistra”, come i sindacati ed il partito socialdemocratico. Particolarmente netto e’ il rifiuto dei musulmani, ai quali il 58,4% vorrebbe negare l’esercizio delle pratiche religiose, con una percentuale del 53,9% all’ovest, che schizza al 75,7% all’est, dove la presenza di musulmani e’ di fatto quasi trascurabile. Singolare e’ il fatto che a voler vietare l’Islam e’ il 55,5% di coloro che si dichiarano ostili all’estremismo di destra, ma che dichiara di “capire molto” il fatto che “a molta gente gli arabi non sono simpatici”.�

Un altro allarmante dato mette in evidenza che per il 90% dei tedeschi non ha piu’ alcun senso impegnarsi in politica, mentre il 39,1% dichiara di non sentirsi sicuro nel posto in cui vive. In picchiata e’ anche l’adesione al sistema democratico, il cui funzionamento e’ apprezzato solo dal 46,1% del campione. Nell’est del Paese il 10,5% si identifica nelle posizioni dell’estremismo di destra, mentre all’ovest la percentuale corrispondente e’ del 7,6%. In crescita anche l’antisemitismo, poiche’ per il 17,2% dei tedeschi “anche oggi e’ grande l’influenza degli ebrei”.

APRE A BERLINO LA MOSTRA SU HITLER. Sessantacinque anni dopo la fine del nazismo, apre a Berlino, presso il Museo di Storia tedesca, la prima mostra interamente dedicata a Hitler e ai tedeschi: un percorso che vuole spiegare le ragioni e i meccanismi che hanno portato un popolo intero a vedere in Adolf Hitler il suo “salvatore”, fino a seguirlo ciecamente nella guerra e poi nella sconfitta.

L’esposizione,”Hitler e i tedeschi – Collettività nazionale e crimine”, che apre venerdì e durerà fino al 6 febbraio, accompagna i visitatori in un percorso guidato che si sviluppa cronologicamente, con l’ausilio di centinaia di foto, poster e reperti.

Ciò che va spiegato è “come mai un uomo insignificante come Adolf Hitler, vissuto nell’anonimato per oltre 30 anni, senza aver compiuto studi particolari, né con esperienze politiche particolari, ha potuto trasformarsi in messia”, spiega lo storico Hans-Ulrich Thamer, curatore dell’esposizione. Parlare di Hitler, al di fuori di un quadro strettamente accademico, resta un argomento molto delicato in Germania: un primo progetto sulla personalità del Fuehrer si era scontrato con l’opposizione quasi unanime del comitato scientifico del Museo che temeva di mettere in mostra una sorta di esaltazione del nazismo.

“Quello che vogliamo spiegare non è tanto come la personalità di Hitler abbia potuto corrompere milioni di persone, quanto invece i meccanismi di adesione, di mobilitazione delle masse, ma anche di esclusione, che messi assieme hanno tessuto la relazione fra il Fuehrer e la popolazione”, spiega Thamer.



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Vescovo libanese accusa: "Paesi arabi
regimi teocratici fondati su Sharia"



Duro attacco di mons. Flavien Joseph Melki nel corso del sinodo: "Bisogna intervenire per riformare regimi islamici". Immediata la risposta dell'Ucoii: "Sbagliato accusare il Corano per guerre passate".

Repubblica.it- CITTA' DEL VATICANO - "È pensabile che i paesi arabi del Medio Oriente, in cui il fondamentalismo continua a inasprirsi, accetteranno, in un futuro prossimo, di abbandonare i loro regimi teocratici, fondati sul Corano e sulla Sharia, che comportano una evidente discriminazione nei confronti dei non musulmani? Mi sembra utopico per i secoli a venire". È stato questo il durissimo giudizio sul dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani espresso nel corso delle batute conclusive del sinodo, da mons. Flavien Joseph Melki, vescovo titolare di Dara dei Siri, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri, Libano.

"A eccezione del Libano - ha proseguito il padre sinodale libanese - i circa 15.000.000 di cristiani del Medio Oriente sono, sottoposti da 14 secoli a molteplici forme di persecuzione, di massacro, di discriminazione, di sopruso e di umiliazione. Ancora oggi, nel terzo millennio, assistiamo impotenti, con il cuore straziato, alla prova dei nostri fratelli iracheni e al loro esodo di massa". Da qui la necessità di interventi internazionali per portare la democrazia nei Paesi del Medio Oriente. "Occorre quindi agire - ha aggiunto - senza tardare, per riformare questi regimi islamici. I cristiani del Medio Oriente non saprebbero, da soli, raggiungere questo obiettivo. Devono essere aiutati dalla Chiesa universale e dai paesi democratici".

Ucoii: "Non si accusi il Corano per guerre del passato". "È sbagliato lanciare accuse contro l'Islam e contro il Corano per i conflitti e le guerre che ci sono state in passato. Alle polemiche rispondiamo con una giornata di dialogo islamo-cristiano il 27 ottobre". È con queste parole che il portavoce dell'Unione delle Comunità islamiche in Italia (Ucoii), Hamza Piccardo, replica alle parole del monsignor Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri, in Libano, che nel corso delle ultime battute del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente ha accusato il Corano di "dare al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con il jihad (guerra santa)". "Sono false queste accuse - ha affermato - Il Corano parla di rispetto nei confronti della gente del Libro. Sono solo provocazioni per dare vita a polemiche ormai superate da decenni di dialogo tra cristiani e musulmani. Vengono rinfocolate solo per impedire alle persone di buona volontà di arrivare all'unita e alla coesione necessarie per resistere al male che c'è nel mondo".
Secondo Piccardo, "le guerre ci sono sempre state e ogni volta ci sono state persone che hanno cercato di dare interpretazioni delle sacre scritture funzionali a queste guerre. Noi vogliamo rispondere a questa provocazione con la giornata del dialogo islamo-cristiano che è alla sua settima edizione e che il prossimo 27 ottobre vedrà riuniti musulmani e cristiani di diverse città in Italia in una serie di iniziative".

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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27/01/2011 12:42
 
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Sinistra fuori legge in Israele
Gideon Levy (è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz)
•14 gennaio 2011, 14.59

Il momento di mettere fuori legge la sinistra in Israele è arrivato. Perché continuiamo a perder tempo? Che bisogno c’è di adottare tante leggi, con un iter legislativo complicato e spossante? A che servono tanti emendamenti? Facciamo una cosa semplicissima: dichiariamo illegale la sinistra nello stato di Israele.
Chiunque abbia idee di sinistra, si comporti da persona di sinistra, partecipi a manifestazioni di sinistra o tolleri la sinistra, finirà in galera. Costruiamo l’ennesima “struttura detentiva” per gli stranieri, ma stavolta per quelli che abbiamo dentro casa: gli israeliani di sinistra. Il provvedimento rispecchierebbe peraltro il clima ormai prevalente tra la maggioranza degli israeliani, dipingendo un quadro realistico della nostra democrazia.
Sì, perché nell’Israele del 2011 non è più lecito essere di sinistra. Condurre campagne per i diritti umani, opporsi all’occupazione o indagare sui crimini di guerra è diventato illegale. L’israeliano che fa cose del genere si copre di vergogna, mentre il colono che ruba le terre ai palestinesi è un sionista, il guerrafondaio di destra è un patriota, il rabbino che getta benzina sul fuoco è un capo spirituale, il razzista che espelle gli stranieri è un cittadino che rispetta le leggi.Solo chi è di sinistra è un traditore. Il nazionalista ama Israele, mentre chi è di sinistra lo disprezza. L’uno non ha nulla di cui scusarsi, l’altro invece deve dimostrare che le voci e le congetture che girano sul suo conto sono false.
Nell’Israele del 2011 molte istituzioni partecipano a questa pericolosa fiera della delegittimazione.
La Knesset ha deciso di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare sulle attività di gruppi di sinistra “e sul contributo che danno alla campagna di delegittimazione contro Israele”. Una commissione di questo tipo farebbe arrossire perfino il senatore McCarthy.
Nuri el Okbi, cittadino beduino e militante per i diritti dei beduini, è stato mandato in prigione per gestione di attività commerciale senza licenza dal giudice Zecharia Yeminy. Il magistrato ha ammesso senza imbarazzo di avergli inflitto una pena più severa perché El Okbi difendeva i diritti della popolazione beduina, ormai dispersa per tutto il paese.
Jonathan Pollak, militante di Anarchici contro il muro e del movimento contro l’occupazione – una persona di cui qualsiasi società sana andrebbe fiera – è stato messo in galera perché percorreva una strada in bicicletta. L’ex parlamentare Mossi Raz, che durante una manifestazione di protesta per l’uccisione di una militante palestinese a Bil’in stava fermo sul marciapiede senza fare del male a nessuno, è stato percosso da un agente di polizia, ammanettato e arrestato.
Militanti del movimento per la pace vengono interrogati dagli agenti dell’intelligence e avvertiti preventivamente di non commettere infrazioni. Questo gruppo di medici è “di estrema sinistra”, quella fondazione con finalità sociali “disprezza Israele”, le donne che con dedizione vanno a sorvegliare ciò che succede ai checkpoint sono “traditrici”, e il tale centro d’informazione è considerato “complice del terrorismo”.
I coloni che lanciano spazzatura contro i soldati israeliani, e i loro amici che incendiano i campi dei palestinesi, non vengono processati, mentre Pollak viene spedito in galera. I soldati che hanno ucciso dei palestinesi che sventolavano bandiere bianche non sono ancora stati puniti, mentre chi ha svelato quegli episodi viene denunciato. A ciò si aggiunge una serie di leggi, che vanno dal giuramento di fedeltà allo stato ebraico alla cosiddetta legge sulla Naqba. Tutti questi elementi sommati insieme compongono un quadro inedito: la sinistra è nemica del popolo e nemica dello stato.
Ma quello che danneggia davvero l’immagine di Israele e la sua dignità internazionale sono gli sforzi del governo per consolidare ulteriormente l’occupazione. Ciò che fa danni sono le violenze dell’esercito israeliano e dei coloni, oltre che le iniziative razziste di parlamentari e rabbini israeliani. Una sola giornata dell’operazione Piombo fuso e una sola moschea incendiata hanno fatto di più per infangare il nome di Israele di tutte le rubriche e gli editoriali di critica messi insieme. Eppure nessuno chiede che si indaghi su quegli episodi. E quasi nessuno è stato processato.Cosa resta della sinistra, l’unica forza che continua a difendere la dignità morale di Israele? Quei pochi che tengono accesa la fiamma vacillante dell’umanità sono imputati, giudicati e condannati dall’alleanza tra la polizia, il sistema giudiziario, la Knesset, lo Shin Bet, le forze armate e i propagandisti di destra. I veri colpevoli, invece, sono scagionati da ogni accusa. A semplificare il tutto basterebbe un’unica legge: ogni israeliano sappia che è vietato essere di sinistra.
È vietato credere in un Israele giusto, vietato combattere contro qualsiasi sua ingiustizia, vietato battersi per la sua anima. Eppure un piccolo dubbio riesce ancora a insinuarsi: tutti quelli che stanno facendo guerra alla sinistra israeliana vorrebbero davvero una “democrazia” senza la sinistra?

[Modificato da giove(R) 27/01/2011 12:43]


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27/01/2011 12:46
 
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giove(R), 27/01/2011 12.42:

Sinistra fuori legge in Israele
Gideon Levy (è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz)
•14 gennaio 2011, 14.59

Il momento di mettere fuori legge la sinistra in Israele è arrivato. Perché continuiamo a perder tempo? Che bisogno c’è di adottare tante leggi, con un iter legislativo complicato e spossante? A che servono tanti emendamenti? Facciamo una cosa semplicissima: dichiariamo illegale la sinistra nello stato di Israele.
Chiunque abbia idee di sinistra, si comporti da persona di sinistra, partecipi a manifestazioni di sinistra o tolleri la sinistra, finirà in galera. Costruiamo l’ennesima “struttura detentiva” per gli stranieri, ma stavolta per quelli che abbiamo dentro casa: gli israeliani di sinistra. Il provvedimento rispecchierebbe peraltro il clima ormai prevalente tra la maggioranza degli israeliani, dipingendo un quadro realistico della nostra democrazia.
Sì, perché nell’Israele del 2011 non è più lecito essere di sinistra. Condurre campagne per i diritti umani, opporsi all’occupazione o indagare sui crimini di guerra è diventato illegale. L’israeliano che fa cose del genere si copre di vergogna, mentre il colono che ruba le terre ai palestinesi è un sionista, il guerrafondaio di destra è un patriota, il rabbino che getta benzina sul fuoco è un capo spirituale, il razzista che espelle gli stranieri è un cittadino che rispetta le leggi.Solo chi è di sinistra è un traditore. Il nazionalista ama Israele, mentre chi è di sinistra lo disprezza. L’uno non ha nulla di cui scusarsi, l’altro invece deve dimostrare che le voci e le congetture che girano sul suo conto sono false.
Nell’Israele del 2011 molte istituzioni partecipano a questa pericolosa fiera della delegittimazione.
La Knesset ha deciso di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare sulle attività di gruppi di sinistra “e sul contributo che danno alla campagna di delegittimazione contro Israele”. Una commissione di questo tipo farebbe arrossire perfino il senatore McCarthy.
Nuri el Okbi, cittadino beduino e militante per i diritti dei beduini, è stato mandato in prigione per gestione di attività commerciale senza licenza dal giudice Zecharia Yeminy. Il magistrato ha ammesso senza imbarazzo di avergli inflitto una pena più severa perché El Okbi difendeva i diritti della popolazione beduina, ormai dispersa per tutto il paese.
Jonathan Pollak, militante di Anarchici contro il muro e del movimento contro l’occupazione – una persona di cui qualsiasi società sana andrebbe fiera – è stato messo in galera perché percorreva una strada in bicicletta. L’ex parlamentare Mossi Raz, che durante una manifestazione di protesta per l’uccisione di una militante palestinese a Bil’in stava fermo sul marciapiede senza fare del male a nessuno, è stato percosso da un agente di polizia, ammanettato e arrestato.
Militanti del movimento per la pace vengono interrogati dagli agenti dell’intelligence e avvertiti preventivamente di non commettere infrazioni. Questo gruppo di medici è “di estrema sinistra”, quella fondazione con finalità sociali “disprezza Israele”, le donne che con dedizione vanno a sorvegliare ciò che succede ai checkpoint sono “traditrici”, e il tale centro d’informazione è considerato “complice del terrorismo”.
I coloni che lanciano spazzatura contro i soldati israeliani, e i loro amici che incendiano i campi dei palestinesi, non vengono processati, mentre Pollak viene spedito in galera. I soldati che hanno ucciso dei palestinesi che sventolavano bandiere bianche non sono ancora stati puniti, mentre chi ha svelato quegli episodi viene denunciato. A ciò si aggiunge una serie di leggi, che vanno dal giuramento di fedeltà allo stato ebraico alla cosiddetta legge sulla Naqba. Tutti questi elementi sommati insieme compongono un quadro inedito: la sinistra è nemica del popolo e nemica dello stato.
Ma quello che danneggia davvero l’immagine di Israele e la sua dignità internazionale sono gli sforzi del governo per consolidare ulteriormente l’occupazione. Ciò che fa danni sono le violenze dell’esercito israeliano e dei coloni, oltre che le iniziative razziste di parlamentari e rabbini israeliani. Una sola giornata dell’operazione Piombo fuso e una sola moschea incendiata hanno fatto di più per infangare il nome di Israele di tutte le rubriche e gli editoriali di critica messi insieme. Eppure nessuno chiede che si indaghi su quegli episodi. E quasi nessuno è stato processato.Cosa resta della sinistra, l’unica forza che continua a difendere la dignità morale di Israele? Quei pochi che tengono accesa la fiamma vacillante dell’umanità sono imputati, giudicati e condannati dall’alleanza tra la polizia, il sistema giudiziario, la Knesset, lo Shin Bet, le forze armate e i propagandisti di destra. I veri colpevoli, invece, sono scagionati da ogni accusa. A semplificare il tutto basterebbe un’unica legge: ogni israeliano sappia che è vietato essere di sinistra.
È vietato credere in un Israele giusto, vietato combattere contro qualsiasi sua ingiustizia, vietato battersi per la sua anima. Eppure un piccolo dubbio riesce ancora a insinuarsi: tutti quelli che stanno facendo guerra alla sinistra israeliana vorrebbero davvero una “democrazia” senza la sinistra?




Nel mirino di Lieberman
Amira Hass
È una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, scrive per il quotidiano Ha'aretz e ha una rubrica su Internazionale.
14 gennaio 2011, 14.34

Ho accettato controvoglia l’invito a una colazione nella residenza dell’ambasciatore francese a Tel Aviv per festeggiare l’anno nuovo. Curiosità antropologica. Non capita tutti i giorni di vedere deputati e giornalisti di primo piano che si scambiano pettegolezzi. Ho riconosciuto un paio di deputati, gli altri me li ha indicati il mio collega Gideon Levy.
“È arrivato il momento di migliorare i miei rapporti con i rappresentanti stranieri, nel caso un giorno dovessi chiedere asilo”, ho detto scherzando a un’addetta dell’ambasciata, che però non ha sorriso. Devo aver fatto una battuta infelice. Tuttavia è innegabile che ultimamente gli attacchi della destra ai critici interni di Israele sono sempre più frequenti.
L’ultimo bersaglio sono le organizzazioni che criticano l’esercito. Avigdor Lieberman, ministro degli esteri e capo del partito promotore di questi provvedimenti antidemocratici, ha accusato anche Ha’aretz. Il suo partito è composto perlopiù da immigrati dall’ex Unione Sovietica.
Alla fine, dopo aver parlato con l’unico arabo israeliano presente (un ex consigliere del Vaticano), ho capito che si trattava di un incontro monoetnico. Nelle stesse ore, diversi miei amici – palestinesi, ebrei e stranieri – dovevano difendersi dai gas lacrimogeni sparati alla manifestazione di Bil’in contro l’occupazione.
Ripensandoci, potrei anche chiedere asilo politico a Bil’in. Se non fosse che la cittadina è sotto l’occupazione militare di Israele. Che è molto più duro con i palestinesi che con i critici interni.



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28/01/2011 16:37
 
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Dopo la Tunisia..l'Egitto..


Rivolta in Egitto: "Mubarak vattene"
Guerriglia e arresti in strada al Cairo



Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza al Cairo e in molte altre località egiziane per chiedere la fine del regime di Hosni Mubarak e condizioni di vita migliori.

La giornata della collera, cominciata in maniera pacifica nella capitale e nelle altre regioni dell’Egitto, è degenerata in violenti scontri nella capitale, nella centrale piazza Tahrir, fra manifestanti e forze della polizia. Un poliziotto è morto nella calca durante una delle cariche lungo il grande viale che, costeggiando la sede del Parlamento, sfocia sulla grande spianata dove per tutto il pomeriggio si sono radunate migliaia di persone.

Due manifestanti sono invece stati uccisi nella città portuale di Suez da proiettili di gomma sparati dalla polizia. Ad Alessandria d’Egitto 20.000 persone sono scese in strada e anche lì si sono verificati scontri ed incidenti con numerosi feriti, alcuni colpiti da proiettili di gomma. Molti gli arresti. «Fuori, fuori, fuori», «vattene, vattene», hanno scandito migliaia di personde riferendosi al rais Hosni Mubarak, in quello che, secondo molti osservatori, è il seguito dell’onda di protesta cominciata con la rivolta tunisina. La "giornata della collera" è stata di fatto organizzata attraverso Twitter e Facebook con convocazioni e indicazioni inviate a ripetizione e in continuazione ai manifestanti per aggirare le impressionanti misure di sicurezza adottate dalle autorità per evitare che la protesta degenerasse.

In un comunicato diffuso in serata, il ministero dell’Interno egiziano, ha affermato che le forze di sicurezza hanno garantito lo svolgimento dei sit-in ma che a partire dal pomeriggio «il gruppuscolo illegale dei Fratelli musulmani ha spinto un gran numero di persone verso piazza Tahrir». Il portavoce del movimento integralista islamico ha smentito tali affermazioni definendole «menzognere e prive di ogni fondamento». Il ministero dell’Interno parla di 10.000 manifestanti in tutto, gli organizzatori dicono che erano almeno 25.000. Al Cairo, i cortei che da tre quartieri sono confluiti verso la grande spianata di Tahrir si sono formati quasi spontaneamente: a Mohandesin, ad esempio, un centinaio di manifestanti sotto la stretta sorveglianza degli agenti in tenuta antisommossa sono riusciti ad aprirsi un varco e a guadagnare il vialone principale che attraversa il quartiere. Scandendo slogan e sventolando bandiere egiziane, lo hanno percorso per raggiungere piazza Tahrir. In questo caso la polizia si è sempre tenuta a debita distanza e non è intervenuta.

Ben altra scena sulla centrale piazza del Cairo dove contro i manifestanti le forze dell’ordine hanno usato gli idranti e sparato gas lacrimogeni, in risposta a un fitto lancio di pietre. Gli organizzatori della manifestazione hanno comunque annunciato in serata che non se ne andranno dalla piazza e hanno invitato gli abitanti della capitale a portare loro cibo e coperte per aiutarli a trascorrere la notte. Testimoni oculari raccontano che i ristoranti della zona stanno offrendo da mangiare gratuitamente ai manifestanti che però hanno grande difficoltàa comunicare tra di loro perchè da ore sono saltati i collegamenti dei telefoni cellulari e Twitter non è più accessibile. Gli organizzatori della grande manifestazione, in prima linea il "Movimento sei aprile", in serata hanno comunque diffuso un comunicato con le loro rivendicazioni. Chiedono - tra l’altro - l’uscita di scena di Mubarak, la formazione di un governo di unità nazionale, nuove elezioni parlamentari.

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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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11/02/2011 12:31
 
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Obama attacca Mubarak: “non ha risposto alle richieste del popolo”

La Casa Bianca ha avvisato nella tarda serata di ieri, che la proposta di Mubarak, non è sufficiente per soddisfare le richieste del popolo egiziano e ha chiesto al Governo di questo paese “misure credibili e concrete verso una autentica democrazia” misure che, secondo Washington “non sono state ancora prese“. Il comunicato emesso dalla presidenza nordamericana dopo una giornata di grande confusione, durante la quale sembrava dovessero arrivare da un momento all’altro le dimissioni di Mubarak, afferma che, dopo il discorso del presidente egiziano “non è chiaro ancora se la transizione sarà vera, immediata e sufficiente”.

“Troppi egiziani si mostrano poco convinti che il governo parli seriamente circa una trasparente transizione democratica, ed è sua responsabilità parlare chiaramente con il popolo egiziano e con il mondo” ha dichiarato il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “Questo non è stato quello che dissero sarebbe successo” ha affermato facendo intendere che probabilmente la diplomazia statunitense era stata informata anticipatamente della possibile rinuncia di Mubarak. Obama ha indicato che la transizione “deve mostrate immediatamente un cambio politico irreversibile” attraverso “un cammino negoziato verso la democrazia” che includa “l’opposizione e la società civile” e sottolineando che “lo stato d’emergenza in Egitto (in vigore dal 1981, ndr) deve terminare il prima possibile“. La Casa Bianca ha emesso il comunicato dopo l’annuncio di ieri sera di Mubarak, nella quale il dittatore egiziano ha detto che resterà al potere fino a settembre.

Intanto al Cairo continuano le proteste e decine di migliaia di manifestanti concentrati a piazza Tahir continuano a gridare la propria delusione per le mancate dimissioni del presidente egiziano, alzando le scarpe al cielo in segno di disprezzo e chiedendo all’esercito di accompagnarli al palazzo presidenziale. Esercito che ieri sera ha affermato, in un comunicato televisivo, il suo appoggio “alle legittime richieste del popolo” e che “sta studiando le misure” per salvaguardare gli interessi del paese. Sull’Egitto, dunque, continua a regnare incontrastata la confusione seppure c’è la sensazione che una svolta sia vicina. E non è detto che sia positiva.

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non mi è molto chiara la posizione americana e di Obama sulla crisi egiziana...L'Egitto mi pare fosse uno degli Stati meno invisi agli americani..e nn lo so mica che succede nel resto del Medio Oriente se Mubarak esce di scena...il famoso controllo americano già così è messo a dura prova..
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11/02/2011 16:52
 
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....anche perchè l'Arabia Saudita si è schierata al fianco di Mubarak..che nel frattempo è " esliato " a Sharm...

..bel casino adesso per Obama..hai scaricato in modo imprudente uno che andava al massimo congelato..
e ora rischi di perderti un altro alleato pesante..forse il piu' importante..
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22/03/2011 14:06
 
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Israele, l'ex Capo di Stato condannato a 7 anni di carcere per stupro
Moshe Katzav è stato incriminato nel 2009, accusato
di ripetuti abusi sessuali


TEL AVIV
L’ex Capo di stato di Israele Moshe Katzav è stato condannato a 7 anni di carcere per stupro. I tre giudici del tribunale distrettuale di Tel Aviv hanno inoltre comminato a Katzav due anni di detenzione con la condizionale ed una multa di 100 mila shekel, circa 20 mila euro. La condanna è stata resa nota oggi dopo che lo scorso 30 dicembre Katsav era stato riconosciuto colpevole nel processo a suo carico per stupro e molestie sessuali. Katzav è stato giudicato colpevole fra l’altro di aver violentato due volte una sua dipendente quando, alla fine degli anni Novanta, fungeva da ministro del turismo.

L'ex presidente è stato incriminato nel marzo del 2009. E' stato accusato di ripetuti abusi sessuali. Le accuse riguardano sia il periodo in cui era Ministro del Turismo (1988 - 1999), sia quando era presidente.

Durante la lettura della sentenza, da parte del giudice George Kara, Katzav ha espresso ad alta voce alcuni commenti polemici. La drammatica seduta è stata trasmessa in diretta dalle televisioni israeliane, mentre attorno al tribunale di Tel Aviv sostava una folla di curiosi, fra cui esponenti di gruppi di femministe.

Secondo alcuni commentatori è molto probabile che Katzav - che si professa innocente e vittima di un complotto - si appellerà adesso alla Corte Suprema. La sua detenzione dovrebbe avvenire solo fra alcune settimane.
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22/03/2011 15:03
 
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capito come... con tutti i criminali di guerra che c'hanno fanno i puritani con il ...ministro del turismo arrapato.

Israele si conferma portabandiera della falsità e dell'ipocrisia.


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e intanto....


Carrarmati contro casa, uccisi due bambini
Continuano raid aerei su Gaza, 17 feriti


Secondo fonti mediche palestinesi nell'attacco all'abitazione sono morte almeno 4 persone e i feriti sarebbero il doppio. Gli israeliani hanno compiuto nella notte cinque raid aerei contro diversi obiettivi e aperto il fuoco contro militanti palestinesi che volevano lanciare missili anti tank ai soldati oltre confine

GAZA - E' ripresa senza tregua la tensione fra Israele e la Striscia. Sono almeno quattro i morti nella città di
Gaza, due dei quali bambini, dopo che un carro armato israeliano ha colpito una casa ferendo altre otto persone. Lo riferiscono fonti mediche palestinesi. Secondo testimoni oculari, i quattro sono stati colpiti dalle schegge mentre giocavano a pallone, quando il tank ha sparato contro una casa vicina. Il fuoco israeliano è scattato apparentemente in risposta al lancio di quattro razzi contro il territorio israeliano, avvenuto oggi.

L'area di confine tra Israele e la striscia di Gaza è da alcuni giorni teatro di una forte recrudescenza degli scambi a fuoco tra israeliani e palestinesi. I primi, che hanno compiuto nella notte cinque raid aerei contro diversi obiettivi, hanno aperto oggi il fuoco contro militanti palestinesi che volevano lanciare missili anti tank ai soldati oltre confine.

Già questa mattina erano stati sparati colpi d'artiglieria contro Saiya, un quartiere di Gaza già preso di mira durante la notte. Il portavoce del ministero della Sanità a Gaza, Adhan Abu Salmia, ha denunciato che nei raid della scorsa notte sono rimaste ferite 17 persone. Fra questi sette bambini e due donne.

I raid notturni, ha affermato l'esercito israeliano, erano diretti contro due "siti per la produzione e lo stoccaggio di armi" e due "siti terroristici". Testimoni citati su Haaretz hanno riferito che si trattava di fonderie, una sede della sicurezza di Hamas e un campo di addestramento. I raid sono giunti dopo che sono ripresi i lanci di missili contro obiettivi israeliani, 50 dei quali sono stati sparati domenica.


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23/03/2011 15:41
 
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Gerusalemme, esplosione a fermata bus
Oltre 20 feriti, Netanyahu rimanda partenza
Per gli artificieri l'ordigno era in una borsa sulla banchina. Secondo fonti sanitarie, non vi sarebbero vittime. Haaretz riferisce di quattro persone in gravi condizioni. Su Twitter, il portavoce dell'ambasciata israeliana a Washington parla di "kamikaze" salvo poi correggersi. Il premier sospende il viaggio a Mosca

GERUSALEMME - Nel primo pomeriggio, una forte esplosione devasta una fermata d'autobus delle linee 74 e 14 a Gerusalemme, in un momento della giornata in cui i mezzi pubblici sono normalmente molto affollati. Al momento della deflagrazione, alla fermata erano giunti mezzi di entrambe le linee. Molte ambulanze stanno ancora convergendo nella zona dell'attentato, di fronte alla stazione centrale e nei pressi di un centro internazionale per conferenze nella downtown della città. Fonti del pronto soccorso riferiscono che non sembra vi siano vittime. Secondo la polizia, i feriti sono una dozzina, trasportati nell'ospedale di Hadassah. Secondo il sito di Haaretz, invece, le persone che hanno riportato lesioni sono 25, di cui quattro versano in gravi condizioni.

In seguito all'attentato, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sospende la partenza per il suo viaggio in Russia. L'attentato non è ancora stato rivendicato. Poco dopo la detonazione, la radio militare israeliana riferisce di spari uditi all'ingresso di Gerusalemme, nella zona dei 'Giardini Sacharov', a circa un chilometro di distanza dall'esplosione, ma è un falso allarme.

Le immagini delle tv mostrano un autobus con i finestrini in frantumi scie di sangue sul pavimento dell'automezzo. Dai filmati non sembra che l'esplosione sia avvenuta all'interno del bus. Ipotesi avvalorata prima dagli artificieri, secondo cui l'ordigno si trovava in una borsa alla fermata dell'autobus. Poi confermata ufficialmente dal ministro della Sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch. Secondo il sito di Haaretz, la bomba era collegata a un traliccio della linea telefonica. La polizia setaccia la zona alla ricerca di eventuali altri ordigni.

Via Twitter, il portavoce dell'ambasciata israeliana a Washington, Jonathan Peled, aveva inizialmente attribuito l'attentato a un kamikaze. Lo stesso portavoce si era poi corretto, ancora su Twitter: "La bomba a Gerusalemme non era su un autobus e non sembra essere un'azione suicida".

Ad Haaretz, Meir Hagid, uno dei conducenti dei mezzi pubblici coinvolti, racconta di aver avvertito una violenta deflagrazione mentre si avvicinava alla zona dell'attentato. "Ho avvertito l'esplosione alla fermata", ha spiegato l'autista, che ha bloccato il torpedone e ha fatto scendere i passeggeri, tutti incolumi.


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19/05/2011 13:36
 
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Lars Von Trier choc: simpatia per Hitler
Il resista Lars Von Trier ha scioccato la Croisette con le frasi sul nazismo


Scoppia la polemica alla presentazione del suo "Melancholia": "Vicino agli ebrei, ma non troppo perché Israele è una spina nel fianco". Violente reazioni a Cannes, poi le scuse: "Provocazione"


INVIATA A CANNES
La fine del mondo nella testa di Lars von Trier, in mezzo ai pensieri oscuri che hanno dato vita al suo film Melancholia e che ieri, sciorinati con humour nero davanti alla platea internazionale del Festival, hanno provocato un terremoto di polemiche. La direzione della rassegna, scioccata dalle uscite filonaziste dell’autore danese, pretende le scuse ufficiali, lui smentisce tutto nel giro di poche ore: «Non sono antisemita, nè nazista, nè razzista». I vertici del Festival accolgono il mea culpa con freddezza cogliendo l’occasione per sottolineare che mai e poi mai «il palcoscenico della kermesse potrà diventare luogo dove esprimere opinioni su questo genere di argomenti». Perchè le parole hanno un peso, anche se a pronunciarle è un uomo visibilmente provato, che non ha mai fatto mistero dei suoi problemi psicologici, e ha più volte spiegato come quest’ultima opera scaturisca proprio dai suoi conti aperti con la depressione.

Succede tutto in conferenza stampa, dopo che il flm è stato accolto con reazioni frastagliate dalla platea dei giornalisti. Von Trier è presente, evento non scontato visto che il regista, sbandierando una fobia per i mezzi di locomozione, rinuncia spesso ai viaggi e a Cannes, più di una volta, è arrivato in camper pur di non prendere aerei. Lo spunto di partenza sono le musiche wagneriane che accompagnano la pellicola, ma subito si sconfina sul terreno dell’estetica nazista, su cui von Trier si è recentemente intrattenuto in un’intervista , poi si scivola sul personale: «Credevo di avere origini ebraiche ed ero contento, poi ho scoperto che non era esattamente così, anzi, che le mie radici sono tedesche, insomma sono un po’ nazista, e sono contento lo stesso». La II Guerra Mondiale non è la sua passione, fa sapere l’autore sempre più ingolfato in un ragionamento senza capo nè coda, ma su Hitler la scivolata è rovinosa: «Capisco l’uomo, a volte me lo immagino seduto nel suo bunker quando tutto era finito, e credo di comprenderlo. Non sono contro gli ebrei, ma certo Israele è un problema... oddio come faccio a venir fuori da questa domanda?». E ancora: «Noi nazisti facciamo le cose in grande, potrei pensare a una soluzione finale coi giornalisti».

Sul tavolo tra interpreti e produttori scende un velo di imbarazzo. Gli attori ridacchiano mascherando il disagio, qualcuno interroga con gli occhi l’autore, Kirsten Dunst (che ha il padre tedesco) sussurra «oh mio Dio», Charlotte Gainsbourg assiste interdetta, Stellan Skaarsgard e John Hurt tentano odi arginare il fiume in piena. Ma è tardi, le dichiarazioni di von Trier fanno in un attimo il giro del mondo, il direttore del festival Thierry Fremaux è furente, si ipotizza l’esclusione dalla gara, si esigono le scuse ufficiali. Nel pomeriggio, in sequenza, arrivano il comunicato della direzione e la lettera di von Trier: «Se ho urtato qualcuno con le mie parole, sinceramente me ne scuso. Non sono in alcun modo antisemita, non nutro nessun tipo di pregiudizio razzista, nè tantomeno sono nazista». Il Festival dichiara di «essere molto disturbato dalle dichiarazioni rilasciate da von Trier» e di aver chiesto «spiegazioni sulle sue affermazioni. Il regista dice di essere caduto in una provocazione e si scusa».

Melancholia, che a questo punto sembra automaticamente tagliato fuori dalla corsa per la Palma (difficile che Robert De Niro decida di legare la sua esperienza di presidente di giuria a un regista che dichiara simpatie naziste) prende spunto dalle esperienze psicanalitiche dell’autore: «Il mio analista mi ha detto che le persone che soffrono di depressione, di norma, davanti a un evento disastroso reagiscono meglio di quelle sane. Un po’ perchè la catastrofe è esattamente quello che si aspettano dalla vita, un po’, perchè non hanno niente da perdere».

L’apocalisse di von Trier parte dalle sequenze di un lungo matrimonio tradizionale per indagare il rapporto tra la sposa tormentata Justine (Dunst) e la sorella realizzata (Gainsbourg) che ha organizzato la festa. Ma la felicità non si raggiunge con una messa in scena, Justine è malata, e la cerimonia annega nel mare della sua infelicità: «In questo personaggio ho messo me stesso». Anche Dunst, come von Trier, ha attraversato periodi bui: «E’ un’attrice pazzesca, dotata di molte più sfumature di quanto immaginassi, inoltre ha il pregio di aver sofferto anche lei di depressione, una cosa che capita a tutte le persone sensibili». Il ruolo, in un primo tempo, doveva andare a Penelope Cruz. E chissà se in questo momento l’attrice spagnola non stia tirando un respiro di sollievo.


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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
20/05/2011 14:34
 
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Arrigoni, Jewish Chronicle: “Antisemita come Hitler. Meritava di morire”
Editoriale choc del giornale della comunità ebraica pubblicato a Londra secondo cui Vik non era un pacifistra ma un fiancheggiatore di Hamas. E la morte di un Jew-hater, uno che odia Israele, "è sempre un motivo per festeggiare"
Vittorio Arrigoni, il volontario italiano brutalmente ucciso lo scorso aprile nella striscia di Gaza, non era un attivista per i diritti umani né tantomeno un martire che ha pagato con la vita il suo impegno al fianco del popolo palestinese.

Era un “consumato antisemita e un supporter di Hamas che odiava Israele e il popolo ebraico”, della cui morte è doveroso “gioire”.

Lo afferma lo storico inglese Geoffrey Alderman in un editoriale pubblicato sul settimanale Jewish Chronicle, storica pubblicazione della comunità ebraica con sede a Londra.

“Pochi avvenimenti in queste ultime settimane mi hanno dato maggiore felicità della notizia della morte del cosiddetto ‘attivista per la pace’ italiano Vittorio Arrigoni,” scrive Alderman, che non fa mistero del suo disprezzo per l’uomo diventato un simbolo della solidarietà verso i palestinesi di Gaza.

Vik, come lo chiamavano i colleghi dell’organizzazione per cui lavorava, l’International Solidarity Movement (ISM), è stato rapito e assassinato da una cellula salafita di estremisti islamici – un omicidio da cui anche al-Qaeda si è dissociata, definendolo un atto compiuto da cani sciolti, legati marginalmente all’organizzazione.

L’assassinio è stato dipinto dai media occidentali come un “affronto al mondo civilizzato”, scrive Alderman, che aggiunge: “La realtà è molto diversa. Arrigoni è arrivato a Gaza per partecipare alla violazione di un blocco navale israeliano. Come supporter di Hamas, era un consumato antisemita.”

“La morte di un Jew-hater deve sempre essere un motivo per festeggiare,” aggiunge lo storico, affermando anche che Vik usasse Facebook per diffondere immagini e propaganda anti-ebraica.

Nella sua distorta glorificazione dell’omicidio, Alderman attacca anche la stessa ISM, descrivendola come legata al terrorismo palestinese e al regime di Hamas.

L’israeliana Neta Golan, tra i fondatori dell’organizzazione, ha negato ogni legame tra l’ISM e il terrorismo: “L’organizzazione appoggia la strada della resistenza popolare e nonviolenta. Lavoriamo con chiunque voglia organizzare resistenza nonviolenta, e non abbiamo una posizione sulla politica interna palestinese.”

Stephen Pollard, direttore del Jewish Chronicle, ha commentato il controverso editoriale dicendo di “non aver alcun problema” con le opinioni espresse da Alderman. Anche Pollard rifiuta il termine peace activist: “[Arrigoni] era un membro dell’ISM. Questo non è attivismo per la pace, è lo zoccolo duro del terrorismo palestinese.”

Le affermazioni dello storico inglese hanno suscitato indignazione tra chi ha conosciuto e lavorato al fianco di Vik.

“Alcune cose sono così sconcertanti che non meritano una risposta,” ha detto Jeff Halper, attivista israeliano che conosceva bene Arrigoni. “Vik era unico. Aveva forti opinioni ed era molto politico, ma l’idea che potesse fare distinzioni tra Ebrei e non Ebrei è ridicola.”

Parlando con una giornalista, Alderman ha successivamente rincarato la dose: “[Arrigoni] era un antisemita come Adolf Hitler. Meritava di morire. Io ho gioito per la morte di un antisemita, senza provare alcun rimorso”

Non è la prima volta che viene evocato un antisemitismo inesistente per zittire le critiche verso la politica di Israele.


Durante l’operazione Piombo Fuso, tra il 2008 e il 2009, l’esercito israeliano bombardò Gaza utilizzando armi al fosforo bianco, proibite dalle leggi internazionali.


Amnesty International denunciò la presenza di residui di ordigni ancora fumanti, visibili ovunque. Per non inalare i fumi tossici del fosforo, i Palestinesi interravano i residui delle bombe sottoterra, dove bruciavano per settimane.

Anche allora le critiche ad Israele per il suo evidente impiego di armi vietate e di missili sui civili vennero caricate di una connotazione antisemita che non avevano.

Allo stesso modo, la retorica argomentativa utilizzata da Alderman nella sua sfuriata contro Arrigoni è semplice quanto fallace.

Vik sosteneva la causa palestinese, quindi era contro il governo israeliano, ergo contro il popolo israeliano, e dunque era un antisemita degno dei ranghi delle SS. Una slippery slope che dal punto di vista logico fa acqua da tutte le parti.

Un recente articolo di Alderman – che criticava una serie tv inglese in cui “non c’era nemmeno un Ebreo” – era intitolato “l’omicidio del buon senso”. Festeggiando ora la morte di Vik, il buon senso del Jewish Chronicle ha fatto la stessa fine.

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26/05/2011 11:08
 
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Re: Arrigoni, Jewish Chronicle: “Antisemita come Hitler. Meritava di morire”
faberhood, 20/05/2011 14.34:


Vik sosteneva la causa palestinese, quindi era contro il governo israeliano, ergo contro il popolo israeliano, e dunque era un antisemita degno dei ranghi delle SS. Una slippery slope che dal punto di vista logico fa acqua da tutte le parti.





questa semplicistica operazione mi ricorda molto quando a delle critiche circostanziate mi si rispose con la copertina di Time... [SM=g7554]


20/06/2011 12:10
 
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Contro la circoncisione, a San Francisco torna propaganda dei nazisti

NEW YORK – Il coraggioso supereroe Foreskin Man (l’uomo del prepuzio) ha tratti somatici inequivocabilmente germanici: è alto, biondo e con gli occhi azzurri. I “cattivi” contro i quali si scatena, sono Monster Mohel (il mohel è chi effettua la circoncisione ebraica) e sono tutti giudei sanguinari, col naso adunco, la carnagione scura, le unghie ad artiglio e l’aspetto torvo di chi è sulla terra soltanto per far del male.

Il fumetto, a base di neonati terrorizzati e di “mostri Mohel” che sbavano dall’eccitazione nel tagliare la carne del pene di un bambino di otto giorni, ha sollevato un coro di proteste in America mandando letteralmente in tilt la rete. Le più importanti organizzazioni ebraiche - tra cui l'Anti-Defamation League - l’hanno accusato di aver “riesumato la famigerata iconografia antisemita del nazismo, in voga durante il Terzo Reich”.

Il fumetto è opera del sedicente 'attivista' di San Diego Matthew Hess che ha creato il Supereroe antiebraico per sostenere la sua crociata contro la circoncisione. Il suo gruppo Male Genital Mutilation ha raccolto abbastanza firme per dare il via libera ad un referendum del prepuzio che a novembre vedrà i residenti di San Francisco votare su una legge che renderebbe illegale la circoncisione, una praticata diffusa nel mondo ebraico dai tempi di Abramo ma oggi comune anche fra i non ebrei (l'80% circa della popolazione maschile Usa).

L’iniziativa definisce reato la circoncisione, punendo con pene detentive chi la pratica. “Se il referendum passerà abbiamo intenzione di estenderlo su scala nazionale”, annuncia con toni di sfida Hess. Ma contro di lui si è levata anche la voce dei media, tra cui quella dell’autorevole San Francisco Chronicle, che invita gli elettori a boicottarlo, oltre alle associazioni dei medici Usa secondo cui la circoncisione aiuta a ridurre drasticamente il rischio di infezioni, soprattutto da HIV.

Interpellato da Route 66, Hess - che vanta origini tedesche - si è difeso affermando di “non essere un nazista”. “La mia crociata ha motivazioni personali”, rivela, dichiarando che la sua “sensibilità sessuale è stata notevolmente ridotta a causa della circoncisione subita alla nascita".

Che la questione in America tocchi corde profonde se n’è accorto l’attore Russell Crowe che la settimana scorsa si era scagliato via Twitter contro la circoncisione, definendola “una barbarie”. La reazione dei suoi fan è stata talmente corale e negativa, da indurlo al dietrofront nel giro di poche ore. “Sono profondamente addolorato”, ha spiegato la star in un altro tweet, “se ho ridicolizzato i rituali e le tradizioni di alcuni“.

route66.corriere.it/
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07/10/2011 11:01
 
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Il caso dei "crislamici", dialogo o unità?


Maturato nel decennio successivo all'attacco terroristico dell'11 settembre e delle guerre in Medio Oriente, in Nord america il moivmento dei crislamici pare avere un discreto successo. Tutto è partito da una presa d’atto scaturita dai dati allarmanti di un sondaggio che dice: solo il 30% degli americani ha una visione positiva dell'Islam.
Si parla sempre di accrescere il dialogo interreligioso, la sfida ecumenica tra le tante anime della cristianità, di costruire percorsi di pace e convivenza fra culture e civiltà...ma nessuno aveva pensato che, in nome di questa realtà, ci potesse essere un'effettiva "contaminazione reciproca". Negli Stati Uniti è in atto un tentativo molto particolare, da molti giudicato ingenuo e privo di fondamenti teologici da altri apprezzato per il coraggio del confronto come racconta il blog “Yalla Italia”, piattaforma di ritrovo per giovani che rappresentano le seconde generazioni.
L'inzio è stato dato dalla Memorial Drive Presbyterian Church che ha organizzato un seminario dal titolo "Gesù nel Corano", poi il pastore Rick Warren pronuncia una preghiera all'inaugurazione della presidenza di Barack Obama dove cita ʿĪsā ibn Maryam, il nome che per i musulmani indica Gesù, infine, lo slancio interreligioso si è consolidato con la nascita di “Faith Shared” (Fede condivisa) un movimento che mira a "fondere" cristianesimo ed islam ed aiuta ad organizzare funzioni religiose per così dire "ibride", gli "shared faith events".
Il movimento "Alleanza Interreligiosa" ha promosso lo scorso giugno un incontro cui hanno partecipato molte Chiese Protestanti con riunioni di culto tra cristiani, ebrei e musulmani durante le quale un pastore, un rabbino e un Imam hanno letto rispettivamente dei brani dai Vangeli, dalla Torah, e dal Corano. Ad Atlanta, in Georgia, nella Grace Fellowship Church hanno avviato l’esperienza di "coniugare" le due fedi, in una terra dove è crescente la necessità di confronto dieci anni dopo l'11 settembre 2001.
I gruppi hanno iniziato a riflettere sul significato di "ama il tuo prossimo" chiedendosi se fosse possibile realizzare questa prospettiva evangelica mettendosi in rapporto con coloro che vivono una spiritualità molto diversa in una fede come l’Islam.
“Qualcuno ha pensato: perché agitarci tanto ad andare d'accordo, autodefinirci per differenziazione, quando possiamo semplicemente...diventare una cosa sola?” Da questa domanda è partita l’esperienza. Si possono dunque unire cristiani e musulmani nella prospettiva del crislamismo? Interrogativo al quale è difficile rispondere. Anche se, secondo i canoni della teologia ufficiale di entrambi di credi religiosi si tratta di un paradosso se non addirittura di una blasfemia.
Ma una settantina di chiese sparse per gli Stati Uniti si offrono di ospitare funzioni "crislamiche”. Ma non tutti apprezzano questo slancio interreligioso e non sarebbe possibile altrimenti. Nel reale e nel virtuale le differenze emergono e in rete iniziano ad arrivare attacchi, recriminazioni e blog che traboccano di commenti e critiche astiose in cui molti fedeli cristiani accusano: "queste cose non funzionano. il risultato, quando cristiani e islamici si mettono insieme, è sempre lo stesso: gli islamici avanzano, i cristiani si ritraggono". L’accusa è quella del sincretismo religioso che non porta a nulla e rappresenta solo l’inizio della fine.

"Si è diffuso il panico" e alzato il livello di polemiche dialettiche, culturali e teologiche, scrive Randa Ghazy di Yalla Italia, ma il movimento non demorde. Episodi di solidarietà in cui chiese protestanti vengono messe a disposizione di comunità islamiche le cui moschee sono in costruzione o troppo piccole, o per celebrare le preghiere nel mese di Ramadan, si moltiplicano e matura la volontà di ascolto.
Il dibattito è aperto, i blog e i siti scoppiano di riflessioni e commenti spesso molto negativi. In maggioranza la disponibilità al dialogo esiste ma solo se preceduta dal riconoscimento reciproco e senza commistioni o infantili visioni ireniche destinate al fallimento.
Ognuno deve salvaguardare la propria identità rispettando quella altrui, dicono molti post nei blog dei movimenti. In America feroci sono state le accuse dei denigratori della prospettiva “crislamica” che ha già, per loro, un futuro segnato.
I più saggi, anche tra i promotori, sono i pronti ad ammettere l’utopia della sfida, ma ritengono positivo il tentativo, forse ingenuo ma sincero, di favorire in modo pacifico percorsi dialogo e conoscenza tra le nuove generazioni, consapevoli dell'impossibilità di realizzare una integrazione, di due fedi così differenti.
lastampa.it
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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11/10/2011 10:31
 
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Immobile in pedana, tunisina
boicotta Israele ai Mondiali di scherma


La tunisina Sarra Besbes che si è rifiutata di tirare contro l'israeliana. Bebes non tira, la rivale vince e si dispera. E' già il secondo rifiuto: domenica un fiorettista iraniano si è ritirato


Israele scopre le nuove frontiere del boicottaggio nello sport. Non soltanto il Kuwait, l'Arabia Saudita o l'Iran. Ora il confronto con gli atleti di Tel Aviv è rifiutato persino da un Paese come la Tunisia che non si era mai messo di traverso. Ieri, ai Mondiali di scherma di Catania, una delle migliori spadiste africane, Sarra Besbes, è salita in pedana nel girone di qualificazione contro l'israeliana Noam Mills ma è rimasta completamente passiva al punto da subire a raffica le cinque stoccate che le hanno fatto perdere l'incontro.

Un comportamento anomalo che non è sfuggito ai direttori di gara, i quali non potevano prendere provvedimenti perché non si trattava di un rifiuto ma, apparentemente, di una sconfitta. La Besbes, 22 anni, appartiene a una famiglia di schermidori: la madre era una delle specialiste più note in Tunisia, tre sorelle e un fratello fanno parte della Nazionale e il padre è nel direttivo della Federazione. Lei, Sarra, è stata campionessa africana e punta a un posto per le Olimpiadi di Londra. Insomma non è una fuoriclasse ma neppure l'ultima arrivata e c'è più del fondato sospetto che la sua sia stata una scelta ponderata e ispirata dai dirigenti della sua Federazione. Persino la rivale, vincente, ha reagito al successo con un pianto. La sconfitta per 5-0 è costata alla tunisina anche il ko definitivo, nel turno successivo le è toccata la cinese Li Na, che l'ha eliminata facilmente. La Mills invece ha proseguito il cammino eliminando la messicana Teran ed è entrata nel tabellone principale da cui giovedì uscirà la nuova campionessa del mondo. Sarra e i dirigenti tunisini hanno preferito evitare il commento. Certo che si tratta di una svolta curiosa per il Paese uscito dalla rivoluzione per approdare alla democrazia, quasi che il mondo dello sport si fosse spostato verso il fondamentalismo islamico. Qualche segnale si avverte anche in Egitto. Negli anni scorsi la squadra femminile si presentava all'appuntamento con un abbigliamento decisamente occidentale, oggi molte atlete vestono il velo. Il problema del boicottaggio è più che mai presente. Se quello della tunisina colpisce per la novità ma è stato adottato in una maniera soft, l'Iran continua nella sua politica del rifiuto netto e sbandierato in tutte le grandi manifestazioni sportive.
Domenica Sayyad Ghanbari Hamad, un fiorettista di Teheran, si è ritrovato nel girone di qualificazione l'israeliano Tomer Or e si è ritirato senza tirare con lui né con gli altri avversari che gli erano toccati nel sorteggio. Due incidenti diplomatici in due giorni. Se il boicottaggio mascherato prende piede chissà cosa succederà ai Giochi di Londra 2012.
lastampa.it
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14/11/2015 14:29
 
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Guerra totale.
Anche tra musulmani.
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19/11/2015 18:57
 
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Forse au Stade de France avrebbero avuto bisogno di un Gabrielli [SM=g27997]
Al di là del fatto tutto da spiegare che alcuni di questi erano francesi che hanno fatto tranquillamente per mesi la spola tra Parigi, Belgio e Siria , primo tra tutti sta famosa mente degli attentati..ma col Presidente dentro lo Stadio come possono all'ingresso due soggetti farsi saltare in aria indisturbati cercando pure di entrare dentro?
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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20/11/2015 11:52
 
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Re:
Sound72, 14/11/2015 14:29:

Guerra totale.
Anche tra musulmani.



'nzomma.... io invece vedo un Oceano di "pesci in barile" che di certo non sarà smosso da qualche rigagnolo di dissenso non smuove.

(PS: non sto sostenendo idee del tipo: "tutti i musulmani ci odiano a morte, e sono potenziali assassini e/o attentatori".

dico, anzi, constato che delle vere distanze le prendono in pochi di loro (su cento interviste, o richieste di pareri, ho ascoltato al massimo due o tre condanne totali a queste azioni, il resto sono legittimazioni, avalli, o al massimo, nella più edulcorata delle ipotesi, omertà, giustificazioni e "si, è sbagliato, PERO'....".

non parlerei di "guerra totale" neppure del "mondo cristiano/occidentale" contro fondamentalismo, dal momento che chiunque si informi un pò, sa benissimo quanti (e di quali volumi!) affari siano stati, siano, e saranno stipulati tra i "nostri" e i paesi finanziatori del terrorismo fondamentalista.

in sostanza vedo molta meschinità e doppiezza da parte di tutti gli attori in causa, tanta disinformazione, ragionamenti e conclusioni ottuse (sia in bene che in male) da parte della generalità, e un Oceano che non accenna a smettere di ingrossarsi e che ha tutte le stimmate per esarcebarsi ulteriormente.

dopodichè chiunque sia informato sa che il problema del fondamentalismo è un problema per primo interno all'Islam, la religione più praticata, ma anche la più divisa, tra due fazioni sunniti e sciiti, che non afanno invidia alle faide religiose tra Cristiani e Protestanti di 5 secoli fa.
Solo che è una situazione così complessa (si pensi solo al fatto che oggi ci si rallegra e ci si sente confortati per il fatto che abbiamo dalla nostra parte anche Putin, quel Putin contro il quale sulla questione Ucraina, l'Occidente ha condannato, ha fatto parole ma senza alcun fatto e fino a dieci giorni fa Putin era "nostro nemico/ricattatore/minaccia ecc. ecc. ecc.") che non siamo ancora nemmeno alla fase di "contarci" tra chi è con e "chi" e "contro".

Intanto chi dovrebbe dissociarsi fa il pesce in barile, chi dovrebbe tagliare i ponti continua a fare affari, e forse chi sta "risolvendo" qualcosa sono proprio i vertici del Fondamentalismo.
Non so quanto sia stato intelligente da parte loro "decidere" di attaccare (o "non evitare" di farlo, o "averlo lasciato fare") anche la Russia dopo l'Occidente.
A occhio e croce mi sembra una mossa molto stupida, sarebbe stato più intelligente mantenere "il mondo altro" (da quello fondamentalista) diviso, evitare di portare a una convergenza di interessi l'Occidente e la Russia.

sotto questo aspetto, con buona pace di chi ci racconta di una Mente "molto intelligente", "molto scaltra", "che utilizza i mezzi di propaganda più moderni", "fine stratega", a me sembra, mutuando un termine culinario, che questa/e Mente/i sia al massimo un "qb" di bassissimo cabotaggio.
[Modificato da giove(R) 20/11/2015 11:55]


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